HER: “Sono stata scolpita dal consenso della gente”

by Felice Sblendorio

È un’esplosione di rosso H.E.R., al secolo Erma Pia Castriota, violinista e cantautrice sipontina, famosa per il suo talento poliedrico e sfaccettato. La rivedo dopo molto tempo, perfetta e iconica come sempre in un vestito rosso che fa pendant con la sua chioma, in un pomeriggio di sole a Manfredonia, la sua città, punto e snodo di arrivo e partenza quando la sua arte è ospite in Puglia, terra gentile e ospitale per l’estro artistico che ha collaborato con De Sio, Battiato, Dalla, Rettore, Nidi D’Arac. 

Dopo “Magma”, il disco del 2009 che certificò la grazia e il linguaggio particolarissimo di Erma, quest’anno è uscito un suo nuovo disco strumentale: “Violins And Wires”, tredici tracce pubblicate da FlipperMusic per un progetto di musica elettronica che unisce e modula sonorità classiche, etniche e synth-pop. L’occasione del nostro incontro è parlare di questo disco, ma si rivelerà un pretesto. Chi è davvero Erma? Ho provato a chiederlo a lei, mentre succedeva quello che solo con un artista del genere può succedere: parte un suo live in un bar e si canta. Allora: “sweet dreams are made of this, who am I to disagree? I travel the world and the seven seas…”. Poche note, ed è già show. 

Il primo disco senza voce: come mai, Her?

Io continuo a scrivere canzoni, ma due anni fa ha conosciuto una persona della FlipperMusic che mi ha chiesto di realizzare un disco strumentale. All’inizio mi vergognavo e, ancora legata alla mia esperienza di musicista e cantautrice, ho quasi pensato: questa cosa non si deve sapere. Poi la cosa mi è sfuggita di mano e questo lavoro di servizio si è trasformato in un grande omaggio alla musica elettronica che tocca svariati generi e stili, nel caso specifico dai Daft Punk a Giusto Pio.

Of All Things” è il singolo che ha anticipato il disco con un video dai contenuti conflittuali. Cosa c’è sotto?

Al di là della scanzonatura iniziale e questa vaga somiglianza ad alcuni tratti di “Profondo Rosso”, il conflitto che mettiamo in scena è quello fra l’artista e il sistema. Questo è un disco autoprodotto e il supereroe del video è l’artista, mentre la persona che io interpreto è il sistema che, ovviamente, ride cinicamente dell’artista. Oramai siamo spacciati, non abbiamo più contenuti ma solo tante storie. Io ho rinunciato alla visibilità perché ho rifiutato di dare risalto alla mia storia: ho sempre trovato più interessante me come artista che come personaggio.

Persona e personaggio non sono inscindibili?

Se il personaggio svilisce il mio lavoro, io non ci sto. Non voglio dare priorità alla storia umana rispetto a quella artistica, anche perché i prefissi sono davvero svilenti. Poi se ci sono domande intelligenti sono la prima a rispondere, ma la pruderie fine a se stessa è davvero svilente in questi casi.

Ci proveremo a fare domande intelligenti. Nell’arte, nei live, si può sempre scegliere chi essere?

Certo, io lì vivo. Nei miei live io respiro, e finalmente medio tutte le interferenze che intercorrono durante la mia vita quotidiana.

È un’operazione catartica per salvarsi? 

Per salvarmi, innanzitutto. Io sul palco mi celebro, mi esorcizzo, mi sento finalmente totale, legittimata in questo mondo. Sul palco sono nel posto giusto, nel posto giusto per ritrovare quell’umanità che il mio passato ha cercato molto spesso di ammaccare.

In una canzone è esplicito: “esiliata nella grazia, il mondo è la mia stanza”. Una rete di protezione universale?

“Il mondo è la mia stanza” è una frase molto dura perché significa che, forse, ho avuto bisogno della mia arte per controllare un finto mondo tutto mio. Un finto mondo architettato a mia misura per stare bene, per esistere. È una frase ambigua, lo so, ma io mi sono dovuta proteggere con la creatività per sentirmi legittimata in questo strano mondo.

Dostoevskij nei “Demoni” diceva che “la perfezione non si può amare, la perfezione si può solo guardare e ammirare”. Dopo questa legittimazione nel mondo, che rapporto ha Her con la perfezione, con la sua immagine che live dopo live è sempre così iconica, evocativa, definita?

Mi sono molto sganciata rispetto a questo super io punitivo che ho sempre avuto. Avendo avuto una dura educazione militare da parte di mio padre, ho ereditato un grande rigore di me stessa, del mio corpo, soprattutto durante il percorso di transizione che è stato realmente un gioco al massacro. Con il tempo, invece, più che ammirare e guardare la perfezione ho imparato ad amare l’imperfezione che animo.

Parli di gioco al massacro: perché?

Rinascere da un corpo che consideri sbagliato è un gioco al massacro, non è facile. Io sono passata da tutte le operazioni di demolizione per poi rinascere. Nel mio caso, più che di demolizione io parlerei di trasformazione. Tutto il mio percorso l’ho visto come una grande evoluzione di me stessa. Anche per questo mi chiamo Erma. Io non sono diventata Angelica o Roberta: io mi chiamavo Ermanno e ora sono Erma. Quella che hai di fronte è l’evoluzione di quel ragazzo.

