“Evə”: cinque sfumature del genere, quattro creature, una sola donna biologica per Eva Robin’s. «Questo spettacolo è un invito a riflettere»

by Antonia Priscilli

Gli artisti sono come dei sismografi: la loro sensibilità vibra a ogni movimento, capta le energie, registra ogni urgenza. Ci sono, poi, artisti che preferiscono essere il terremoto: non seguono alcuna tendenza, non aggirano alcun pericolo, anzi creano quel tipico allarme che riesce a procurare soltanto chi riscrive le regole e rifiuta ogni percorso già tracciato. In questa categoria rientra certamente Eva Robin’s, una creatura che abita l’immaginario pop da qualche decennio e a ogni sua apparizione crea curiosità, sorpresa, interesse, turbamento.

Nel 1991, la trasmissione “Primadonna” di cui era protagonista divenne un caso prima ancora di andare in onda: Gianni Boncompagni, che ne era il regista e ideatore, sapeva quello che faceva scegliendo questa ragazza inafferrabile, che al fascino dell’ambiguità univa un’ironia sottile, ben lontana da quella scontata e talvolta pecoreccia della tv di allora. Titoli sui quotidiani, scandalo delle associazioni fondate appositamente per provare scandalo, interrogativi sulla natura della fanciulla che offriva un seno acerbo da adolescente e fianchi da ninfa all’obiettivo dei fotografi: si giunse a parlare di ermafroditismo, e questo dimostra quanto l’Italia di ieri rasentasse la sufficienza in materia di educazione sessuale tanto quanto l’Italia di oggi. È vero, siamo passati dalla dittatura binaria del fiocco rosa e del fiocco blu all’arcobaleno delle piazze che manifestano con fierezza la libertà di amare chi ci pare, ma in molti si muovono ancora a fatica tra le incalcolabili sfumature in cui sessualità, orientamento, genere si rifrangono.

Un aiuto potrebbe giungere dallo spettacolo “Eve”, tratto dal libro dalla drammaturga, performer scozzese Jo Clifford, messo in scena dal regista Andrea Adriatico e prodotto dalla bella realtà bolognese Teatri di Vita, che vede tra i protagonisti proprio Eva Robin’s e che per il debutto ha scelto la Puglia: gli applausi che hanno battezzato la tournée sono risuonati al Teatro Kismet di Bari lo scorso weekend.

Un ritorno a teatro dopo molti, troppi mesi di stop.

C’era tanta voglia di ripartire. E grande emozione, tanto che a un certo punto ho temuto di incepparmi. Il palcoscenico ti da la libertà di fare ogni sera qualcosa di diverso e di sentire gli umori della gente in maniera sempre diversa, a differenza di ciò che accade con un ciak cinematografico, che termina con un “Buona la prima” o “Rifacciamola”. Se a teatro si inceppa il meccanismo, devi inventarti qualcosa. E la prima è sempre un’esperienza sudante, e soprattutto dopo questa lunga assenza dal palcoscenico è comprensibile che ci sia più emozione, e il rischio di incepparsi. Ma riprendere il ritmo sarà facile, perché da qui a febbraio 2022 sono in scena con tre spettacoli diversi: “Lettere a Yves Saint Laurent” di Roberto Piana, le “Metamorfosi” di Ovidio per la regia di Elena Serra, e questo spettacolo prodotto da Teatri di Vita. È una cosa che faccio per amore, per passione, non per i consensi: io non sono molto legata agli applausi.

Potremmo dire che questo “Evə, per i temi che tratta, è lo spettacolo giusto al momento giusto?

È la visione di una scrittrice e performer transessuale scozzese, la voce di una persona che si è sentita esclusa dal racconto biblico che asserisce che la donna è nata dalla costola di un uomo. È un punto di vista: cinque sfumature del genere, quattro creature, una sola donna biologica, io interpreto la versione quasi ultimata, e mette dei puntini sui passaggi più equivoci o meno chiari, sulle incongruenze delle sacre scritture, sugli aspetti meno chiari del libro più letto in assoluto nella storia. Questo spettacolo è un invito a riflettere. Certo può anche indispettire qualcuno, io sono stata cresciuta da suore e preti e dire certe cose crea qualcosa persino a me, ma noi siamo attori e questo significa che possiamo interpretare anche cose che sono contro il nostro pensiero, ma stranamente ti fa riflettere su quanto è stato scritto quando vigeva un’altra mentalità.

Il debutto è arrivato pochi giorni dopo l’affossamento del DDL Zan.

Per la prima volta mi sono esposta, perché la politica non è il mio linguaggio, ma sono scesa in piazza a Bologna per partecipare a una manifestazione a favore del disegno di legge. Io sono nell’età giusta per essere seviziata, stuprata, uccisa da uno psicopatico e non essere creduta, perché noi transessuali siamo sempre accusati di sedurre e di provocare. È una legge che avrebbe tutelato anche a chi non l’ha votata: nella famiglia di chiunque potrebbe esserci una possibile vittima. La cosa che mi ha più indispettita è stato l’applauso dopo che la legge non è passata: una scena di pessimo gusto, siamo da millenni il centro mondiale della cultura, un esempio, e poi basta una cosa come questa per uccidere tutto il progresso, l’arte, Michelangelo, Dante…

Non si sarà mai esposta finora, ma bisognerebbe riconoscerle di aver avuto nel nostro Paese un ruolo politico.

