Paola Masino, l’intellettuale che ha osato scrivere la sudditanza femminile con brillante ironia

by Paola Manno

“Nascita e morte della massaia” è senza dubbio uno dei romanzi più interessanti della letteratura italiana e la sua autrice, Paola Masino, una tra le penne migliori del panorama della scrittura novecentesca. Eppure sono in pochi, in pochissimi, a conoscere quest’opera e la donna che l’ha scritta e le ragioni, temo, hanno probabilmente a che fare con quelle discriminazioni di genere a cui molte autrici sono ormai tristemente abituate.

Paola Masino, in fondo, non era altro che l’amica-ammiratrice di Luigi Pirandello, colei che aveva frequentato Paul Valéry, André Gide, i grandi intellettuali ed artisti italiani e stranieri protagonisti dei primi esperimenti surrealisti dell’arte, la segretaria di redazione de “L’Europe Nouvelle”, ma soprattutto la moglie del grande Massimo Bontempelli, che conobbe giovanissima (lui aveva trent’anni in più) e con il quale visse un amore appassionato che durò tutta la vita. Paola Masino, “l’eccentrica vestale autrice di un mucchietto di libri, alcuni pubblicati con successo nella giovinezza e poi entrati nel buio della dimenticanza e da ultimo autrice di libretti d’opera che nessuno vuole ascoltare” (come l’ha definita Sandra Petrignani in un articolo di qualche anno fa) era una donna che voleva scrivere, e che, grazie al cielo, ha scritto. Le sue parole sono sopravvissute alla censura fascista che definì il romanzo “disfattista e cinico”, sopravvissero persino ad un bombardamento alleato che ne distrusse la prima tiratura e sono arrivate vivissime nell’edizione Garzanti del 1970 con una lunga, preziosa prefazione dell’acuto Cesare Garboli che mise in risalto le squisitezze neooclassiche, nonché l’umorismo elegante, sottile e beffardo della scrittrice.

Perché “Nascita e morte della massaia” è un romanzo così prezioso? Per moltissime ragioni, prima tra tutte una scrittura che dipinge e castiga nello stesso istante. La massaia, prima di essere una massaia, è una bambina che vive in un baule. Qui trascorre le sue giornate a leggere, cibandosi di molliche di pane, dimenticandosi persino di lavarsi: sono gli anni più felici della sua esistenza. Eppure arriva il tempo di diventare altro, e la donna infatti diventa altro, e cioè una signora per bene che sposa un anziano ricco zio diventando una perfetta padrona di casa. La massaia non ha nome e tu leggi il romanzo e ti chiedi perché e dici a te stessa che forse quel nome non c’è perché è il nome di tutte le donne, il mio, il tuo, quello di mia nonna e di mia madre. Più vai avanti nella lettura più capisci che invece non è quello il motivo, già triste, ma è un altro, e cioè che probabilmente a questa donna massaia che poi siamo tutte noi non spetta neanche quello che è il primo diritto, e cioè quello di avercelo, un nome. Alla fine delle sue strampalate, tragiche avventure, infatti, la massaia muore e nemmeno sulla tomba è riportato il nome, sebbene lei resti fedele al suo dovere e continui a fare quello che ogni donna deve, perchè non si finisce mai e anche in una tomba c’è sempre tanto da fare.

La fine è amara, amarissima e le parole che chiudono il romanzo non lasciano speranza di salvezza eppure il filo rosso della narrazione è un’esilarante, irresistibile ironia che crea momenti di divertimento sopraffino, dolce e amaro, purissimo. Paola Masino è una scrittrice straordinariamente abile, colta, raffinata e allo stesso tempo terra-terra, come tutte le donne che poggiano la penna sulla scrivania per andare a pulire il gabinetto.

E infatti i suoi occhi, come quelli di una stregaccia, sono strabici e guardano lontano: uno il reale e l’altro il magico, e uno piange mentre l’altro ride a crepapelle. Così è la sua scrittura, vicina al realismo magico ma pure concreta e sporca, ed è tutta concentrata su di una riflessione profondissima.

Allora perché abbiamo dimenticato Paola Masino? Perché Paola Masino non è nelle antologie scolastiche? Forse perché Paola Masino è stata una donna che ha tenuto gli occhi spalancati nonostante la luce ferisca, perché ha messo in bocca alla sua massaia parole furiose che fanno male, ma che pure dobbiamo ascoltare: “Malvagio sogno che hai disubbidito; dovevi dimostrarmi che anche nel raccomodare una calza si può trovare un universo, non farmi intendere che ho lasciato l’universo per rammendare calze.”

Perché Paola Masino ha visto, e ha capito, e infine ha osato scrivere la sudditanza femminile con brillante ironia, con una triste, preziosissima serietà.

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