Pangea Onlus in supporto delle donne afghane. Lanzoni: «Siamo solo all’inizio della lettura estrema della sharia»

by Michela Conoscitore

L’Afghanistan negli ultimi giorni è, inevitabilmente, sotto i riflettori internazionali per la fulminea presa di potere dei talebani, tornati a governare la nazione dopo vent’anni. Un mosaico di narrazioni, ogni giorno, raggiunge l’Occidente dimostrando che il buio del regime sta ricominciando ad avvolgere la vita della popolazione: tante le storie di persone in fuga come le calciatrici della squadra di Herat, gente picchiata perché indossava vestiti occidentali, o perché, semplicemente, di mestiere strappa risate. Poco prima che lo assassinassero, il comico Khasha Zwan ha continuato a fare battute e a sbeffeggiare i propri aguzzini.

Vent’anni è un lasso di tempo ampio, nel quale molti si sono ricostruiti una vita all’insegna della libertà, altri sono nati in questi vent’anni di relativa calma e tranquillità, è l’unica realtà che conoscono. Vent’anni di illusione alimentata dalle potenze occidentali, ipoteticamente lì per esportare democrazia, durante i quali, tuttavia, il popolo afghano ha vissuto davvero, in assenza di restrizioni, terrore, e minacce. E adesso?

Nel giorno dei due attentati kamikaze all’Aeroporto di Kabul, bonculture ha raggiunto telefonicamente Simona Lanzoni, vice presidente della fondazione milanese Pangea Onlus, dal 2003 in Afghanistan per supportare le donne afghane:

Dottoressa Lanzoni attualmente qual è la situazione a Kabul e in Afghanistan?

In questo momento c’è molta tensione. Tolte delle piccolissime sacche di territori non presi come la zona di Massud, di fatto i talebani stanno tornando a comandare tutto il Paese, e non mancano scontri con l’ISIS. Sappiamo che entro il 31 agosto tutte le forze straniere lasceranno l’Afghanistan, quindi c’è molta preoccupazione da parte della popolazione che in qualche modo sta provando ad andarsene. Nel frattempo i talebani stanno iniziando a costruire le loro regole, entrano di notte nelle case di persone in vista e che non lavorano per i valori talebani. Continuano ad utilizzare la violenza per imporre un controllo su tutto il territorio.

I talebani hanno dichiarato alla stampa che il passaggio di consegne sarà sicuro. Come mi stava dicendo, la realtà già adesso li contraddice: le banche sono chiuse da dieci giorni, questo significa che gli afghani non possono nemmeno ritirare i propri stipendi, e stanno ostacolando chiunque voglia lasciare la nazione. Sono davvero diversi rispetto a vent’anni fa?

Pare proprio di no. Hanno preparato due tipi di discorsi, uno per la comunità internazionale, per rassicurare, e un altro per chi vive in Afghanistan. Pangea Onlus ha raccolto racconti di persone che sono state frustate semplicemente perché portavano i jeans o una maglietta a maniche corte. Non si contano le irruzioni notturne a caccia di giornaliste, ricercatrici, donne che hanno lavorato per ONG. In un ONG hanno ucciso sedici persone. Spariscono intere famiglie di cui si perdono le tracce. Se questo è un talebano cambiato…

Dicevamo che tra meno di una settimana le forze occidentali lasceranno l’Afghanistan. Quali saranno gli scenari?

Dovremo aspettare l’evolversi della situazione. Giorni fa i talebani dicevano che non avrebbero chiuso l’aeroporto, se fosse questa sarebbe una novità. Affermano che proseguiranno i voli, ma allo stesso tempo dicono che gli afghani formati devono rimanere nel Paese per continuare ad esercitare le loro professioni e far crescere l’economia. Per i talebani anche il sindaco di Kabul deve rimanere a fare il sindaco perché hanno bisogno di qualcuno che mandi avanti l’amministrazione. Essere sindaco a Kabul, vent’anni fa, significava aprire lo stadio non per farci le partite di pallone ma per eseguire le condanne a morte, per chi non osservava la sharia. Rimanere significa fare quello che ordinano, con delle regole da rispettare come, dicevo prima, la sharia che può essere interpretata in maniera morbida e che quindi concederebbe più libertà, o in modo iper restrittivo come vent’anni fa.

