Al museo coi videogiochi grazie al game designer Fabio Viola: «Creatività, contaminazione e collettivo per le istituzioni culturali»

by Michela Conoscitore

Cos’hanno in comune il Museo Archeologico di Napoli, il MArTA di Taranto e Le Gallerie degli Uffizi? Sicuramente non la collocazione geografica, eppure ad accorciare le distanze ha contribuito una visione, realizzata da uno dei gamification designer più importanti al mondo: Fabio Viola.

Per questi tre prestigiosi musei italiani, il dottor Viola ha ideato un linguaggio nuovo per coinvolgere il pubblico e interessarlo alle collezioni museali, ovvero ha utilizzato il videogioco per veicolare le politiche di fidelizzazione rivolte ai visitatori. Creare un legame, nell’epoca digitale, è quanto di più complesso si possa chiedere a degli enti culturali ma l’intuizione vincente di Viola ha convinto e, in seguito, portato successo ai direttori di questi musei nazionali che hanno così promosso, innovando e precorrendo i tempi, le proprie istituzioni museali.

Secondo il dottor Viola questo è soltanto l’inizio, noi di bonculture ne abbiamo voluto parlare con lui.

Dottor Viola come si diventa gamification designer?

Provengo dal mondo più tradizionale dei videogiochi, inizio come progettista e game designer, occupandomi della produzione dei classici videogiochi che conosciamo tutti su consolle e cellulare. Da lì, avendo acquisito quel set di competenze, ho iniziato in maniera autonoma perché non vi erano ancora scuole o percorsi di formazione, ad aggiungere componenti più legate alle scienze sociali, comportamentali, completando quel bagaglio di competenze. Poi c’è stata l’esplosione di questo fenomeno che applica il gioco in contesti diversi in cui rientrano cultura, turismo ma anche ambiti più commerciali, da lì la nascita di questa professione.

Quando ha compreso che i videogiochi potevano essere una risorsa utile per enti museali e turistici, e in più in generale per l’ambito umanistico?

Formalmente quando decisi di fondare il collettivo TuoMuseo, nato nel 2016 e che conta ormai venti persone come programmatori, musicisti, designer, artisti e professionalità che provengono dal mondo dei beni culturali e del turismo. L’obiettivo era introdurre nuove forme di coinvolgimento legate alla fruizione del patrimonio culturale e turistico, creando nuove opere d’arte digitali quali sono i videogiochi. Il primo progetto che ebbe subito molta fortuna fu Father and Son per il MANN di Napoli.

Lei l’ha definita infatti ‘arte del coinvolgimento’, titolo tra l’altro anche di un suo libro che tratta l’argomento, quindi quali sono le potenzialità di tale connubio?

Molte, da una parte si alimenta l’idea che i musei possono essere centri di produzione di contenuti, per esempio il MANN di Napoli che produce un videogioco si delinea come produttore di nuova arte. Dall’altra, c’è il vantaggio di raggiungere pubblici internazionali perché il linguaggio del videogioco arriva in tutto il mondo, e non si attiene soltanto alla comunità locale. Aumenta anche il grado di partecipazione del pubblico, sono progetti che prevedono un coinvolgimento attivo del pubblico, un videogioco non si avvia senza le scelte dei giocatori. Un’associazione vincente anche per la comunicazione e il marketing, musei piccoli possono farsi conoscere su ampia scala utilizzando la gamification per fare brand awareness.

Father and Son per il MANN di Napoli, Past for Future per il MArTa di Taranto e The Medici Game per il polo museale Gallerie degli Uffizi, sono solo alcuni dei suoi lavori che hanno riscosso parecchio successo. Basti ricordare i quattro milioni e mezzo di download del videogioco ideato per il museo partenopeo. Come sono nate queste collaborazioni?

Per volontà diretta dei direttori degli enti museali, che hanno deciso di mettersi in gioco, di sperimentare nuovi linguaggi ognuno con modalità e obiettivi diversi. Tecnicamente, a livello narrativo e grafico sono diversi per quanto siano tutti dei videogiochi, per esempio quello degli Uffizi è in 3D. Tuttavia ciò che ha accomunato questi progetti è l’intento innovativo, sono stati tra i primi musei al mondo ad utilizzare questa formula. In cinque anni ho realizzato come CEO circa una ventina di questi progetti, anche per comuni, regioni e teatri come Life Music, il primo videogioco prodotto per un ente teatrale come il Regio di Parma.

Il governo italiano, recentemente, ha riconosciuto i videogiochi come espressione artistica e culturale. Qual è il significato che assume tale riconoscimento per un gamification designer?

Per me è la realizzazione di un sogno, il collettivo TuoMuseo nasce anche con questa visione ovvero far riconoscere l’identità culturale del videogioco. Sono stati cinque anni di battaglie verbali e ideologiche. Il riconoscimento è sicuramente significativo e aprirà le porte a più produzione e anche ad una maggiore comprensione del videogioco come forma d’arte, perché ad oggi viene più visto come un tool a disposizione e non come un prodotto creativo al pari di un quadro. Per quanto immateriali, sono comunque produzioni artistiche.

L’Università di Bari attiverà il corso di Laurea Magistrale interclasse in Patrimonio digitale, musei, archivi e biblioteche, il primo e unico in Italia. Quale sarà il suo ruolo?

Spero di poter ricoprire un incarico di docenza, nulla è stato ancora formalizzato. Se fosse, vorrei portare l’idea delle nuove culture del XXI secolo, far comprendere come oggi l’arte attraverso nuovi linguaggi e tecnologie riesce ad indirizzare diversamente e in modo più efficace il consumo culturale, legato a nuovi pubblici e modalità.

Quanto è importante che anche il mondo universitario, in un Paese come il nostro ricco di arte e storia, formi in questa direzione i propri studenti?

È fondamentale, e direi che ancor prima dell’università si dovrebbe iniziare già dalla scuola dell’obbligo, in termini giocosi per abituare i più piccoli che esistono altre forme di concepire l’arte. Le università si stanno adattando in questo ambito, quantomeno sono nati tantissimi master, io stesso insegno in molti di questi corsi a Bologna, Palermo, Roma e servono per ampliare la visione di chi, poi, andrà lavorare in un museo e conoscerà le modalità più innovative per coinvolgere il pubblico e raccontare il patrimonio artistico.

Da gamification designer, come si immagina il futuro delle istituzioni culturali italiane?

Spero che puntino sempre più sulle Tre C: creatività, che siano dei luoghi in cui si crei cooptazione con i creativi, dove si possa produrre e immaginare il futuro, come i musei che producono opere d’arte, le biblioteche che diventano luoghi in cui si scrivono e pubblicano libri. La seconda C è quella di contaminazione,si sta superando l’idea di verticalità dei supporti, non più separare gipsoteche, mediateche, musei o teatri ma dare vita o riconvertirsi a strutture molto ibride. La terza C è quella di collettivo, c’è bisogno di diverse figure professionali e di dare spazio ai pubblici, intesi come collettivi, che partecipano attivamente alla gestione e alla governance dei centri culturali.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.