Il misterioso affresco del nartece della Chiesa dell’Abbazia benedettina della SS. Trinità di Monte Sacro

by redazione

Uno tra gli aspetti ancora oscuri della nostra Abbazia, lasciati a ipotetiche indagini successive dagli archeologi tedeschi al termine delle missioni del National Museum di Norimberga, svoltesi a cavallo degli anni ’80 – ‘90, riguarda l’affresco del nartece della Chiesa. Già nel corso del primissimo reportage fotografico realizzato dal tedesco Arthur Haselof nel 1907, l’affresco murale si presentava molto rovinato, degrado aumentato progressivamente durante l’ultimo secolo del millennio trascorso.

Gli studiosi, italiani e stranieri, che si sono interessati dell’Abbazia hanno sempre parlato e scritto di una Vergine seduta in trono reggente in braccio il Figlio, affiancata da Santi appartenenti all’ordine benedettino. Ma l’identificazione dell’affresco è rimasta solo e sempre nel campo delle ipotesi. Qualcosa in più lo abbiamo appreso dalla pubblicazione “L’Abbazia dimenticata”. Nell’anno 2006 la ricercatrice Italo-tedesca Sabina Fulloni nel capitolo 6 “La Chiesa Abbaziale”, al paragrafo 14 “L’affresco sulla parete nord del nartece” scrive:

“ La Vergine sul trono può essere identificata quale Theotokos (dei genitrix) secondo la canonizzazione del Concilio di Efeso confermata dal Concilio di Calcedonia. L’iconografia derivante, secondo cui la Vergine impone il Figlio di Dio, simbolo universale della chiesa, può essere ricondotta al VI secolo e trova degli esempi ben noti nelle catacombe di Commodilla e negli affreschi – palinsesto di Santa Maria Antiqua a Roma, dove è rappresentata la Vergine con Bambino in atteggiamento regale, seduta su un trono riccamente ornato ai cui lati si inseriscono figure di santi o angeli. Anche il vestiario della Vergine è definito con accuratezza: un lungo mantello (palla) drappeggiato secondo la tradizione classica, ricopre l’intero corpo della Vergine. La palla ricopre anche il capo e ricade su una tunica, mettendo in risalto il bordo della cuffia bianca tipica delle matrone romane. I lacerti di affresco sul Monte Sacro denotano un’influenza bizantina e l’abbigliamento della Vergine sembra corrispondere alla corrente iconografica. Si intuiscono nei lacerti quattro personaggi: la Vergine e il bambino, caratterizzati da nimbi con perle, e due figure laterali che probabilmente sono da identificare come santi. Infatti le due figure sono posizionate troppo vicino alle fasce che racchiudono l’affresco, per cui difficilmente potevano essere dipinte le ali degli angeli. Le tuniche dei personaggi sono costellate 2 da perle rese con punti bianchi su colore più scuro. La resa delle ricche pieghe nelle tuniche, accentuate con fini pennellate bianche, e il naturalismo elegante con il quale è raffigurato il piede superstite del santo di sinistra, calzante un sandalo, evidenziano l’alta qualità dell’affresco. Se il nartece appartiene alla terza fase costruttiva, dopo il terremoto del 1223, l’affresco, probabilmente votivo, fu commissionato dalla comunità monastica sopravvissuta quale ringraziamento alla Vergine. Ai piedi del trono sono state individuate alcune lettere in alfabeto greco che sembrano comporre la parola Kalos, cioè il bene. Pannelli votivi di questo tipo spesso non erano centrati nelle pareti”.

Ancora Sabina Fulloni nel Capitolo 7 “L’impianto monasteriale”, paragrafo1 “I monasteri di osservanza benedettina e lo schema planimetrico claustrale” spiega come:

“Fino all’VIII secolo, in occidente, erano in uso circa trenta regole che si differenziavano sia nella forma che nel contenuto. Inizialmente i cenobi erano strutture per comunità laiche. Né San Benedetto, né i primi abati avevano funzioni ecclesiali: ricercando la solitudine meditativa, avevano attirato spesso involontariamente dei discepoli. Soltanto nel IX secolo fu applicato regolarmente il sacerdozio, comportando una modifica nella liturgia che fu rinnovata anche attraverso il culto delle reliquie. Fino a questo periodo sembra non esistesse una corrente monastica organizzata in modo unitario. L’osservanza benedettina riuscì ad ottenere una posizione predominante rispetto alle altre regole probabilmente perché era meno dura e radicale, avvicinandosi quindi più alle esigenze degli uomini.

