Rupi Kaur: la poesia è viva

by Paola Manno

La bellezza spesso ha i tacchi bassi e i capelli spettinati, ma capita, a volte, che faccia molto rumore. Mi fa sorridere l’idea che la prima raccolta poetica di Rupi Kaur, che ha poi venduto 5 milioni di copie ed stata tradotta in 39 Paesi, sia stata una autopubblicazione. Questo racconta che la ragazza Rupi lo sapeva dall’inizio che le sue sono parole di cui il mondo ha bisogno.

È andata così, le persone, i giovani soprattutto, l’hanno scoperta in questo mondo immenso che è la rete e hanno iniziato a seguirla, ad amarla, a condividere i suoi versi e il disegni che spesso accompagnano le parole, e così Rupi Kaur è diventata una delle instapoet più famose del mondo.

Di origine indiana, Kaur conosce da bambina cosa vuol dire essere un’emigrata (la famiglia si trasferisce in Canada quando lei ha 5 anni), le difficoltà ad apprendere una lingua. Per questo inizia a disegnare, spinta dalla madre, per esprimersi. Disegna ciò che vuole il tuo cuore, le dice. Il suo cuore l’ha portata a raccontare se stessa, il suo essere donna, con una forza prepotente che ha sfidato quelli che sono ancora oggi tabù legati al mondo femminile. Tra le sue opere vi è il racconto fotografico sul ciclo mestruale, attraverso parole piene di poesia. Nel 2015 ha pubblicato su Instagram alcune foto in cui si ritrae nei giorni del ciclo: una donna stesa su un letto e le lenzuola macchiate di sangue, gocce rosse in un water, il pavimento della doccia sporco, una mano che getta un assorbente igienico.

The period, questo il titolo dell’opera, racconta la quotidianità che tutte le donne vivono ogni mese. Nel descrivere il suo lavoro, Kaur utilizza parole come santo, divino, ponte, amore, vita, bellezza. Le foto vennero rimosse da Instagram per non aver rispettato i termini di servizio del sito, confermando all’autrice che proprio in quella censura si celava il senso del suo lavoro.

Nelle sue poesie, le parole dei versi seguono l’un l’altra: non una maiuscola, non un segno di punteggiatura. Le parole, i nomi, quello che viene prima e quello che viene dopo, tutto possiede la stessa dignità. Tutte nella stessa condizione, come la dedica del suo ultima raccolta poetica, the sun and her flowers, ai membri della sua famiglia: siamo sulla stessa barca siete la definizione dell’amore.

Rupi Kaur scrive innanzitutto di se stessa. Al centro dei suoi componimenti c’è sempre l’io, parla sempre in prima persona: vedo, vivo, sento, ascolto, possiedo. Racconta l’amore ma anche il disamore, racconta abbandoni e promesse spezzate, il tormento dell’attesa e la rabbia della solitudine, ma poi urla al mondo che si sopravvive: quando mi hanno sepolta viva mi sono aperta una strada fino alla superficie (…) la mia intera vita è stata una resurrezione una sepoltura dopo l’altra. Racconta la sessualità felice, la masturbazione, ma alza la voce e ha il coraggio di dire la violenza, quella fisica, quella dell’uomo sul suo corpo che diventa il corpo di tutte quelle che conoscono il dolore. Il corpo della donna violata per Kaur è una casa senza gas né elettricità né acqua corrente, dove il cibo è andato a male. I versi sulla violenza che lei descrive, sono tra i più potenti che io abbia mai letto, fanno tremare la coscienza nella loro semplicità: chiamate l’elettricista non mi si accendono più gli occhi chiamate i lavandai che mi ripuliscano e mi stendano ad asciugare. Eppure si continua a vivere, e a un certo punto si diventa consapevoli (io sono talmente stanca di fare a modo tuo) e si dice a se stesse, si pubblica su un social, si mette per iscritto su pagine che milioni di donne leggeranno, che il corpo è nostro, che questa casa è quella in cui sono venuta al mondo è stata la prima casa sarà l’ultima casa non puoi prenderla tu per te non c’è posto.

Le poesie di Rupi Kaur sono piene di spazi contrastanti, piene di male e di bene, ma sul male vince la luce, e forse per questo i suoi versi sono riusciti a parlare ai più giovani, perché i ragazzi, più di tutti, sono attratti dalla luce. È una poesia sincera, diretta, che vuole dire delle cose, che vuole farsi capire, che non vuole farsi bella ma solo essere utile, una poesia che vuole gridare e lottare. Penso ai diari degli adolescenti degli anni ’90, quelli della mia generazione, pieni di versi di canzoni; penso a me quando avevo 15 anni e al ruolo che la poesia ha avuto nella mia vita, al mio tendere, anche da giovanissima, verso la lirica potenza delle parole, e sono felice nel raccontare che questo mondo veloce ha certamente ancora bisogno di poesia. Se oggi la poesia vive sui social, ma anche sui nostri comodini, vuol dire che è viva, necessaria. Rupi Kaur ce lo dice, e la sua poesia canta proprio questo, la bellezza del vivere, un sentimento che viene tramandato, forse non a caso, da donna a donna: alla mia nascita mia madre ha detto c’è dio in te senti che danza.

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