Strappare lungo i bordi di Zerocalcare, un’opera piena di umanità e poesia. E di politica

by Paola Manno

In questi giorni tutti parlano di Zerocalcare e va bene, benissimo così, perché parlare di Zerocalcare vuol dire raccontare un’Italia che si fa molte domande, alle quali cerca di rispondere con creatività ed impegno. Definito “l’ultimo intellettuale” in un articolo de “L’Espresso” dello scorso anno, Michele Reich (questo il suo vero nome) è, da quasi un decennio, il più celebre fumettista italiano.

Classe ’83, romano, ha raccontato da “La profezia dell’armadillo” (2011) alla sua ultima uscita “Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia”(2021) , soprattutto l’inquietudine della generazione di chi ha creduto in un mondo migliore e che ha vissuto, adolescente, i giorni del G8 di Genova, momento spartiacque nella vita politica di molti. Ai sogni infranti sulla morte di Carlo Giuliani ha dedicato molte strisce, molti pensieri (alcuni raccolti nell’antologia “Nessun Rimorso” edito da Supporto Legale, 2021) e sono proprio le botte prese durante le contestazioni a Genova che aprono la narrazione della prima puntata di “Strappare lungo i bordi” appena uscita su Netflix e già il contenuto più visto in Italia.

Intriso di politica, la serie non è tuttavia un’opera -espressamente- di denuncia. Ma lo è intimamente, perché la politica vera non la si può scindere da quello che siamo, così io credo che questa sia soprattutto un’opera piena di umanità e poesia, e perciò di politica. Già, nonostante la crudezza del linguaggio e il tratto appuntito della matita di Reich, così pieno di dettagli -lascia poco spazio all’immaginazione- la storia di “Strappare lungo i bordi” ci appartiene perché ci assomiglia umanamente. Zerocalcare è il bambino che fissa il cielo dalla finestra di una classe elementare, poi un ragazzino che delude un’insegnante, uno impacciato con le ragazze, oggi un uomo che sembra avere poche certezze. Accidenti, Zero, quanto di quello che c’è in te, in ciò che tu racconti, ritroviamo dentro noi stessi.

Se dovessi scegliere un titolo letterario citerei Kundera, la sua insostenibile leggerezza dell’essere, per dire il peso della sua opera. Intellettuale o meno, Reich è capace di tirar fuori il racconto di una generazione fragile e al contempo di affascinare migliaia di millenials in fila al firmacopie del suo ultimo volume. Ecco, dovessi citare anche un’opera musicale, ricalcherei Carboni nel dire che intanto Zerocalcare non sbaglia un fumetto.
Reich racconta le cicatrici personali che diventano universali: “se avessi detto”, “se avessi fatto” “se ci fossi stato”…, congiuntivi che una risposta non ce l’avranno mai e che resteranno lì per sempre, a segnare netto il confine tra l’adolescenza e l’età adulta. Le altre cicatrici, quelle della storia di tutti, della storia italiana, stanno affianco a quelle personali, sembrano tracciare linee che si intrecciano. Crescere non è mica come strappare lungo i bordi e ritrovarsi con una sagoma perfetta tra le mani. Così, grazie anche ad una curatissima colonna sonora che non ha paura di osare, riviviamo un passato e un presente che sono anche nostri, un po’ come erano un tempo i diari col lucchetto, tutti tremendamente incasinati e uguali. Già, Calcare si mette a nudo e neanche tutta l’ironia del mondo può mascherare la sincerità della sua scrittura. Dunque ridiamo insieme ad Armadillo e Sarah e Secco, storici personaggi dei suoi fumetti, e piangiamo la morte di chi “non sopporta di vivere sgomitando e calpestando chi le sta vicino”. La rabbia di Zero-sempre accigliato, sempre incazzato- è così piena di tenerezza che fa quasi paura. Se lo avessi davanti per un’intervista, non gli farei alcuna domanda, solo, probabilmente, lo abbraccerei forte per dirgli grazie.

Grazie per aver tirato fuori delle cose belle e difficili che non riusciamo a dire, e che tu hai detto con chirurgica ferocia, attenta passione, con sincerità e leggerezza e infine una preziosa, profondissima cura.

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