La Bottega degli Apocrifi riparte con un palinsesto teatrale online. Severo: “Faremo tutto il teatro e la musica che possiamo fare. Ora”.

by Felice Sblendorio

Qualche settimana fa Marino Sinibaldi, direttore di Radio Rai3, sulle pagine di Internazionale aveva provato a ragionare in maniera più problematica e meno retorica sulla scelta del Governo di chiudere i teatri, i cinema, le sale da concerto.

L’idea era quella di non demonizzare una scelta quasi predestinata considerando l’emergenza pandemica in corso. Nonostante l’apparente sicurezza di questi luoghi, la necessità era (ed è) ancora quella di rallentare, indebolire, isolare la corsa del virus. Scelta non di pancia, condivisa da pochi, che continuava con un monito e un’urgenza alla mobilitazione. Scriveva Sinibaldi: «Non si tratta dunque di rassegnarsi. Ma anzi, di non arrendersi all’alternativa tra la resistenza egoriferita e la rinuncia fatalista». Né con una resistenza egoriferita e neppure con una rinuncia fatalista ripartirà l’azione teatrale della Bottega degli Apocrifi, la compagnia teatrale e musicale pugliese che gestisce il Teatro Comunale “Lucio Dalla di Manfredonia.

Dopo una riapertura simbolica a giugno e alcuni momenti di condivisione artistica in estate, la compagnia teatrale ha progettato una modalità di fruizione culturale totalmente online. Impossibilitati ad abitare con il pubblico lo spazio vivo del teatro, gli Apocrifi hanno reinventato un dialogo con la loro comunità teatrale mescolando modalità, luoghi fisici e virtuali, spazi di condivisione alternativi per continuare a esercitare e coltivare bellezza. Dal 5 dicembre 2020 al 6 gennaio 2021, infatti, il foyer del teatro si trasferirà su una piattaforma streaming con una speciale programmazione. Non una Netflix della cultura, ma un palinsesto teatrale con ben sei spettacoli editi e inediti visibili in ben undici date.

Ci sarà un biglietto acquistabile sulla piattaforma Eventbrite che fornirà un link d’accesso per la visione di ogni singolo spettacolo e, se previsto, per l’incontro in diretta con gli artisti. Sarà possibile acquistare un singolo titolo d’accesso al costo di 7 euro, oppure l’abbonamento ai sei spettacoli al costo di 25 euro. La mission della compagnia teatrale, anche virtualmente, è quella di non disperdere il legame che unisce il pubblico al suo teatro che, come recita il claim della rassegna, sono fatti per stare insieme. bonculture ha intervistato Cosimo Severo, regista e direttore artistico della compagnia Bottega degli Apocrifi.

Da un mese, dopo tante polemiche, i teatri hanno richiuso le porte al loro pubblico. Una scelta sbagliata?

Nessun teatro, come nessun luogo, è un posto sicuro; quindi sono stato d’accordo con la chiusura dei teatri. La chiusura, in realtà, è stata inutile come la riapertura. In questo mese il dibattito culturale ha sbagliato obiettivo: chiudere i teatri non impedisce ai lavoratori dello spettacolo di lavorare, progettare e produrre, ma impedisce al pubblico di vedere gli spettacoli, di vivere il teatro. Il problema vero è sociale: chiudere gli spazi culturali crea disagio sociale. Soprattutto se lasci tutto il resto aperto. Questo è il problema.

Non c’è nessuna crociata contro la cultura, dunque?

È una polemica molto ideologica. Andava fatto un ragionamento diverso: bisognava trovare un modo per sostenere i lavoratori dello spettacolo, in maniera maggiore rispetto a quello che già si sta facendo, e immaginare un modo per chiudere il prima possibile e predisporre riaperture in sicurezza fra qualche mese. Nessuno spazio, oggi, è sicuro.

In molti, senza evidenze scientifiche, hanno considerato i luoghi di cultura come spazi sicuri.

Era una cavolata, ovvio. Ma come fai a sapere che un teatro è un luogo sicuro? Non sono disponibili evidenze scientifiche sui luoghi in cui avviene il contagio, quindi anche i dati forniti dall’Agis erano incerti. A testimonianza di ciò le notizie di positività fra i lavoratori dello spettacolo in tanti teatri italiani.

Il problema ritorna al sociale, allora?

Per una comunità avere un teatro chiuso è un problema grandissimo. Bisogna avere una prospettiva lungimirante per programmare le riaperture, attivandosi in ogni modo per ricucire quel dialogo che faticosamente si crea fra un teatro e la sua comunità.

La Bottega degli Apocrifi cosa ha scelto di fare?

Bisognerebbe stare fermi e aspettare, ma non abbiamo voglia di sacrificare la relazione con il nostro pubblico. In questi mesi abbiamo ragionato a lungo sul nostro compito, su cosa si potesse o non si potesse fare. Per chi fa spettacolo dal vivo è difficile accettare lo streaming, ma in questa situazione così particolare dobbiamo cominciare a utilizzare i mezzi tecnologici. Questi mezzi, ora, sono indispensabili: dobbiamo utilizzarli al meglio.

Come?

