Il Diario Spirituale di Monsignor Farina: un legame intimo tra il cammino della perfezione evangelica e l’orazione mentale

by Antonella Soccio

È un’opera immensa, fondamentale il “Diario Spirituale” di Monsignor Fortunato Maria Farina, originario di Baronissi e arcivescovo di Foggia negli anni bui del Fascismo e nel 1943 durante i bombardamenti alleati alla città. Oltre 600 pagine, curate da Luigi Nardella in vista del processo di beatificazione e canonizzazione, raccontano un cammino progressivo di interiorità e di fortissima spiritualità di carattere ignaziano, un’ascesi così potente da comunicare alterità morale ancora oggi.

“L’amare Gesù e tutti in lui” è il fermo proposito che viene citato costantemente dal libro delle Costituzioni della Compagnia di Gesù dei padri gesuiti.

In ogni frammento del suo diario si leggono il legame intimo esistente tra il cammino della perfezione evangelica e l’orazione mentale, la serietà in questo impegno a compiacere il Signore, il quarto d’ora di riflessione sulla maniera e l’attenzione con cui la meditazione è stata fatta, il quarto d’ora prima e dopo la celebrazione della Messa.

Il Diario di Monsignor Farina si compone di nove quadernetti e 887 piccole pagine che coprono l’arco esistenziale di 55 anni di vita. Iniziato quando l’autore aveva solo 16 anni, termina nel 1952, diciotto mesi prima della sua morte.

Più che un diario il curatore lo definisce una tabella di marcia. Un mix tra agenda, proponimenti, riflessioni, orazioni, introspezioni, proiezioni verso la trascendenza. La prima impressione che se ne riceve è quella di un diario profondamente religioso, di una religione antica, perduta, pedante quasi, inesistente nel vivere comune odierno ormai secolarizzato. Ma se si scava più a fondo vi si troveranno anche dei consigli, degli appunti per recuperare una coscienza viva delle responsabilità del vivere collettivo. Nulla è più doloroso, per chi è nativamente scrupoloso e tendente alla perfezione e al perfezionismo, che essere a capo di altri e assegnare loro orientamenti e direttive. 

La sua devozione è mariana, tenerissima e fiduciosa, scrive nella postfazione al Diario il gesuita Giandomenico Mucci. Lui si stupisce che Monsignor Farina, nonostante la sua enorme cultura letteraria, non abbia introdotto nessun verso e nessuna citazione nel suo Diario. “Viene in mente l’apostolo Paolo che, nei suoi viaggi, ha attraversato mari e terre bellissime e, nelle sue lettere, non ne ha ricavato una similitudine, una metafora, un esempio. Succede a chi ha posto tutta la passione del suo cuore indiviso su Cristo e sulla Chiesa”, scrive in un suo commento T. Sannella. Ma forse chi ha profonda cultura non ha bisogno di ostentarla, farlo significherebbe cadere nella vanità.

Sant’Ignazio è certamente il faro della spiritualità di Monsignor Farina. È a lui che fa riferimento per le sue orazioni mentali, che sono la sintesi tra riforma delle proprie passioni, impegno ascetico e apostolico ed esercizi spirituali. L’abnegazione di se stessi è la vera virtù, una virtù propria del servitore.

La mortificazione della carne, l’invito a tenere a freno le passioni, la ricerca di posatezza e più raccoglimento in Dio, lo scacciare con calma ogni pensiero molesto, l’immolazione, ma anche la gioia nella ricerca della perfezione. “Il cuore sempre aperto per colui che viene”. Quanto servirebbe oggi contro l’odio la letizia del “farsi santo e perciò lavorare con costanza e tenacia”.

La volontà di servizio si respira in tutto il Diario, che è una vera e propria miniera, da cui attingere, come scrive Luigi Nardella, “sempre qualcosa che fa bene spiritualmente”.

“Può darsi che qualcuno si annoi dinanzi ai suoi propositi sempre ripetuti. Questa difficoltà si supera se si riesce a cogliere lo spirito che anima tutto il suo cammino di santità e trasporto, che egli tante volte avverte, verso la santità, verso particolari forme di apostolato: sono cose che toccano intensamente colui che si avvicina al Diario”.

