Quel ramo del lago di Tik-Tok. Galano e il TdL si “vendicano” dei Promessi Sposi traducendoli in social e tv trash

by Enrico Ciccarelli

Per capire «Lo strano caso dei Promessi Sposi» di Michele Ciuffreda, solo in ordine di tempo l’ultima produzione –per la regia dello stesso Ciuffreda e di Roberto Galano, della «Stagione per famiglie» di via Giardino, bisogna partire dalla dichiarata avversione del capocomico del Teatro dei Limoni per il romanzo di Alessandro Manzoni.

Non è una rarità. «I Promessi Sposi» sono forse l’opera letteraria che gli Italiani avversano maggiormente: è la ricaduta di generazioni di studenti vessati da pedanteria e polveroso nozionismo. In realtà il romanzo occupa con piena dignità un posto nella grande letteratura europea dell’Ottocento. L’ingranaggio narrativo è potente e scorrevole, la ricostruzione storica è accurata e documentatissima, la naturalezza con cui si saldano le piccole vicende e la grande storia è sapiente come forse solo in Tolstoj, la caratterizzazione dei personaggi (non per caso divenuti in molti casi antonomasie o figure proverbiali) gustosa.

Insomma un bel romanzo, spesso stroncato (anche da spiriti magni come Antonio Gramsci) un po’ per provincialismo esterofilo e un po’ perché il cattolicesimo laico e il liberalismo riformatore di Manzoni fanno fatica a trovare cittadinanza in una nazione divisa tra fremiti anarchici e libidini confessionali.

Certo, anche don Lisànder ha i suoi torti: per i troppi risciacqui, per le marcate intenzioni pedagogiche, per centinaia di pagine senza un briciolo di passione carnale (non fosse per la Monaca di Monza, il romanzone si svolgerebbe in un universo asessuato). Ma anche così –ad esempio- uno spin off come «Storia della colonna infame» resta una pietra miliare contro i deliri del giustizialismo e della sete di sangue dell’opinone pubblica.

Come che sia, la vendetta di Galano è compiuta: lungi dall’essere una parodia, che è sempre e comunque un omaggio all’oggetto parodiato (come quelle di Nanni Moretti e del Trio), «lo strano caso» è una divertentissima dissacrazione scoppiettante di gag e di trovate. La vicenda dei fidanzati impediti dall’arroganza del potente a coronare il sogno d’amore trasloca dal ramo del lago di Como che volge a Mezzogiorno alla mezzanotte oscura dei social e della tv-trash.

Tre attrici e tre attori in forma smagliante (più la gentile voce fuori campo di Elisabetta Campanella, Alexa testarda e insopportabile), che divertono e si divertono in pari misura, con il pubblico dei minori (gli spettatori più esigenti e di più difficile contentatura) che si entusiasma per le incursioni dei balletti di Tik Tok e quello dei genitori accompagnatori che apprezza gli sberleffi al piccolo schermo.

Michele Ciuffreda è un convincente presentatore della puntata di Forum, adorna dell’ancheggiante presenza di Nicole Piemontese (che imita Virginia Raffaele che imita Belen Rodriguez, e sarà anche una Perpetua gossippara e intrigante), in cui convengono un Don Rodrigo dai tratti e dalla parlata abatantuonesca (milanes cientopecciento!) cui dà corpo e presenza Francesco Giordano (che è anche un perfetto Don Abondio e un «ghisa» preso pari pari da «Totò Peppino e la Malafemmina») e la coppia coatta, a mezza via fra Ilary Blasi-Francesco Totti e gli immortali Jessica e Ivano di Carlo Verdone, Lucia Mondella-Renzo Tramaglino, con una strepitosa Graziana Cifarelli (centosessanta centimetri o giù di lì di talento puro) e un Vincenzo Ficarelli mai visto così in parte prima d’ora. Maggie Salice, infine, è una Gertrude stuzzicante ed esilarante, ma anche un divertentissimo Azzeccagarbugli e persino uno dei torvi bravi di Don Rodrigo (l’altro, il Griso, è Ficarelli).

Manco a dirlo, il matrimonio non s’ha da fare non per gli appetiti predatori del signorotto, ma per una banale questione di soldi, con il Boss delle cerimonie-don Rodrigo, organizzatore del ricevimento nuziale, che esige che il celebrante sia un curato di sua fiducia. Mancano nel plot, fra i personaggi di peso, l’Innominato e Fra’ Cristoforo, obiettivamente i meno adatti allo sberleffo iconoclasta; ma c’è invece l’addio ai monti, spartito fra Lucia e Renzo e accompagnato dalla trovata registica che ci è sembrata meglio riuscita.

Non c’è la peste, naturalmente: perché il morbo, quello della tv immondezzaio e dei social, è tutto lì, in una specie di reiterazione del film di Dino Risi «I mostri». Piccola gemma di buon intrattenimento, umorismo a volte facile, ma mai di grana grossa, persino troppo ricco di spunti e di idee per uno spettacolo di un’oretta. Ma un ottimo affare per gli spettatori.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.