All’Unifg la lezione del generale Governale e il significato, negato, della parola “mafia”. “La conoscenza è la chiave di volta”

by Antonella Soccio

Il generale Giuseppe Governale, direttore della Direzione Investigativa Antimafia, invitato dal Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Foggia, il prof Pierpaolo Limone ha tenuto una lunghissima lezione di legalità e antimafia nel Dipartimento di Giurisprudenza della città della Quarta Mafia. Il generale dell’Arma ha ripercorso più di 100 anni di mafia, ndrangheta, camorra e le loro mutazioni e ora quella della Società, l’insieme delle batterie che compongono la mafia foggiana, che imperversa nella Puglia Nord. In mezzo agli studenti il generale ha parlato per oltre due ore, rispondendo alla fine alle loro domande sul senso dell’impegno, sull’attenzione dei media nazionali, su cosa significhi essere oggi mafiosi.

Il suo è stato anche un discorso sulle parole, sul significato profondo della parola mafia, della parola cosca e su quanto fino agli anni Novanta, fino alla strage di Capaci e a quella di Via D’Amelio, dopo le quali tutto è cambiato, sia stata negata l’esistenza della mafia.

“Palermo ha la mafia alla gola e l’immondizia alle ginocchia”, scriveva Leonardo Sciascia, che con Il giorno della civetta ha scosso per sempre l’opinione pubblica.

Governale ha elencato tanti atti pubblici, come il celebre discorso al Teatro Massimo di Palermo del 28 giugno del 1925 dell’ex capo del governo nell’immediato dopoguerra Vittorio Emanuele Orlando, politico giurista e docente italiano. Parlava contro la campagna di repressione del Prefetto Mori.

«Or vi dico, signori, che se per mafia si intende il senso dell’onore portato fino all’esagerazione, l’insofferenza contro ogni prepotenza e sopraffazione, portata sino al parossismo, la generosità che fronteggia il forte ma indulge al debole, la fedeltà alle amicizie, più forte di tutto, anche della morte. Se per mafia si intendono questi sentimenti, e questi atteggiamenti, sia pure con i loro eccessi, allora in tal senso si tratta di contrassegni individuali dell’anima siciliana, e mafioso mi dichiaro io e sono fiero di esserlo! »

Orlando non era l’ultimo dei politici. Vittorio Emanuele Orlando era un palermitano ed era il capo del Governo nel 1918, quando l’Italia uscì dalla Prima Guerra Mondiale. Nel 1903 assunse la cattedra di diritto pubblico all’ Università di Roma, dove restò fino al 1931. Ricoprì il ruolo di Ministro degli Interni, dell’Istruzione. Fu anche Presidente del Consiglio. Durante il periodo del Fascismo dapprima si schierò a favore poi prese le distanze pur rimanendo sempre fedele.

Anche per lui la mafia non esiste. “Quando si dice la “cosca” si intende la parte centrale del carciofo. Tutta una cosa, la cosa nostra. A differenza delle cosche noi non siamo capaci di fare squadra. Tutti denigrano tutti. Il dipendente denigra il suo superiore, il docente denigra il preside, il brigadiere denigra il tenente”, ha rimarcato Governale.

La mafia a Palermo si è nutrita anche di simboli. Il Prefetto Sangiorgi nel suo rapporto sui moti del 1848 dice che i Whitaker e i Florio, due grandi famiglie dell’alta aristocrazia siciliana, avevano i mafiosi come guardiaporte. E ancora oggi la Prefettura di Palermo ha sede proprio nella Villa Whitaker.

I mafiosi per lungo tempo furono indispensabili alla polizia e ai carabinieri per eliminare il banditismo e per far fallire le mobilitazioni dei lavoratori sia infiltrandosi e manipolandole sia eliminandone i leader così come fu fatto anche nel secondo dopoguerra, come scrive Umberto Santino ne “La mafia dimenticata”.

Nasce da questo brodo di coltura la strage di Portella della Ginestra per mano della banda di Giuliano.

Governale ha citato il discorso tenuto al Senato dal Ministro Mario Scelba, noto per essere il Ministro dell’Interno e il Prefetto più duro del secondo Dopoguerra. Anche lui siciliano, un politico di Caltagirone, che ancora il 25 giugno 1949 negava la mafia esprimendosi così dinanzi ai senatori.

Onorevoli senatori, basta mettere piede a Palermo, o senza andare a Palermo, incontrarsi con qualcuno della provincia di Palermo, perché dopo pochi minuti si parli della mafia; e ‘se ne parla in tutti i sensi, perché se passa una ragazza formosa, un siciliano vi dirà che è una ragazza mafiosa, oppure se un ragazzo è precoce vi dirà che è mafioso. Si parla della mafia cucinata in tutte le salse, ma. onorevoli Senatori, mi pare che si esageri in questo”.