Ma è stato un ruolo silente, l’ho fatto semplicemente esistendo, con la rappresentazione di me stessa.

Lei si è installata nel nostro immaginario collettivo grazie a una trasmissione che ha avuto una durata (un mese e mezzo) inversamente proporzionale a quella delle polemiche che ne hanno preceduto la messa in onda.

Un bagno di folla, ma anche un bagno di sangue. Ho un ricordo drammatico della sovraesposizione che mi ha procurato la trasmissione: per me che sono una persona equilibrata è stato terribile, mi ha debilitata, non sapevo più cosa volessi fare, ero in un contenitore senza essere ciò che volevo essere, rispondevo al telefono e chiedevo alle casalinghe quanti ceci c’erano nella scodella. Quella visibilità eccessiva mi aveva tolto il privato: io che sono una persona molto disinvolta nel quotidiano, che ama stare in mezzo alla gente, prendere l’autobus, non avevo più alcuna protezione, alcuna sicurezza. Fu un periodo veramente infelice: la gente pensa che a quel tipo di visibilità corrisponda una forma di felicità, una realizzazione personale, e invece no. Non andavo nemmeno a comprare i giornali per non leggere ciò che scrivevano di me: mi sembrava di procurarmi il veleno con le mie stesse mani. Il programma non è andato bene, il contratto è stato rotto perché avevano capito che non volevo più starci dentro, non collaboravo, e per fortuna mi ha preso Andrea Adriatico per interpretare “La voce umana”, dove mi vide Benvenuti e da lì è partito tutto. E mi sono ricostruita.

Però a noi ignari telespettatori non giunse nulla di tutto questo, al contrario appariva molto a suo agio, divertita, ironica.

Da giovane hai delle forze straordinarie, affronti imprese incredibili, e a distanza di tempo ti chiedi se sia stato proprio tu a fare quelle cose. Adesso ho paura di qualsiasi cosa, quando parto per uno spettacolo saluto la mia casa, abbraccio il mio gatto come se fosse l’ultima volta in cui lo vedo, perché penso che la fatalità è in agguato.

Chiacchierare con Eva Robin’s è come sfogliare un’appassionante, sorprendente enciclopedia sui protagonisti del Novecento ricca di aneddoti.

Ma i più interessanti sono quelli che non posso raccontare!

All’appello non manca nessuno dei grandi.

Carmelo Bene, Enzo Biagi…

Pedro Almodovar.

Abbiamo trascorso una serata in giro per Roma con lui e Francesca Neri. Io promuovevo “I miei più cari amici” di Benvenuti e loro “Carne tremula”. C’era anche Jean Paul Gaultier.

Amanda Lear, la venerabile.

La accompagnavo in tournée. Quando arrivammo in Romagna, mi disse “Sei molto popolare, da queste parti…” con la sua voce inconfondibile.

Verushka, la mitica top model e artista.

A una cena mi guardava i piedi, perché i suoi sono enormi.

Paolo Villaggio.

Ricordo una pipì fatta contro un muro del ghetto ebraico di Bologna, in Via Valdonica. È la strada in cui è stato ucciso Marco Biagi, ed è vicino a dove sono stata concepita. C’eravamo lui, io e Gian Maria Volontè.

Più che una pipì, un cenacolo di belle teste. Da poco è scomparsa Raffaella Carrà, per restare nell’immaginario pop.

Sono stata sua ospite in televisione. Una volta, durante un fuorionda, mi ha pregato di saltare su un divano mentre cantavo una canzone ma a me è sembrato irriverente, e oggi ho il rimpianto di non essere saltata su quel divano a ballare con lei.

Molti di questi “spiriti magni” non ci sono più.

Ma non spariranno, soprattutto nelle mie preghiere. Io prego molto i morti, anche le persone che ho incrociato per un attimo soltanto. Sappiamo che la preghiera fa più bene a noi che agli altri. Adesso mi torna in mente Rossano Rubicondi che si allontana da solo, di spalle, dallo studio televisivo in cui eravamo stati ospiti insieme: non sai mai quando saluterai una persona per l’ultima, la vita all’improvviso te la toglie e da un giorno all’altro non c’è più.

Aver frequentato questi personaggi che possedevano il dono della straordinarietà e sapevano maneggiare l’improbabile è la scuola che l’ha fatta diventare così originale in ogni scelta, così allergica alla banalità?

Io mi sottraggo molto. Più che la fama, preferisco far la fame. Non voglio espormi, non voglio esserci a tutti i costi. E le cose arrivano da sole, stranamente, perché io non cerco mai niente.

E come si vive questa riservatezza nell’era in cui se non esserci sempre, anche attraverso i social, equivale a non esistere?

Mi sto adeguando, pur non essendo una fanatica della comunicazione eccessiva. Ho un rapporto con queste cose fatto di cautela e di circospezione, d’altronde io non ho nemmeno un computer.

Si immagina in scena fino all’ultimo respiro, in modo da “Mourir sur scène” come cantava Dalida?

Il teatro non è come lo zoom impietoso del cinema, ti permette di proseguire anche in età avanzata a recitare: è un grande investimento, infatti anche Amanda Lear ha iniziato a fare teatro in Francia. Penso che questo mi dia una continuità e mi faccia desistere dal manipolare la mia faccia e dal trasformarla in qualcosa di agghiacciante. Credo che il gran finale non sia mai piacevole, per nessuno. Come scriveva Ennio Flaiano: “Coraggio, il meglio è già passato”.

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