A Grancia, un villaggio turistico sovranista? Il Sud depresso penalizza anche il Nord

by redazione
Pino Aprile a Grancia

Si può parlare di riscatto del Sud facendo leva su Carmine Donatelli, detto Crocco, un predone semianalfabeta, spacciato da una storiografia da rotocalco come un ottocentesco Robin Hood?

Se si dovesse riassumere in questi termini, il raduno sudista di Grancia, in Lucania, sarebbe una delusione unica e darebbe sostanza alla consapevolezza che la questione meridionale è prima di tutto una questione sui meridionali: nel raduno lucano c’erano i sudisti, mancavano i meridionali.

La questione meridionale non è un concetto geografico, ma una idea di sviluppo del territorio che non può limitarsi a una riproposizione sovranista – più misera in uomini e mezzi, ma con la stessa brutale cultura semplificativa – del leghismo padano. Anche perché il Garigliano non è il Po e il Mezzogiorno non ha bisogno di Bossi o Belvito in salsa sudista.

Nel recente rave lucano, il disagio del popolo meridionale, peraltro già ampiamente sviscerato in varie occasioni – basterebbe, senza molto sforzo, rivivere le battaglie di Giuseppe Di Vittorio (che sarebbe stato a disagio con gli animatori del villaggio turistico di Grancia) – fatica ad emergere, visto che vengono evocati concetti che farebbero rabbrividire un uomo come Luigi Zuppetta, che i sindaci dei Monti Dauni farebbero bene a rileggere, prima di sposare battaglie in favore delle trapassate istituzioni borboniche: vecchie, accartocciate su una idea di società bloccata e non meritocratica, capaci di grandi contraddizioni: dall’avere la prima ferrovia al primato dell’analfabetismo e dell’arretratezza sociale ed economica, con tanto di “lezzo e fracidime che ammorba i sensi”, di spaventiana memoria.

La “quistione” del Mezzogiorno è mancanza di comprendere in modo totalitario una questione nazionale e, per dirla in termini più attuali, riversarla su un piano europeo. Perché la “depressione meridionale”, come amava definirla Giuseppe Galasso, non è un fatto da isolare e da risolvere singolarmente, ma è stata ingigantita dalla incapacità delle classi dirigenti, succedutesi dalla unificazione ad oggi, di considerare il tema Nord e Sud all’interno del sistema Paese, cioè dentro un concetto globale di omogeneità di problematiche che hanno comuni radici ma connotazioni diverse.

I problemi del Nord e quelli del Sud hanno sostanziali identità (pensiamo, ad esempio, alla criminalità o alla levatura della classe politica), solo che al Nord hanno trovato una risposta più organica, che non può essere spiegata solo con l’aver affamato il Sud. Perché un Sud depresso, contrariamente a quanto vogliono far credere gli storiografi in passerella a Grancia, non aiuta il Nord e penalizza l’intero sistema Paese. Lo aveva, ad esempio, compreso Antonio Gramsci, quando facendo riferimento alla “piovrizzazione” del Nord nei confronti del Sud, evidenziava la mancata presenza di un vero proletariato nelle campagne a cui si accompagnava l’assenza di una vera borghesia nelle città. Il Regno delle Due Sicilie aveva coltivato solo due categorie sociali: i proprietari (grandi e medi) e i cafoni. Poi tutelate anche dal regno sabaudo (unico a provare a spezzare questo sistema fu Murat, finito miseramente, come un brigante qualsiasi). La distanza strutturale della società tra Nord e Sud è venuta fuori, in tutta la sua drammaticità, con la Grande Guerra. Nella unificazione italiana ha fatto più il Carso che l’incontro di Teano. Ha amalgamato la gioventù italiana più Cadorna che Garibaldi. Peccato che poi ci abbia pensato il fascismo a rinnegare il riscatto sociale di milioni di meridionali che hanno preferito “accontentarsi” di un fazzoletto di terra e di una sfilata in camicia nera. Lo stesso principio che anima ora i giovani del reddito di cittadinanza e la mortificazione delle loro aspettative di riscatto sociale. Continuare a parlare di Sud nei termini e nei modi in cui è stato fatto a Grancia, vuol dire alzare una cortina fumogena su una questione nazionale, dove il Sud potrebbe – se solo avesse una classe dirigente meno baronale e autoreferenziale, nonché più preparata – giocare un ruolo da vero protagonista, inserito com’è in un contesto mediterraneo.

Qui veniamo al nocciolo del raduno sudista, pasticciato e pericoloso per il Mezzogiorno. La Woodstock lucana ha presentato tutti i suoi limiti; e palesato che non basta radunarsi per creare un evento chiamato a cambiare l’approccio alla questione meridionale: si è cercato di dare risposte a domande complesse – in verità mal poste e già indirizzate, neanche fosse una piattaforma Rosseau – e laddove non si è riusciti, si è suonato la solita grancassa delle vessazioni del Nord e dell’impoverimento del Mezzogiorno a causa della politica predona del Settentrione. Avallando così, ancora una volta, l’idea che nel Sud viva una tribù di citrulli che da oltre 150 anni si fanno coglionare dal Nord che lascia loro le briciole. Non occorre una politica specifica per il Sud, caso mai il Mezzogiorno, al contrario del Nord, ora tutto concentrato sull’autonomia differenziata, dovrebbe farsi promotore di una politica che affronti problemi comuni tra Nord e Sud. Penso, al tema delle infrastrutture.

Dopo il crollo del ponte di Genova, si è reso indispensabile una stagione di “rinnovamento” e “riqualificazione” delle opere strutturali sia al Nord che al Sud. Andrebbe promossa una campagna nazionale di nuove infrastrutture e non interventi spot, com’è stato il recente elenco di opere “offerte” dal presidente Conte. Agli animatori del villaggio turistico di Grancia chiederei anche una vera politica ambientale. Ad esempio dicendo con forza che l’Ilva, i pozzi petroliferi nel “Texas lucano”, le discariche e la mancata chiusura del ciclo dei rifiuti non possono più essere tollerati, così come lo sversamento inquinante delle fabbriche nei fiumi e canali del Nord. Inoltre, dai nostalgici borbonici mi aspetterei una presa di posizione sulla lotta alla criminalità. Un tema che non riguarda solo il Sud, ma che ha messo radici, sia pure con una connotazione diversa, anche al Nord.

Mi aspetterei una decisa presa di posizione in favore dell’Europa, soprattutto per contribuire ad accorciare il profondo divario – in verità cresciuto negli ultimi decenni – tra l’Italia (quindi Nord+Sud) e resto dei Paesi europei. Un divario che il Sud, nonostante la copiosa disponibilità di fondi europei, non ha saputo ridimensionare. Da qui la considerazione: il villaggio turistico di Grancia, con la presenza di tanti sudisti nostalgici di una Storia che non è mai stata così come la vogliono raccontare, dovrebbe preoccuparsi più che di formare animatori e “risvegliatori” di orgogli geografici, di costruire una classe dirigente meridionale valida e capace di ragionare con mentalità europea e non borbonica. Ecco perché il problema del meridione sono i meridionali, e occorre lavorare per evitare che Grancia diventi una moderna Eboli.

Maurizio Tardio

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