Festivalfilosofia alla XX edizione. Le Macchine tra dominio, corpo e intelligenza. “Oggi c’è un grandissimo proletariato digitale”

by Anna Maria Giannone

In principio era la felicità. Era il 2001 quando a Modena, Carpi e Sassuolo faceva il suo esordio Festivalfilosofia, indagando proprio il tema della felicità. Prendeva il via una delle manifestazioni più importanti per la vita culturale italiana, unica nel porre al centro il pensiero filosofico e le sue domande sul contemporaneo. Dal 2001, senza interruzioni, le tre città emiliane tornano ad essere capitali filosofiche, chiamando i più accreditati intellettuali a porre il proprio sguardo su un concetto chiave, filo conduttore di ogni edizione. Anche quest’anno il festival torna a interrogare il presente, adattandosi alle nuove esigenze di sicurezza anti Covid, ma non mutando la sua tradizionale formula: 150 appuntamenti gratuiti nelle piazze e nei cortili delle tre città, dal 18 al 22 settembre.

Macchine è Il tema scelto per questa XX edizione, un omaggio al pensiero di Remo Bodei, presidente del comitato scientifico del festival fin dal suo avvio, scomparso nel 2019. Così fra lectio magistralis, ma anche spettacoli, mostre e performance, 42 relatori scandaglieranno le numerose declinazioni del tema, per far emergere le sfide poste dall’innovazione tecnologica e dall’intelligenza artificiale. Un terreno di riflessione, quello dell’incontro fra umano e artificiale, in cui si incrociano numerose e complesse implicazioni, sfociando nella politica, nella salute, nella ridefinizione della vita stessa.

Fra i relatori presenti tanti i grandi ritorni: Massimo Cacciari, Umberto Galimberti, Massimo Recalcati, Michela Marzano, Silvia Veggetti Finzi, Enzo Bianchi. Numerosi anche gli esordi, 17 nuovi ospiti, per la prima volta al festival, fra cui Schnapp, Soro, Sadin, O’Connell.

Nella prima giornata del festival noi di bonculture abbiamo chiesto a Daniele Francesconi, direttore scientifico, di guidarci fra quello che succederà.

Venti edizioni, venti temi affrontati: cosa ci racconta il percorso tematico tracciato dal festival fino ad ora?

In 20 anni si sono attraversate alcune delle questioni di fondo, non solo della tradizione filosofica, ma della contemporaneità. Per certi aspetti, ricostruendo i programmi del festival si può rintracciare un’evoluzione complessiva della cultura e delle nostre società. Negli ultimi anni sotto la lente sono stati posti temi legati all’apparenza sociale, aspetti che le nuove tecnologie, i social media hanno modificato e reso centrali. Guardano in obliquo il percorso tematico del festival, emerge come il suo occhio sul contemporaneo abbia indicato le trasformazioni del nostro stare al mondo.

L’edizione che si appresta a iniziare sarà la prima senza la supervisione scientifica di Remo Bodei. Che eredità lascia al festival una figura così importante?

Remo Bodei non solo è stato il presidente del comitato scientifico, è stato un maestro, un amico. Nel tempo ha costruito una relazione davvero unica con il festival, con chi ci lavora, con la città. Sarà una grande mancanza, dunque, ma anche una grande eredità di pensiero. II suo ultimo libro, “Dominio e sottomissione” è un’importante opera sulla questione delle macchine, un tema che ha attraversato tutto l’arco della sua carriera di studi. Pur allargandosi rispetto alla traccia storiografica del libro, il programma del festival è per molti versi proprio un omaggio al suo pensiero, non una semplice commemorazione della persona.

Veniamo al tema di questa edizione, Macchine: quali sono i percorsi che si delineano a partire da questo concetto?

Utilizzo tre parole chiave per esprimere i percorsi che emergeranno da questo tema: Dominio, Corpo, Intelligenza. Il Dominio riguarda essenzialmente la questione del lavoro. Le macchine sono state il primo strumento attraverso il quale gli uomini si sono liberati dalla fatica del lavoro, hanno promesso emancipazione e indipendenza, anche in modo estremo, con la rivoluzione dell’automazione. Ma c’è anche un lato oscuro: oggi c’è un grandissimo proletariato digitale. Nel momento in cui lavoro e conoscenza hanno abbattuto i reciproci confini, anche nell’ambito dei lavori più altamente qualificati si è affacciato lo spettro della proletarizzazione. D’altro canto c’è il rischio che le macchine possano innescare una dipendenza esistenziale, viviamo iperconnessi, attaccati ai nostri device: più che padroni ne siamo servi.