Il rientro in vigore della sharia quale significato acquista per le donne?

Lo diranno gli eventi, ma stiamo iniziando ad avere qualche piccolo spunto: all’università di Herat hanno iniziato a dividere gli studenti, le donne da una parte e gli uomini dall’altro. Questa è una restrizione estrema e di conseguenza una lettura estrema della sharia. Penso che sarà solo l’inizio.

Stiamo parlando di un paese la cui economia si basa principalmente sull’oppio e sul sommerso, con una corruzione imperante. Quale futuro economico per la nazione?

Il precedente governo aveva firmato un accordo con la Cina per lo sfruttamento delle miniere di rame, quindi i cinesi eserciteranno un ruolo sostanziale nella futura economia afghana. I talebani, oltre al commercio dell’oppio, portano avanti anche il contrabbando di armi, una voce fondamentale dell’economia criminale afghana, così come il commercio di organi, purtroppo. Tutto ciò che è criminale può essere collegato ad un’economia sotterranea che prosegue da anni nel Paese, l’economia ‘ufficiale’ coesiste con essa e ora, solo se troverà un accordo coi talebani, riuscirà a dar vita ad imprese che potranno mantenere una certa stabilità economica.

A questo proposito, come avete supportato le donne e gli uomini afghani?

Come fondazione, abbiamo promosso il microcredito per favorire una microeconomia perché tutti lì continuano a vivere, malgrado gli stenti. Quel che le donne creano in casa, gli uomini poi lo vendono nei mercati. Una modalità ‘micro’ che permette alle famiglie di andare avanti. Ora dovremo capire cosa succederà per adattare il nostro lavoro alle necessità della popolazione.

Pangea Onlus come continuerà a supportare le donne e gli uomini dell’Afghanistan?

Noi continueremo a sostenere le persone che vogliono uscire dal Paese, perché rischiano la vita. Finora ci siamo riusciti con i ponti aerei, ma si dovrà iniziare a pensare a dei corridoi umanitari anche con le nazioni limitrofe. Appena le forze internazionali andranno via, cercheremo di comprendere quali progetti potremo avviare, sapendo che tali attività dovranno prevedere una modalità che protegga le persone che vi prenderanno parte.

Come stanno le attiviste afghane di Pangea picchiate dai talebani prima che lasciassero l’Afghanistan, e ora ospitate in Italia?

Sono scombussolate. Da un lato provano sensi di colpa per la famiglia che è rimasta lì, dall’altro hanno il desiderio di poter cominciare qualcosa di nuovo. Tutte le situazioni di guerra, anche quelle del passato, sono sempre difficili. Ma c’è anche tanta speranza.

Sono incalcolabili gli appelli rivolti alle potenze internazionali sul non legittimare il governo talebano. Come pensa agiranno?

In questi giorni si terranno gli incontri del G20 e all’ONU. La fondazione Pangea è per un non riconoscimento del regime talebano, ma gli interessi in gioco internazionali sono di altro tipo, noi lottiamo invece per i diritti umani e per la pace. Un governo che si basa su violenza e armi non può essere riconosciuto, un governo che fino a ieri era bollato come forza terrorista.

Questo ritorno dei talebani è stato davvero così inatteso?

Assolutamente no, al contrario era annunciato.

Col benestare dell’Occidente?

Sì, c’è stato tutto un percorso iniziato due anni fa con i negoziati di Doha, tra Usa e Afghanistan. La popolazione era già preparata, sapeva si sarebbe verificato quel che stiamo assistendo in queste settimane.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.