Luigi Nardella lo scrive chiaramente: serviva far conoscere il Diario al maggior numero di persone possibile, soprattutto ai confratelli e presbiteri e alle altre persone consacrate, nonostante esso rispecchi un mondo ascetico che ha poche vicinanze con la formazione di oggi, anche dentro la Chiesa.

A Foggia lo stesso Nardella, nella chiesa di San Domenico insieme al dottor Costanzo Natale, al giornalista Micky de Finis e a Monsignor Tamburrino, ha presentato il Diario pubblicato per le Edizioni Padre Pio da Pietralcina.

Il dottor Costanzo Natale, don Luigi Nardella e Micky de Finis
Il libro

Pubblichiamo un pensiero del 3 aprile 1928, Giovedì Santo. Monsignor Farina era a Troia.

Ora di adorazione al Santo Sepolcro in cattedrale dalle 19 alle 20.30.

Propongo sempre, ma non ancora ho messo seriamente mano a farmi santo. Ho bisogno:

1. Di generosità e di risolutezza nel mortificarmi e nel praticare l’age contra di S.Ignazio: lo praticherò:

  • Col non indugiare nell’andare a letto e col levarmi con generosità alle 5 e con non protrarre oltre il dovere il riposo del pomeriggio
  • Con l’essere misurato nel parlare, in modo da non perdere tempo: la mia loquacità nelle conversazioni intime mi fa perdere molto tempo.
  • Col fare con prontezza e sveltezza le cose che mi costano fatica o mi ripugnano, anteponendole alle altre, salvo che la carità o il dovere non esigano diversamente, rispondere con prontezza alle lettere dedicando ogni giorno un paio d’ore alla corrispondenza.

2. Ho bisogno di mansuetudine e dolcezza e di grande carità:

  • Tutti quelli che vengono a me devono sentire che io li amo di questo amore soprannaturale, che è un riflesso (per quanto languidissimo) di quell’amore con cui li ama il Cuore divino di Gesù.
  • Quando sentirò fremere in me l’impazienza, il risentimento, ed anche talvolta l’ira, tacerò e mi frenerò e mi sforzerò di parlare con il linguaggio calmo e sereno: rimanderò poi ogni decisione o risoluzione a miglior tempo dopo averci dormito su due o tre notti. Devo ben meditare quell’espressione di San Francesco di Sales: “Impiegate 20 anni per farvi amare e dopo otterrete in un anno solo quello che non avete ottenuto in 20 anni”.
  • Terrò fermo nel non impazientirmi e nel tenere, per così dire, sempre l’anima mia tra le mie mani; per essere fedele in ciò, a somiglianza della Madonna mi terrò unito interiormente con Gesù Cristo e mi sforzerò di far sentire a quanti mi si avvicinano la dolcezza infinita del Cuore divino di Gesù.
  • Mi guarderò da ogni mormorazione.
  • Mi farò avvocato dei miei fratelli e dei miei figliuoli spirituali quando parlo di essi, guardandomi però da quella falsa carità che fa adulare o che non fa meditare a dovere le piaghe spirituali, né compiere certi tagli che sono tanto necessari per il bene delle anime e della Chiesa nonché dei singoli individui, nei riguardi dei quali bisogna compierli.

3. Comprendo a pieno che l’umiltà è la base e il fondamento della santità; senza una soda e profonda umiltà non si è santi: se una persona invece è veramente e profondamente umile, per questo stesso sarà anche santo.

  • Nascondimento profondo ed assoluto, niente con vedute naturali ed umane, niente per gli uomini, niente per attirar l’attenzione sopra di me, praticherò con ogni cura la vita nascosta.
  • Accetterò con amore le umiliazioni e amerò coloro che me ne sono causa diretta o indiretta e per quanto potrò non mi scuserò salvo che il dovere non lo richieda.
  •  Terrò sempre desta in me la coscienza del mio nulla e della mia miseria e debolezza: dopo ogni mio mancamento ed infedeltà mi umilierò profondamente e domanderò perdono al Signore ripetendo “terra dedit fructuos suos”. Non mi dispiacerò che essi siano messi in rilievo e confesserò sempre al cospetto degli uomini la mia grande miseria.

4. Mortificherò la gola ed i miei sensi e farò le piccole penitenze consentitemi dall’ubbidienza, senza la mortificazione e la penitenza non si diviene santi e non si alimenta l’unione intima dell’anima con Gesù.

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