Anna Kuliscioff e il diritto al voto delle donne. L’affascinante percorso di una intellettuale che incrociava pubblico e privato

by Molly Clauds

Alle donne italiane, 1897

Fra pochi giorni una parte del popolo si recherà alle urne per l’elezione dei rappresentanti del Parlamento. Ciascuna classe, ciascun partito si agita, cerca di intendersi, di far propaganda attorno a sé, per fare emergere chi meglio rappresenti e possa difendere i suoi interessi, fare leggi a suo favore, giudicare e sostenere o abbattere il potere esecutivo che le leggi fatte applica in un modo piuttosto che nell’altro.

Noi donne siamo totalmente escluse da questa gara. Noi, secondo la presunzione che informa la legge, non abbiamo interessi da difendere, scopi da raggiungere, idee da patrocinare e da mandare avanti. Lo Statuto del Regno parla di cittadini tutti eguali davanti alla legge, che devono tutti godere eguali diritti civili e politici. È evidente dunque che noi non siamo cittadine: siamo delle straniere nel nostro Paese; siamo la cosa degli altri, di alcuni altri, il loro strumento, ed è per loro benignità che possiamo vivere e respirare.

Dal semplice Signora Anna a Zarina d’Italia. Anna Kuliscioff nelle tre decadi di attivismo politico è stata definita in mille modi, senza che nessuno di questi esaurisse la sua eterogenea complessità, fatta di culture diverse, esperienze, conoscenze, amori, radicalismi. Il suo è un affascinante percorso di donna e di intellettuale, ancora fonte di ispirazione per chi si dice femminista.

Nata in Crimea in una famiglia borghese, assetata di giustizia, a 18 anni nel 1872 è tra le primissime donne ad essere ammessa al Politecnico di Zurigo, dove sviluppa le sue idee politiche vicine a Bakunin. A un editto nazionalista dello zar, che imponeva agli studenti russi di tornare in patria, Kuliscioff reagisce con un gesto di protesta, bruciando in pubblico il proprio libretto universitario, sancendo l’inizio della sua attività politica libertaria e rivoluzionaria.

Tornata in Russia aderisce al movimento giovanile dell’andata al popolo, un’iniziativa che porta i giovani intellettuali nei campi, tra i contadini, per fare propagande socialiste. È un momento che segnerà per sempre gli ideali di Anna Kuliscioff.

Nel 1877 scampa all’arresto, riparando in Svizzera a Lugano, dove stringe amicizia con i più importanti leader anarchici e del nascente socialismo internazionale. Nell’autunno dello stesso anno ad una riunione politica a Berna conosce Andrea Costa, con cui inizia una relazione. Per sfuggire alle spie zariste cambia il proprio cognome, da Rozenstejn a Kuliscioff, forse in omaggio ai coolie, da cui il tedesco Kuli, spregiativo per “facchino”, con il quale diverrà celebre in Europa. Seguono anni turbolenti, fino all’arresto a Firenze con l’accusa di cospirazione sovversiva.

Pubblico e privato per lei hanno un inestricabile rapporto. In questo contesto di rivoluzione perenne si inseriscono anche le appassionate storie d’amore con due esponenti di spicco del socialismo italiano, Andrea Costa appunto e Filippo Turati, ai quali ha donato sempre la sua analisi precisa dei movimenti sociali ma anche della politica di palazzo.

Come scrive la studiosa Elena Vozzi, pur legata sentimentalmente a figure così centrali della politica italiana, Kuliscioff non accetterà mai di essere solo la “compagna di” né abdicherà mai alla propria realizzazione professionale e intellettuale. È la primissima ad insistere sulla desinenza al femminile. A pretenderla. Si fa chiamare medica, è tra le prime specializzate in medicina in Italia, tra le prime donne ad essere iscritta all’albo dei giornalisti.

È con il giornalismo con l’Avanti e con Critica Sociale giornale fondato con Turati che si mantiene economicamente. È del 1912 il quindicinale “La Difesa delle Lavoratrici”, al quale contribuiscono le firme più influenti del primissimo femminismo italiano.

Il femminismo per lei è sempre legato al socialismo, è sempre dentro un fronte di lotta più ampio, che include salari, tempi lavorativi, annullamento dei privilegi di sesso o classe. Il dominio maschile per lei si fonda sulle relazioni interpersonali e non solo sugli schemi produttivi del capitalismo, sulle basi sociali e i riferimenti culturali. È la prima ad intravedere il patriarcato interiorizzato anche nelle donne.

“O compagne, o reiette, o dimenticate, o vittime eterne, levatevi! O schiave, siate cittadine! O femmine, sappiate esser donne!”, scrive mostrando che l’emancipazione femminile è morale ed intellettuale, economica e legislativa.

Nel 1902 viene approvata in Parlamento la legge Carcano che rielabora un progetto a tutela del lavoro delle donne e dei bambini portato avanti da Kuliscioff e presentato alla Camera da Turati.

Fortissimo il suo antifascismo, che si legge in una bellissima lettera a Turati del 17 novembre 1922, a meno di un mese dalla marcia su Roma. Aveva preconizzato molto presto la natura violenta e dittatoriale dell’ex socialista Benito Mussolini.

“Mio carissimo,

oggi chiederei a te una parola di conforto, tanto sono piena di disgusto, avvilita e quasi sgomenta dello spettro di rovine che si prospetta sull’avvenire. Tutto è estremamente pazzesco: le scudisciate distribuite in pieno a tutta la Camera, il disprezzo del Parlamento, gli insulti ai deputati, pronti a schiacciarlo coi loro voti di fiducia, la nessuna reazione degli sputacchiati e umiliati deputati, salvo un timido grido di Modigliani, non seguito da nessuno e caduto nel vuoto in mezzo al servilismo sbigottito di tutti….”

Il delitto Matteotti è per lei l’incubo Matteotti. Anna e Filippo lo considerano come un figlio. «Una tegola sulla testa di un tale colpo da rimanere sbalordita e mezzo scema».

Muore nel 1925 senza poter vedere il suffragio universale esteso alle donne. Il diritto al voto è una delle sue battaglie più grandi.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.