O’ Munaciello tra storia, leggenda e letteratura

by Eugenio D'Amico

Io non ci credo, ma sai…non ti nascondo che un poco preoccupato sono!….

Eduardo De Filippo “Questi fantasmi”

“Se avvenga che nella casa locata l’inquilino spinto da panico timore creda di essere assalito dai maligni spiriti che in Napoli chiamansi Monacelli, anche gli si permette di lasciarla senza essere tenuto a pagamento di mercede.” 

L’articolo citato dalla Prammatica vicereale “De locato et conducto” che disciplinava il rapporto di locazione pubblicata dal Vicerè di Napoli conte di Miranda il 24 dicembre 1587dimostra la diffusione e la forza di una antica credenza di cui probabilmente avrete sentito parlare anche perché è ancora viva nei quartieri della vecchia Napoli dove pare che anche oggi qualche abitante avverta la presenza del munaciello.

‘O munaciello è uno spiritello malevolo che si manifesta attraverso segnali di dispetto: i lugubri ticchettii notturni, la sparizione di oggetti, l’improvvisa rottura di stoviglie e suppellettili sono opera sua. E’ lui che di notte vi impedisce di dormire soffiandovi nelle orecchie o vi opprime ponendosi a cavalcioni sul vostro petto togliendovi il respiro; è lui che pizzica le giovani donne di casa, taglia i vestiti delle vecchie, e svuota la dispensa. Ma può anche mostrarvi simpatia, e allora riempie di monete d’oro il piatto del cibo che gli avete preparato, riordina la casa, suggerisce i numeri giusti da giocare, appare, di notte, alle persone in estremo bisogno per condurle, se hanno il coraggio di seguirlo, ad un tesoro nascosto chi sa dove nelle cavità sotterranee di cui è pieno il sottosuolo della città.

Non è facile vederlo, ma se vi appare è sotto forma di un bambino pallido e deforme con un saio bianco e nero (il colore dei frati domenicani), scarpe nere lucide con fibbie d’argento e gli occhi fiammeggianti  sotto il cappuccio il cui colore se è rosso indica benevolenza e simpatia, ma se è nero è foriero di dispetti e di guai. Pare inoltre che a volte indossi, non si sa perché, una mitria vescovile, e che spesso si diverta a terrorizzare chi ha la sventura di incontrarlo, trasformandosi in un gigante. 

Ma che vi abbia in antipatia o in simpatia non bisogna mai dire di averlo in casa: i guai che scaturiscono dal parlarne sarebbero enormi.

Questa strana presenza che non si lega alla casa, ma alle persone che la abitano, tanto da seguirle in caso di trasloco, ha molte affinità con gli spiritelli del folklore nordico, e ha molti parenti nelle analoghe figure del folklore meridionale, ma sostanzialmente ha qualcosa di diverso, tutto napoletano: non è uno spirito o l’anima inquieta di un bambino morto senza battesimo, né un elfo o uno gnomo, ma una presenza reale, un essere in carne ed ossa con il quale il napoletano che ha la ventura o la sventura di incontrarlo, intrattiene un rapporto diretto, misto di amichevole confidenza e reverenziale timore, cercando di ingraziarselo con mille attenzioni.

Il popolo colto ha cercato di dare una spiegazione razionale a questa credenza sostenendo che essa fu creata ad arte dai “pozzari” gli addetti alle pulizie degli acquedotti e dei cunicoli che come un’enorme ragnatela percorrono il sottosuolo di Napoli. Dai pozzi che si aprivano numerosissimi sotto gli antichi palazzi permettendo di attingere l’acqua direttamente dal sottosuolo, i pozzari, profittando del loro lavoro, penetravano nelle case per compiervi piccoli furti e, talvolta, per introdurvi, dietro compenso, gli amanti all’insaputa degli sprovveduti mariti che poi non stentavano a credere che l’oro ed i regali giunti improvvisamente in casa fossero doni del monaciello.

 Nei loro giri sotterranei usavano coprirsi la testa con sacchi di canapa per proteggersi dall’umidità e ciò spiega la figura incappucciata della leggenda.

Ma c’è un’altra storia, più poetica e più tragica e quindi più vicina all’animo popolare, raccontata da Matilde Serao: Durante il regno di Alfonso V d’Aragona, siamo nella prima metà del 1400, Caterinella Frezza, figlia di un ricco mercante di panni, si innamorò di un garzone, Stefano Mariconda, ma l’amore osteggiato dai suoi familiari, finì tragicamente. Una notte il padre ed i fratelli di Caterinella sorpresero i due sul terrazzo di casa e precipitarono il giovane nel vuoto sotto gli occhi dell’innamorata. Caterinella disperata si richiuse allora in un convento e lì dette alla luce un bambino piccolo e deforme che le monache vestirono di un saio bianco e nero col cappuccio per nascondere le sue mostruose malformazioni. Il bambino, che dall’abito che portava era chiamato ‘o munaciello,  si aggirava nelle viuzze del quartiere Porto e la sua figura deforme destava fastidio e repulsione tra gli abitanti che non tardarono ad attribuirgli poteri soprannaturali e a temerlo, fin quando un giorno, poco dopo la morte della madre, scomparve misteriosamente e si disse che era stato portato via dal diavolo. Pare, però, che qualche tempo dopo furono ritrovate in una cloaca le ossa di un bambino deforme e si pensò che la famiglia della madre alle fine avesse deciso di assassinarlo.

Tuttavia, il popolo napoletano continuò a vederlo nei luoghi più disparati dei quartieri bassi, e alla sua indole dispettosa cominciarono ad essere attribuiti tutti gli eventi sfavorevoli della vita quotidiana.

Eugenio D’Amico

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