“Pasolini Caravaggio”, l’arte rivoluzionaria dei due maestri raccontata da Vittorio Sgarbi al Teatro Olimpico di Roma fino al 4 dicembre

by Marianna Dell'Aquila

 “Il pensiero di Pasolini ci interroga e si interroga sul mondo. La sua capacità di dirci la verità è profetica e lo rende sempre attuale. In Caravaggio ha trovato il mondo che già era dentro di lui. Quando Caravaggio arriva a Roma e vede i ragazzi delle borgate, quelli sono i ragazzi di vita di Pasolini”, così Vittorio Sgarbi, storico e critico dell’arte nonché neo sottosegretario alla Cultura, spiega alcuni dei legami tra il regista bolognese e il pittore milanese in occasione della presentazione “Pasolini Caravaggio” che andrà in scena dal 2 al 4 dicembre al Teatro Olimpico di Roma. Non un semplice spettacolo, ma una lectio magistralis che vuole ricostruire le  simmetrie tra le loro vite piene di eccessi e di contrasti, ma soprattutto tra la loro libertà intellettuale e il prezzo altissimo che entrambi hanno dovuto pagare per difenderla.  Un incontro che vuole portare alla luce quanto di rivoluzionario c’è nella rappresentazione della realtà da parte di questi due maestri i quali, nonostante abbiano vissuto a circa quattrocento anni di distanza l’uno dall’altro, hanno lottato contro analoghi ostracismi. “Si pensi a quando Pier Paolo Pasolini scriveva forse le cose più scomode proprio nell’ultimo periodo della sua vita, quando collaborava con il Corriere della Sera, il giornale per eccellenza della borghesia. Nonostante questo, lui continuava a scrivere della realtà che aveva davanti, andando “controtempo” rispetto a quanto quel giornale rappresentava”, ha evidenziato Sgarbi.

“Caravaggio è doppiamente contemporaneo. È contemporaneo perché c’è, perché viviamo contemporaneamente alle sue opere che continuano a vivere; ed è contemporaneo perché la sensibilità del nostro tempo gli ha restituito tutti i significati e l’importanza della sua opera. Non sono stati il Settecento o l’Ottocento a capire Caravaggio, ma il nostro Novecento – ha spiegato Vittorio Sgarbi -. Caravaggio viene riscoperto in un’epoca fortemente improntata ai valori della realtà, del popolo, della lotta di classe. Ogni secolo sceglie i propri artisti. E questo garantisce un’attualizzazione, un’interpretazione di artisti che non sono più del Quattrocento, del Cinquecento e del Seicento ma appartengono al tempo che li capisce, che li interpreta, che li sente contemporanei. Tra questi, nessuno è più vicino a noi, alle nostre paure, ai nostri stupori, alle nostre emozioni, di quanto non sia Caravaggio”. Da qui il legame con Pier Paolo Pasolini il quale, secondo Vittorio Sgarbi, ebbe un vero e proprio “transfert” tra i banchi dell’università alle lezioni di Roberto Longhi, il critico e storico dell’arte al quale si deve “l’acclamazione, nel 1951, di Caravaggio come pittore della realtà”. Caravaggio e Pasolini sembrano infatti incontrarsi su più piani, che vanno anche oltre una semplicistica lettura da biografia  del “maudit” (maledetto). La lettura “realista” di Caravaggio – il congelamento dell’attimo che Sgarbi definisce “simile alla scena di un incidente stradale” – fu per Longhi fondamentale per riportare Caravaggio nella contemporaneità complessa del ‘900. Pasolini cercò nei visi di borgata un retaggio antico, una tradizione iconografica e antropologica che sin dal medioevo sopravviveva ancora solo nel sottoproletariato metropolitano: una tradizione congelata dal Cattolicesimo, rimasta miracolosamente intatta nel ventennio, per poi pian piano essere spazzata via dall’invasione capitalista del boom economico (non a caso Pasolini si traveste da Giotto nel mediometraggio “La ricotta”).

C’ è poi l’affinità del cinema pasoliniano con l’immagine caravaggesca, con le sue composizioni pittoriche estreme, sghembe, illuminate a tratti. È soprattutto nella trilogia della Vita che Pasolini sembra cercare il Caravaggio attraverso la rappresentazione delle prostitute rese Madonne, dei giovani maschi impudichi. Pasolini fu anche pittore, ma “in senso astratto, perché per lui la pittura fu il cinema”: è con il cinema che Pasolini ha veramente sperimentato, indagato e rappresentato la realtà esattamente come Caravaggio ha fatto con i suoi quadri. Un terzo piano di incontro è nel rapporto con il sacro. La religiosità in entrambi è sofferta, sembra più legata al senso di colpa: Caravaggio non si perdona l’omicidio di Ranuccio Tomassoni, tra Napoli e Malta diventa quasi profeta della sua morte. Lo stesso farà Pasolini, quasi anticipando la sua fine violenta. Ecco infine i temi della sessualità e della morte. La lettura omosessuale di alcune opere di Caravaggio è stata spesso messa in campo, come nel caso di “Caravaggio” (1986) il film di Derek Jarman; mentre in Pasolini il sesso è senso di colpa, ma anche vitalità.  Vittorio Sgarbi ha infine toccato il tema delle teorie complottiste legate alla morte di Pier Paolo Pasolini che, secondo il critico, sminuiscono la scelta quasi autopunitiva, irreversibile, che emerge anche dalle pagine del postumo “Petrolio”. Pasolini viene in fondo ucciso dalle sue stesse creazioni che ne dilaniano il corpo, come Caravaggio morto solo, disperato, un corpo buttato in una fossa e mai trovato.

(Articolo scritto con la collaborazione di Andrea Silvestri)

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