“Lo facciamo così. Tutto il teatro e la musica che possiamo, ora”, un mese di palinsesto teatrale in streaming dal 5 dicembre al 6 gennaio. Non tutto il teatro può essere trasmesso, così abbiamo scelto di proporre su una piattaforma a pagamento quattro spettacoli del repertorio della Bottega degli Apocrifi e due nuove produzioni immaginate appositamente per una fruizione virtuale. Abbiamo scelto spettacoli adeguati al mezzo, spettacoli che hanno un potente impatto visivo e sonoro, spettacoli che cercano di ricreare quel calore e quella partecipazione che sono alla base del nostro modo di fare teatro. 

Cosa vedremo in scena?

Proprio in scena, perchè tutti gli spettacoli sono stati e saranno realizzati sul palco del Teatro Lucio Dalla, vedrete il 5 e il 6 dicembre “Uccelli”, l’8 e il 13 “Sinbad il viaggiatore”, il 26 e il 27 “Schiaccianoci swing”, il 29 e il 30 le inedite “Storie di Giovanni con la chitarra”, il 31 dicembre e il 1° gennaio “Sonetti. Cantare Shakespeare” e il 6 gennaio la nostra nuova produzione “Che concerto è la vita!… di Mozart e altre allegrie”.

Spettacoli vecchi e nuovi si alterneranno in questa programmazione. Gli attori hanno condiviso questa idea?

Quando abbiamo immaginato questa idea ci siamo detti che non si poteva realizzare questo progetto a discapito degli attori. Così, abbiamo chiamato tutti gli attori di queste produzioni e abbiamo deciso di pagare la giornata in cui manderemo in rete lo spettacolo che li vede protagonisti. Anche se saranno a casa, e fisicamente non lavoreranno, noi pagheremo per tutti gli attori una giornata lavorativa. Come compagnia la nostra risposta è pratica, non ci interessano le polemiche. C’è un mezzo? Va bene, proviamo a trasmettere il nostro miglior prodotto in rete. Dall’altra parte, però, agli attori vogliamo che venga riconosciuto il proprio lavoro: è un diritto.

Il pubblico sicuramente risponderà a questa vostra chiamata. In questi mesi vi hanno dedicato delle dichiarazioni d’amore. Com’è nato questo dialogo?

Bisognava continuare a stabilire relazioni. Il nostro pubblico ci ha cercati, voleva essere partecipe. Noi ci siamo messi in ascolto perchè in questo momento non possiamo parlare: il nostro modo di parlare è fare spettacoli, teatro, non conversazioni. Allora abbiamo lasciato parlare loro con delle dichiarazioni d’amore al luogo, al loro teatro e al nostro lavoro. È una cosa molto libera: ci si candida e si registra una dichiarazione d’amore. 

Il covid-19 ha aggravato una situazione critica per i lavoratori dello spettacolo. È difficile conciliare la produzione artistica con la gestione di un’impresa culturale?

Io non le ho mai pensate in maniera distinta. Il momento attuale è difficile non solo dal punto di vista economico, ma anche da un punto di vista creativo. Le preoccupazioni e le ansie che tutti stiamo vivendo a volte annebbiano parecchio la lucidità per guardare bene, reinventare, sognare di più. Dall’altra parte io non mi sono mai preoccupato troppo dei confini che separano la produzione artistica dalla gestione dell’impresa o del gruppo dei lavoratori. Ci siamo sempre preoccupati di far stare bene i lavoratori e il pubblico e non abbiamo mai rinunciato a un’idea perchè non avevamo le risorse. La preoccupazione per le risorse semmai ha modificato l’idea di partenza, l’ha cambiata, ci ha fatto i conti, ma non l’ha mai travolta. Questo non significa scendere a compromessi, ma semplicemente confrontarsi – come dovrebbe fare un artista – con la realtà.

Ci si riesce sempre?

Stiamo lavorando su Mozart. Nella sua vita ha sempre fatto i conti con le proprie economie. Il problema di suo padre era economicizzare al massimo il talento del figlio al punto di farlo esibire in luoghi non elitari. Bistrattati dall’aristocrazia erano considerati dei mercanti, non degli artisti. È cambiata qualcosa nell’idea musicale di Mozart? Sicuramente, perchè doveva fare i conti con l’economia e con i suoi possibili pubblici. La creazione artistica non deve essere succube, ma non può mai ignorare l’economia e la realtà.

Il vostro teatro è fisico, prossimo ai corpi, attento alle relazioni. Come lo state vivendo quel luogo?

Siamo ritornati in teatro appena abbiamo avuto la possibilità di abitarlo legalmente. Dopo l’apertura simbolica a giugno abbiamo lavorato negli spazi interni, mentre in estate – grazie alla disponibilità preziosa della preside Sinigaglia – abbiamo incontrato la città nella piazza adiacente al teatro. Oggi rimane aperta la segreteria, ma personalmente lo vivo molto meno in questo momento. Il teatro, anche per quello che faremo, oggi è un luogo virtuale. Al luogo fisico, per ritornare a essere vivo, serve il calore del pubblico.

Non è nulla un teatro senza il suo pubblico?

Non è nulla, ma oggi il nostro compito non è ribadire che i teatri senza pubblico sono poca cosa, ma ricordare alla gente di stare a casa: il più possibile. A me dispiace tantissimo perchè è in gioco il mio mestiere, ma in questo momento possiamo incontrare la nostra comunità solamente online. Noi, in una forma compatibile con la tragedia che stiamo vivendo, faremo tutto il teatro e la musica che possiamo. Ora.

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