“Un Paese non può rinascere sul debito e sul conflitto”. L’analisi dell’avvocato Massimo Melpignano di Konsumer Italia

by Antonella Soccio

L’avvocato Massimo Melpignano è il responsabile nazionale per il settore Banche e Finanza dell’associazione Konsumer Italia. Il suo sguardo da consumerista ci ha aiutato a comprendere meglio le criticità dei decreti governativi in piena pandemia. Lo abbiamo intervistato.

Avvocato, qual è il suo giudizio sul Decreto Liquidità e sul Cura Italia? Quali sono le prime esplicazioni pratiche? Ci sono delle problematiche?

Direi che fondamentalmente il Decreto Cura Italia e il Decreto Liquidità scontano due problemi: il primo concerne la differenza tra ciò che è stato annunciato in conferenza stampa dal premier e ciò che è stato scritto nei testi dei provvedimenti. Il secondo è che nessuno dei due dice la verità, nel senso che il Cura Italia è stato chiamato così perché è stato emanato in una fase transitoria, dovrebbe curare l’Italia, ma non è garantita la guarigione, il Decreto Liquidità in realtà di liquidità ne mette ben poca, quasi nulla, è una enorme cambiale, che consente alle imprese di poter accedere a credito bancario attraverso la garanzia di una società del gruppo Cassa Depositi e Prestiti, la Sace, ma poi questi debiti devono essere ovviamente rimborsati e devono essere rimborsati in un arco temporale anche piuttosto breve.

Restano 6 gli anni di rimborso, vero? O si può sperare in tempi più lunghi?

Facciamo una premessa: tutto quello che stiamo dicendo vale nell’esatto momento in cui lo diciamo.

Un’altra esperienza che stiamo vivendo in questi tempi è che le cose cambiamo con una velocità spaventosa e con una moltiplicazione di fonti a cui dover attingere, che rende anche complesso dire quale sia la norma che si applica e quale sia la verità. Questo è un altro tema. Il meccanismo è molto semplice: se pensiamo che l’Italia riparta così come ha chiuso, diciamo una cosa sbagliata, peraltro ci stanno dicendo che i nostri comportamenti sociali, e conseguentemente anche quelli economici, non saranno da subito identici a quelli che adottavamo prima. La conseguenza è evidente: qualunque riapertura economica si esplicherà in modo diverso. L’altro limite di questi due decreti è che guardano alla base della piramide e alla cuspide della piramide, ma dimenticano la parte intermedia.

In che senso?

Il bottegaio, il negoziante, il fioraio, il ferramenta si troveranno in grossa difficoltà quando dovranno riaprire. Per le misure di sicurezza da adottare all’interno, le sanificazioni, i dispositivi di sicurezza, il costo dei dipendenti insostenibile a fronte di un ribasso dei ricavi, con una gestione pregressa, come i debiti maturati verso le banche e verso l’Agenzia delle Entrate, che vengono soltanto spostati e non debitamente spalmati. Se io ho un negozio, che in questo periodo deve star chiuso, il beneficio che io ho avuto dal Cura Italia è che sposto le mie tasse a fine maggio, i contributi previdenziali al 10 giugno, posso congelare tutti i debiti con le banche fino al 30 settembre. Ma non è che dal primo ottobre sono in grado di pagare tutto.

Anzi quel commerciante si potrebbe trovare anche in una situazione peggiore di quella odierna…

Esatto, perché nel frattempo non ho guadagnato e per riprendere a guadagnare faticherò molto di più, perché ci sarà un accesso limitato. La soluzione in cui si è venuti incontro col Decreto Liquidità è fai debiti, chiedi un prestito te lo garantisce lo Stato e con questo prestito metti in moto il meccanismo. Ma qual è il primo meccanismo che devo mettere in moto? Facile: le tasse che sono scadute e le banche che bussano alle mie porte. La percezione è che con questi debiti che dovremo comprare attraverso le banche, ammesso che le banche ce li diano e li diano in tempi ragionevoli e brevi e nei tempi in cui ci servono, poi dovrei usarli per pagare lo Stato. Quello stesso Stato che mi garantisce il prestito. Sembra un po’ il cane che si morde la coda.

In quarantena abbiamo anche assistito ad una ulteriore disparità tra cittadini. Tra statali e coloro che hanno perso gli utili. Lo smart working inoltre è ricaduto quasi interamente sui cittadini, come costo privato.

Sul concetto di smart working ci dovremmo un po’ intendere, dietro le parole dobbiamo sempre capire se si nasconde una grande verità o una grande bugia. Sfido chiunque tra coloro che hanno continuato a lavorare da casa e io sono tra quelli a dire che hanno lavorato con lo stesso ritmo, senza incontrare difficoltà, con la stessa produttività e con la stessa redditività. Tanti si sono dovuti organizzare in fretta in furia con software per consentire il lavoro in remoto, magari non avevano una grande digitalizzazione delle attività. Questa parola, smart working, per chi l’ha potuta realmente applicare ha avuto un senso ma per gli altri non è stato uno smart working, ma un hard working, un lavoro molto duro, mirato non certamente al guadagno e al profitto, ma fondamentalmente a mantenere in piedi da un lato il capitale di ogni attività medio piccola, per la presenza sul territorio della clientela e dall’altro in molti casi fare del vero e proprio volontariato intellettuale. Penso ai tantissimi commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro, ma anche tante altre categorie, che in questo momento si sentono domandare quali benefici si possono avere, che ne sarà dei contratti coi fornitori, che hanno commesse pubbliche. C’è una parte del Paese, di cui si parla poco, che ha continuato a fare da cuscinetto tra la base della piramide e la cuspide della piramide. Il sistema di welfare ha mantenuto, aggiungiamo anche lo straordinario ruolo del terzo settore, del volontariato, oggi abbiamo capito quanto sia importante.