Trattando di reliquie necessita fermarsi e fare un passo indietro. Nel 1989 il tedesco Udo Kindermann dà alle stampe Der Dichter vom Heiligen Berge, Einfuhrung in das Werk des mittellateinischen Autors Gregor von Montesacro, mit Ersteditionen und Untersuchungen (Il poeta di Monte Sacro: introduzione al lavoro dell’autore latinomedievale Gregorio di Monte Sacro) edito dal Museo Nazionale Germanico di Norimberga – Nurnberg – Darmstadt. Ricordo quando, a metà degli anni ’80, di ritorno da Roma dove aveva esaminato la stesura originale del codice medievale dell’abate Gregorio, il professor Kindermann, prima di rientrare in Germania, fece una piccola digressione in direzione di Mattinata, dove, incontrando l’abate-parroco don Francesco La Torre gli chiese contezza delle reliquie. Naturalmente don Francesco non le aveva mai viste, né tantomeno i suoi predecessori. 3 La risposta al quesito di Kindermann la ricevetti qualche anno dopo dalla ricercatrice tedesca Brigitte Haas alla quale, nel corso di una conferenza pubblica, chiesi delucidazioni sulle cause che portarono all’abbandono del sito intorno alla metà del XV secolo. Secondo la dottoressa Haas anche a quel tempo le liti giudiziarie avevano costi elevati. E gli abati di Monte Sacro nei due secoli precedenti avevano sostenuto numerose cause davanti ai tribunali ecclesiastici in Roma per dirimere l’annosa controversia dell’autonomia dall’Abbazia madre di Kalena (Peschici). Per tanti anni, con l’avvicendamento di tanti Pontefici sulla cattedra di Pietro, tante volte dopo la morte di un Papa che aveva concesso l’autonomia a Monte Sacro, capitava che il successore la revocasse. Il che comportava un dispendio economico notevole per consentire all’Abate, o a confratelli da esso delegati, di raggiungere Roma con interminabili viaggi a dorso di animali da soma. Il motivo dell’accanimento da parte dei monaci di Kalena, va ricercato nella maggiore floridità raggiunta da Monte Sacro a seguito di lasciti testamentari e donazioni che nel giro di qualche anno l’ avevano resa ricca e rispettata. Quando poi, come già detto, arrivarono gli anni bui determinati da tutta una serie di eventi negativi concomitanti (il nepotismo, la commenda cardinalizia, la crisi delle vocazioni), le difficoltà economiche sopra accennate ebbero il sopravvento e per fronteggiare l’impauperimento dell’Abbazia si provvide all’alienazione delle reliquie che risultavano, in quel momento, i beni più facilmente monetizzabili, soprattutto in un contesto storico come quello che stiamo trattando in cui alto era l’interesse degli enti ecclesiastici, ma anche di privati cittadini, per il commercio delle reliquie. In tempi recenti mi sono interessato alla pubblicazione di Kindermann sopra citata dalla quale, con mie reminiscenze scolastiche, ho tradotto dal latino i cosiddetti Flores Psalmorum (Antifone, Sequenze e Responsori nelle Festività dei Santi Patroni di cui l’Abbazia benedettina della SS. Trinità di Monte Sacro possedeva le reliquie). Di questi Santi si cantavano le salmodie dell’Ufficio dei Santi, nella loro ricorrenza. In totale 74 reliquie comprendenti anche un pezzo del pallio lasciato nella grotta dell’Arcangelo San Michele al momento della sua prima apparizione a San Lorenzo Maiorano. In testa a queste reliquie, appartenute per lo più a Santi Martiri, noti e meno conosciuti, troviamo le reliquie dei Santi Felice e Adaucto, sui quali dovremo soffermarci in attesa di ritornare a parlare dell’affresco del nartece. Felice era un prete romano del IV secolo, condannato a morte per essersi rifiutato di sacrificare agli idoli, al tempo delle persecuzioni di Diocleziano. Catturato e condotto al patibolo dopo che gli fu inflitto il supplizio dell’eculeo (cavalletto da equus o capra, su cui il condannato veniva disteso e flagellato), lungo la strada incontrò un giovane sconosciuto che confessò il suo essere cristiano. Catturato, fu incatenato e martirizzato con Felice. Questi due cristiani associati nel martirio per decapitazione sono venerati il 30 agosto con i nomi dei Santi Felice e Adaucto (ad auctus, aggiunto nel senso di associato al martirio, o audace) dal nome ignoto. Il Papa Damaso I curò la monumentalizzazione dei loro sepolcri nella catacomba di Commodilla, con annessa basilica ipogea scoperta nel 1720, sulla via delle Sette Chiese presso la via Ostiense, poco distante dalla Basilica di San Paolo fuori le mura. La diffusione del loro culto nell’Europa settentrionale ebbe origine da alcuni frammenti prelevati dalle loro reliquie e donati da Papa Leone IV alla moglie di Lotario, Ermengarda. Il loro sepolcro nella catacomba di Commodilla è sormontato da un pannello affrescato in cui sono raffigurate le figure della Vergine in trono col Bambino tra i santi Felice e Adaucto e la donatrice Turtura. Partendo dall’indicazione riportata nel testo di Sabina Fulloni, più volte citato in precedenza, che accenna a similitudini con gli affreschi della catacomba di Commodilla, senza citare nello specifico il pannello dei Santi Felice e Adaucto, ho verificato la sovrapponibilità dell’immagine con i lacerti di affresco del nartece della nostra Abbazia di Monte Sacro. A questo punto ritengo di poter formulare l’ipotesi, suffragata da mie considerazioni, che quella di Monte Sacro fosse proprio una copia del pannello ipogeico della catacomba romana. Potremmo supporre che nel corso di una delle tante peregrinazioni giudiziarie fatte dagli abati in terra di Roma, l’immagine fosse stata copiata e trasferita sulla parete nord del porticato della chiesa abbaziale nostrana. Motivo della scelta proprio il fatto che l’immagine riproducesse i due Santi patroni di Monte Sacro su cui a quel tempo si veneravano quelle reliquie. Secondo il nostro modesto parere la riproduzione mancava dell’immagine della benefattrice Turtura, committente dell’opera ipogeica romana. Altro elemento di similitudine che ci lascia propendere in questo senso è la finitura del piede del santo di sinistra, sul Monte Sacro con un sandalo, riconducibile al piede del santo a destra nell’immagine romana.

Antonio Latino

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.