Notturno, un dipinto sull’orrore dei confini di Gianfranco Rosi

by Paola Manno

Esco dal cinema questa sera e ho l’amaro in bocca. Il film che ho appena visto è “Notturno”, presentato al Festival di Venezia, il regista è Gianfranco Rosi, autore pluripremiato per “Fuocoammare” e “Sacro GRA”. 

Faccio una lunga passeggiata per mettere a posto i pensieri, uscendo da questa sala buia devo lasciare i confini che il film racconta, quelli tra Siria, Libano, Iraq e Kurdistan. Ho bisogno di percorrere queste strade europee e di sentirmi al sicuro.

Mi restano conficcati negli occhi gli occhi di un ragazzino di 13, 14 anni, uno dei protagonisti del documentario. È un adolescente di una bellezza folgorante, dai lineamenti delicatissimi e dallo sguardo più triste del mondo. È così espressivo e fotogenico che potrebbe finire sulle copertine di riviste patinate, penso, e invece è nato in mezzo a una guerra, in una famiglia senza un padre, con tanti fratelli, ed essendo il maggiore gli tocca alzarsi all’alba e lavorare per 5 dollari al giorno. 

Mi restano conficcati nelle orecchie i lamenti che aprono il film. Rosi ha accompagnato una madre nel luogo in cui suo figlio è stato torturato e questa madre ha cantato e quel canto ti tocca l’anima più delle foto del morto ammazzato tra le sue vecchie dita nodose.

Mi resta nel cuore il racconto di un bambino che non parla, balbetta cose che nessuno al mondo dovrebbe mai vivere. 

Camminando penso che oggi tutti sappiamo, penso che non possiamo più accettare questa umanità calpestata, penso a quanto a lungo, ancora, riusciremo a vivere nelle nostre tiepide case mettendo da parte il peso che portiamo sulla coscienza. 

Tuttavia è un altro il pensiero che mi ha accompagnato per tutta la visione del film, sin dalle primissime immagini e adesso, su queste strade, ne riconosco il nome. Sono alcune parole di Sartre, dell’opera “Le mani sporche” che ho studiato al Liceo e che sgorgano dalla memoria prepotenti: “Come tieni alla purezza, ragazzo! Come hai paura di sporcarti le mani. Ebbene, resta puro! A che cosa servirà e perché vieni tra noi? La purezza è un’idea da fachiri, da monaci. (…) Io, le mani, le ho sporche. Le ho affondate nella merda e nel sangue fino ai gomiti”. 

Come tieni alla purezza, già, caro Rosi! Le immagini del film sono di una potenza estetica senza eguali. Ogni immagine è un quadro. Ogni inquadratura assolutamente perfetta, ogni movimento di camera preciso, i lunghi, preziosi piani fissi su quello che succede che però non è un film, è la vita vera. Sento la presenza della macchina da presa costantemente, è quella che cerca il momento, la luce giusta, il passaggio giusto, il cavallo bianco immobile in mezzo a una città in cui si sentono solo gli spari. Tutto si carica di poesia. Rosi ha lavorato 3 anni sul film, il che ha certamente permesso una selezione impeccabile, eppure sento che qualcosa manca. Sento che la sua è una poesia barocca. “Notturno” per me si avvicina a una forma pura di cinema. Le tute arancio dei prigionieri che escono per l’ora d’aria. La marcia dei soldati. La bellezza delle resistenti curde, che ho amato nel prezioso film di Giancarlo Bocchi, “Le ragazze della rivoluzione”. Tutto diventa simbolico. Eppure. 

Eppure ho voglia di capire e non capisco. L’autore mostra ma sento di aver bisogno di altro. Le donne non parlano, gli sciagurati rinchiusi in una clinica psichiatrica riportano le parole che qualcuno ha scritto per loro- copione di una recita teatrale-, i bambini ripetono alla maestra i ricordi della guerra e la loro è la sintesi del racconto del male, ma non sciolgono dei nodi che forse andrebbero sciolti. Le immagini urlano un messaggio chiaro ma il messaggio, oggi, non mi basta più. Ho bisogno di andare più lontano. Ho bisogno di ascoltare delle voci – non necessariamente attraverso delle bocche che parlano- che raccontino quello che succede, perché succede, come si reagisce al male, come  si sopravvive.

Penso che, soprattutto nelle vetrine internazionali, il cinema italiano ha bisogno di un’opera coraggiosa, oggi più che mai. La bellezza e la bruttezza non mi bastano. “Notturno” è un ossimoro che non mi basta. C’è qualcosa di troncato, interrotto, è un film monco, un film controllato, è un racconto che resta in superficie e di cui ho avuto, in alcuni momenti, addirittura l’impressione di un forzato esercizio di stile.  Con questo non voglio dire che un’opera esteticamente perfetta non possa raccontare la verità. Penso però che un documentario, se è questa la denominazione che si vuole dare al film, debba avere il coraggio di un tremolio di una telecamera a mano, che ti porta più che ogni altro artificio accanto all’uomo che trema nella nebbia; penso che debba avere la prontezza di cogliere una frase autentica, piena di gioia o di rabbia, che abbia il sapore della verità. Penso che lo sguardo di un autore, che nel cinema è uno sguardo preciso, sia meno interessante se resta fisso su quello che accade, ma molto più profondo se cerca una ragione. 

“Notturno”, è un film che non (mi) stupisce perché sembra rincorrere tutt’altro che il bisogno di raccontare. Non è un reportage ma ha anche molto poco della forza del documentario. È un dipinto sull’orrore dei confini che, grottescamente, resta sul confine, sfiorando il cinema puro e facendo l’occhiolino al cinema-verità, senza il coraggio di mettersi da una parte, oppure dall’altra. 

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