Sul nome hai detto tanto. Il tuo primo singolo, “Il mio nome”, premiato a Recanati nel 2001 da Franco Battiato, conteneva una frase ambigua: “non mi conoscono, ma mi ricordano, un’estate fa senza nostalgia”. Mai nessuna nostalgia di quel ragazzo?

No, mai. Ero il figlio preferito di mamma, ero una serie di cose che con il tempo ho imparato a dimenticare, venendo semplicemente fuori per quella che sono: scomoda, fantastica, stupenda, ironica, graffiante. Non ho più dato peso all’opinione altrui. Vorrei avere sempre di più una forma meno ideale di me stessa e semplicemente vivere, respirare.

Nel 2017 Luciano Toriello, grazie all’Apulia Film Commission e Repubblica Tv, ha raccontato la tua storia in un cortometraggio delicato e colto dal titolo “Erma, una lettera e un violino”. Al centro c’era l’educazione femminile mai avuta, è così?

Io mi considero una donna maleducata. Non sono mai stato il figlio maschio perché il mio outing l’ho fatto a 11 anni. Questa mia scelta mi ha costretto a non avere un buon rapporto con mio padre perché lui non è mai stato disinvolto con me ad educarmi da maschio. Mia madre, per forza di cose, non mi ha mai potuto considerare la sua figlia femmina, così io sono stata vissuta come una creatura speciale, voluta sempre bene dai propri genitori. Quando mia madre è venuta a mancare mi sono sentita molto più sola perché mia madre era la mia anima. È stato il mio ponte fra me e la mia famiglia, la mia difesa. Io credo che le figure femminili siano sempre più forti.

In una tua canzone che si chiama “Non me ne frega veramente un cazzo” dici: “non arriverò prima in classifica ma per mia madre sarò magnifica”. Quando hai capito di essere diventata magnifica per tua madre?

Sempre. Ovviamente quando ho fatto outing mia madre si è sentita tradita, si è sentita tradita da questo patto edipico che si può stringere fra una madre e un figlio e non si può spiegare. Io credo che queste donne siano come una virgo intacta, quelle vergini che hanno partorito senza il concorso di un maschio. Così molto spesso le donne proiettano nella maternità tanto inespresso, tanto individualismo represso… Per mia madre io sono stata il suo mondo, le sue libertà, le sue ambizioni. Quando comprese l’importanza degli studi e della cultura in una situazione come la mia non mi diede tregua.

Cosa ti ha lasciato in eredità?

Il menefreghismo delle regole costituite e del giudizio altrui.

La tua vita è fatta di viaggi. Il viaggio che ti ha salvata è stato quello che ti ha portata da Manfredonia a Roma?

Il mio desiderio da adolescente era avere pace con il mio corpo ma, nello stesso tempo, io volevo andare via, volevo vivere in un posto con meno conflitti giornalieri. Andare a Roma mi ha reso una persona più serena perché mi ha risparmiato quella pioggia di insulti che mi beccavo quando uscivo qui al Sud.

Questa città però si è saputa riscattare. Ho in mente settembre 2011: tu e Lucio Dalla in una Manfredonia riconoscente. Il consenso ti ha pacificato?

Il consenso salva, è innegabile. Io sono stata scolpita dal consenso della gente e sono davvero contenta quando la gente riconosce in me un valore perché io mi sono impegnata, mi sono sacrificata tantissimo per raggiungere questo obiettivo.Questo disco, poi, è nato anche grazie alla preziosa collaborazione di un manfredoniano che ha creduto in me, Giovanni La Tosa.

Ti ha resa più vera l’apprezzamento della gente?

No, mi ha resa più umana. Da “Dignità Autonome di Prostituzione”, che va in scena dal 2009, mi sono sentita legittimata come artista. Oggi sono davvero figlia di questo mondo.

Nell’arte non si può mai mentire?

Io non sono mai un bluff. Sul palco non posso mentire assolutamente perché quello è davvero un esercizio molto crudele. Il palcoscenico mette in scena una micro vita che non ti fa pensare alla contingenza della tua esistenza ma solo ed esclusivamente a quel gioco lì.

C’è un momento importante, fra i tanti, della tua carriera che ricordi?

Un momento intenso al Symphony Space di Broadway quando ho suonato l’assolo rock di “Aumm Aumm” con Teresa De Sio. Mi sono detta: “Cazzo, sono al centro del mondo”.

Che fa rima con: “Cazzo, quanto sono brava”?

No, dai. In genere non sono mai contenta di quello che faccio. Sono molto capace di darmi addosso.

Tante domande sulla scena, ora un po’ di back: con il tempo che passa che battaglia c’è?

Nessuna (ride di gusto, ndr). Sono una privilegiata, mi difendo ancora molto bene. Un giorno accetterò il tempo ma non è una cosa a cui voglio pensare ora.

Il passato è archiviato: non c’è nessuna foto che lo ricorda?

Quelle vecchie le ho quasi tutte strappate. Per rinascere è necessario cancellare. Il passato è nei miei ricordi. In quelle attuali, invece, mi riconosco. Sono felice oggi, non ho drammi.

Non hai drammi perché ti sei salvata. Quando hai deciso di salvarti?

Quando ho riconosciuto una legittimità naturale. Lì, allora, ho deciso di salvarmi. Oggi non voglio più identificarmi nel dolore e le tragedie le lascio al passato. Oggi sono sicuramente una persona migliore di ieri. Mi basta.

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