La stessa esegesi delle parole viene scandita da Luciano Liggio 40 anni dopo in una nota intervista resa in carcere ad Enzo Biagi.

“Mafia è una parola di bellezza non solo fisica ma anche spirituale. Mafioso era un aggettivo sinonimo di bellezza”, rileva nell’intervista che Governale ha mostrato in un documento video agli studenti di legge dell’Unifg. 40 anni dopo Liggio utilizza le stesse parole del Ministro Scelba.

Su questa trasmigrazione di significati, Governale si è interrogato molto. La criminalità organizzata si nutre di simboli e il generale ne azzarda qualcuno più attuale. “La mafia foggiana sta cominciando a rilevare alcuni tratti caratteristici della ndrangheta. Chi è il patrono dell’ndrangheta? È San Michele e dove sta la Grotta di San Michele?  A Monte Sant’Angelo. Vedete come tutto si lega”.  

“Oggi le mafie vanno dove il PIL cresce. Fatto 100 il PIL in Calabria esso è 61, in Umbria 84 in Trentino 148. Queste cose ce le vogliamo dire o facciamo finta di niente?”, ha chiesto con vigore ricordando come in 30 anni la Germania abbia risanato i 30 punti di differenza che divideva la Germania Est da quella Ovest dopo il crollo del Muro laddove invece in Italia si parla ancora di questione meridionale.

Luigi Sturzo aveva già le risposte. “La mafia stringe nei suoi tentacoli giustizi, polizia, amministrazione, politica in quella mafia che oggi serve per essere serviti e protegge per essere protetta. Penetra nei Gabinetti ministeriali”.

E la mafia, la mentalità mafiosa è anche nei proverbi, nella tradizione popolare. Calati juncu chi passa la china, piegati giunco finché non passerà la piena del fiume. Quanno si ncunia statte, e quanno si martiello vatte, stai quando sei incudine, batti quando sei martello.

Il prossimo 29 e 30 aprile la Dia ha in serbo un programma di sensibilizzazione sul tema mafia. Il 29 nell’Aula bunker di quello cge du il Maxi Processo e il 30 al Teatro Massimo in ricordo di Pio La Torre. Governale ha la sua idea del perché le mafie siano così radicate. “Si pensa a strutture di alta specializzazione, professionalità e tecnologia, ma se le mafie avessero solo questo le avremmo già sconfitte da tempo. Hanno un sentiment, il senso di appartenenza, un senso di affiliazione. Il giuramento ti blinda per tutta la vita. Noi la classe dirigente la stiamo producendo sulla professionalità, ma molti non hanno capacità di leadership. La motivazione non si somma alla professionalità. La DIA era stata creata come una nuova Fbi, ma assomma per 33% uomini della GdF, per il 33 per cento la  Polizia e 33 i Carabinieri. Attenzione quando si sopprimono le organizzazioni. Tutto ha un significato perché si poggiano sui valori e sui simboli. Riina anche quando muore rimane il capo, perché è quello che ha determinato la discesa. Tutto è cambiato dalla strage di Capaci”. E ai ragazzi ha detto parole forti, vere: “Voi dovete essere protagonisti del vostro ambiente. L’uomo è affezionato all’ambiente, è una questione chimica. Tutti vogliono ritornare nella loro terra. L’ambiente vostro nazionale e regionale ha bisogno di correttivi. Non aspettatevi dagli altri. Fate qualcosa voi, anche piccolo. Nticchia diceva Falcone. Avete avuto due attentati ai due sindacalisti, organizzatevi. È inammissibile che ci sia un padrone che sfrutti nel 2020, ci sono condizioni di lavoro non legalitarie in questa terra di caporalato. La mafia lasciatela combattere alle forze di polizia voi occupatevi dei diritti”.

Non è mafia saltare la fila di una visita medica? Non è mafia quando per ottenere un nostro diritto ci comportiamo come se ci stiano facendo un favore? “Siate protagonisti di voi stessi. Approfittate di questo periodo per crescere. Siete in un posto per realizzare voi stessi. La conoscenza è la chiave di risoluzione di ogni problema. Attenzione se ci sono i riflettori sulla vostra città non potete che essere felici. Chiamate i commercianti, fate assemblee con loro per indurli a denunciare. L’ndrangheta è andata avanti anche perché tutti i giornalisti erano a Palermo. Deve finire questa musica che ti laurei e non trovi il posto di lavoro deve finire. Tanti saluti”.

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