La questione delle macchine inverte anche il tema del Corpo e della salute. Da un lato il nostro corpo è esso stesso un automa, una macchina biologica, dall’altro abbiamo corpi post umani: incorporiamo protesi di tutti i tipi, siamo viventi e artificiali al tempo stesso, abbiamo macchine tecnologiche di ultima generazione che ci monitorano. Le macchine promettono benessere ma, di contro, ci sembra di non essere più padroni dei nostri dati. Viviamo continuamente sorvegliati. La relazione fra libertà e sicurezza, fra privacy e sorveglianza, diviene cruciale nel rapporto fra macchine e umanità e noi l’affronteremo da vari punti di vista. Se ci mettiamo che siamo ancora in piena emergenza epidemiolgica, ne capiamo l’urgenza.

L’ultima questione riguarda l’Intelligenza: qual è il rapporto fra intelligenza umana e intelligenza artificiale? Queste questioni sono una grande occasione per ridefinire l’umano. Il confine fra uomini e macchine sta cambiando e anche la loro possibilità di collaborazione. Ci sono molte funzioni dell’umano che ritenevamo esclusive, come pensare, calcolare, e che oggi sono svolte anche delle macchine. Questo vuol dire che il proprio dell’umano sta da qualche altra parte.

Nella relazione fra umano e artificiale diviene centrale il rapporto con l’imperfezione, con l’errore…

Questo è sicuramente uno degli aspetti e solleva la questione dell’evoluzione dell’umano e del vitale nel suo complesso. Anche le macchine imparano dai propri errori, il machine learning è proprio questo. L’imperfezione, il difetto, hanno dato nel corso della storia una grande prospettiva di sviluppo. Dall’errore possiamo apprendere. Il grande vantaggio dell’umano sta proprio nella sua capacità di muoversi agilmente in situazioni non routinarie e non ripetitive. Una macchina può compilare centomila dichiarazioni dei redditi, può anche somministrare un’anestesia in operazioni chirurgiche di alta complessità, ma non potrà mai rifare i letti, perché il modo in cui un letto si disfa è talmente imprevedibile che richiede abilità neuromotorie che nessuna macchina è in grado di replicare, funzioni selezionate negli stadi più arcaici dell’evoluzione che per il momento sono appannaggio solo di noi sapiens. Il punto di discriminazione non passa attraverso la complicazione del compito ma attraverso la sua complessità.

Come ogni anni ci saranno nomi nuovi del pensiero che affiancheranno “veterani” del festival. Quali i nuovi ospiti di questa edizione?

I nomi nuovi sono circa la metà degli ospiti. Molti di loro sono legati al tema scelto, studiosi provenienti dalla filosofia ma anche dai suoi margini. Nel nostro festival convergono molte discipline; scienze sociali, economia, letteratura. Alcuni di loro hanno molto lavorato al superamento della divisione fra cultura umanistica e sapere tecnologico. Ad esempio Schnnap, americano fra massimi esperti di umanesimo digitale, ma anche Michele Di Francesco filosofo che ha lavorato molto sul rapporto fra mente, cervello e intelligenza artificiale. Altro nome nuovo che mi piace sottolineare è quello di Francesca Bria, economista, esperta di sistemi di programmazione urbana, studiosa che si è posta in maniera molto forte il problema della democratizzazione dei big data.

Dove non arriva il pensiero filosofico arriverà il programma artistico a corredo del festival. Quale lettura del tema daranno gli eventi in programma?

Grazie alle arti abbiamo avuto, nel corso della storia, tantissime anticipazioni di futuri tecnologici, quasi mai realizzati perché l’immaginario ha il compito di prefigurare e non di prevedere. Nel programma artistico vedremo tante cose legate a questo aspetto. Federico Buffa, ad esempio, racconterà di Kubrick e del suo “2001 Odissea nello spazio”, matrice di tutte le ribellioni delle macchine all’uomo. Marco Paolini nel recital tratto da un suo romanzo “Le avventure di numero primo”, racconterà di un ragazzo messo al mondo da un’intelligenza artificiale. Il programma artistico darà spazio alle situazioni in cui le arti hanno fatto il loro mestiere, che è proprio quello di stare un passo avanti e immaginare quello che non c’è ancora. Quando parliamo ad esempio del rapporto fra emancipazione e asservimento alle macchine la fantascienza, il cinema, la letteratura ci hanno già di molto anticipato.

Venendo alle modalità di fruizione, come avete organizzato la messa in sicurezza del pubblico?

Per il primo anno abbiamo messo su un sistema di prenotazione. Le platee saranno naturalmente sottoposte al tutte le misure anti Covid, sanificazione, distanziamento, mascherine negli spazi comuni: norme diventate ormai abitudine. Abbiamo comunque deciso di mantenere tutti gli appuntamenti dal vivo, nessun evento sarà on line. Abbiamo potenziato gli allestimenti, con maxi schermi in più punti. Per alcuni autori abbiamo addirittura immaginato di trasmettere la lezione su tutti i maxischermi presenti nelle diverse città del festival, in modo da permettere la fruizione più ampia possibile.

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