La grande impresa, la cuspide, pure rischia di essere travolta. A cominciare dal settore automobilistico.  

Le grandi imprese generano reddito, gettito e hanno posti di lavoro. Però facciamo un altro esercizio: c’è un settore che è rimasto immune dal Covid-19? Nessuno anche quelli che sono rimasti aperti. Chi ha potuto realmente reggere questo peso? Chi aveva una organizzazione familiare. Chi ha potuto reggere col calo delle entrate? Chi ha potuto in famiglia improvvisarsi riders.

Tra due anni chi avrà contratto un nuovo prestito garantito da Sace dovrà cominciare a restituire il debito, ma molti direttori di banca temono che tra due anni quelle stesse imprese si ritrovino decotte. Voi di Konsumer state già immaginando quali scenari ci potrebbero essere nei confronti di chi non riesce a restituire il prestito?

La ringrazio molto per questa domanda. È difficile immaginare uno scenario, ma con altrettanta certezza dobbiamo dire che è difficile immaginare che il Paese possa rinascere sul debito. Lo ha ricordato Papa Francesco e lo stanno dicendo in molti, questo non è il momento in cui il debito la può fare da padrone. Questo è il momento di sostenere le attività, senza affossarle con altri debiti che non potrebbero mai essere ripagati nell’arco temporale così breve immaginato. Non è pensabile una soluzione come questa, è insostenibile non soltanto per alcune categorie, ma per tutte le categorie. Avremo un dimagrimento economico del Paese sotto ogni profilo, ci sarà chi riuscirà a riconvertirsi, chi non ci riuscirà dovrà essere sostenuto dal welfare e quindi dalla nostre tasse, tasse che gioco forza diminuiranno col calo del Pil. È impensabile che chi non riesce a pagare si ritrovi azioni dello Stato per recuperare il suo credito. Mi sembra paradossale una situazione come questa.

Immagina che aumenteranno le pratiche della legge anti suicidi?  

È ragionevole pensare di sì, è uno scenario. A me non piace chiamarla legge anti suicidi, è la legge sul sovra-indebitamento, la legge 3 del 2012: può essere uno strumento. In realtà stiamo andando incontro ad un mondo nuovo: non appena si riapriranno le attività produttive ci si porrà una domanda molto semplice. Cosa ne sarà dei contratti stipulati? Ci sono aziende che hanno contratti con i fornitori, ci sono fornitori che devono fornire merci che avrebbero già dovuto consegnare, ci sarà chi invocherà l’impossibilità ad adempiere all’obbligazione. Non possiamo immaginare un Paese che rinasce sul debito e sul conflitto, dobbiamo trovare delle soluzioni che consentano la riapertura graduale della vita economica in maniera pacificata. Stiamo dimenticando una grossa variabile dell’Italia, che è il rischio inerente chi ha tanta liquidità, ossia la criminalità organizzata. Le mafie potrebbero intervenire in maniera pesante in questa condizione di fragilità, dove di fronte a difficoltà ci potrà essere la tentazione di ricorrere a credito illegale, che ti viene anche offerto. Ma non dimentichiamo che questa mole di garanzia che si mette intorno, potrebbe rendere conveniente da parte di qualcuno rilevare aziende che se la passano male per poter accedere a questi prestiti garantiti dello Stato, costruendo compagini nuove con prestanomi. C’è anche il rischio criminalità organizzata su cui mi aspetterei un intervento protettivo, con una legislazione ad hoc, con un innalzamento dei controlli, come vigilare sul mutamento delle compagini sociali, con i soci che entrano ed escono, intensificare i sistemi rilevazioni di possibili infiltrazioni criminali nel tessuto economico del Paese.

Dopo un tira e molla al Mef, coloro che avevano beneficiato di un mutuo grazie ai fondi antiusura dello Stato non sono stati inseriti nel Cura Italia. Per loro non vale la sospensione dei pagamenti, che ne pensa?

La nostra posizione è chiara se si è fermato tutto, si deve fermare anche il sistema dei pagamenti. Distinguere tra cittadini di serie A di serie B, fare delle inutili distinzioni è qualcosa che non ci possiamo permettere. Il cittadino che non aiuti oggi, è un povero in più domani e nessuno vuole avere un povero in più dal punto di vista politico e sociale, serve che contribuisca lo Stato. Terminata questa fase emergenziale, o almeno rallentata, il Decreto Liquidità potrà essere un auspicio, ma serve che vengano varate misure di sostegno reale affinché il bello slogan di Conte “nessuno rimarrà senza aiuto”, diventi un’applicazione vera.

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