Babbo Natale e le sue strenne di Marco Cubeddu: il teatro per le nostre autofiction alla Scuola Holden

by redazione

Ci piaccia o meno, possiamo considerare il Natale come un teatro per le nostre autofiction” scrive Marco Cubeddu ed è proprio su queste, un po’ tossiche, un po’ terapeutiche, che il noto scrittore concentra un nuovo percorso di narrazione collettiva. Genovese, autore di romanzi (“Con una bomba a mano sul cuore” – Mondadori, 2013; “Pornokiller” – Mondadori, 2015; “Un uomo in fiamme” – Giunti, 2019), racconti, reportage e articoli critici e di costume per diverse testate (La Lettura e Sette del Corriere della sera, Il Venerdì di Repubblica, Link – Idee per la tv, Il Secolo XIX, Panorama, Il Giornale e Linkiesta), Cubeddu – dopo essere stato per cinque anni caporedattore della rivista Nuovi Argomenti – a fine 2020 dove dà vita ad ABC, Autofiction Before Crisis, un percorso multidisciplinare incentrato sullo storytelling autobiografico e sul concetto di mutazione narrativa. Con l’avvicinarsi del Natale si fa sempre più forte la necessità di raccontare e raccontarsi, di mettere in opera il nostro storytelling.

Marco Cubeddu terrà dunque, presso la rinomata academy di scrittura Scuola Holden, un corso di “autobiografica pre-natalizia” (https://scuolaholden.it/canti-di-natale/). Saranno quattro lezioni – al via il prossimo 2 dicembre, fino al 23 – per perdersi tra le varie narrazioni del Natale e trovarne una propria, ma soprattutto fermarla nel tempo con un racconto. Per come ce l’hanno sempre raccontato, il Natale dovrebbe essere un momento di estrema felicità pieno di pranzi sconfinati, canzoni tintinnanti, abbracci, sorrisi e cioccolate calde. Ma talvolta può significare anche fare i conti con conflitti, tregue, bilanci, confessioni e fughe. Questa sembra essere l’occasione giusta per usare questa festività come escamotage per riflettere su se stessi e sui propri conflitti passati, presenti e futuri, come Scrooge ne Il Canto di Natale.

Babbo Natale e le sue strenne

di MARCO CUBEDDU

All’inizio della nuova messa in scena di “famiglie infelici e modo proprio” di Franzen, il reverendo Russ «non avrebbe potuto chiedere un dono natalizio più bello di quattro ore da solo con lei». A prescindere dalle specificità drammaturgiche di questa “lei”, un innesco da manuale. Come già ne Le correzioni, romanzo intercorso dal tirante narrativo de “l’ultimo Natale insieme”, anche la storia di Crossroads è smossa da un bruciante senso di avvento. Anche se dietro ogni finestrella del calendario non sai mai che forma avrà il cioccolatino che ci trovi dentro, la vita, alla fine, è anche meravigliosa, e l’associazione feste/suicidi più una leggenda metropolitana che una verità statistica. Ma Natale, con la sua scia di nostalgie, aspettative, incontri, affronti, confronti, fughe, tregue, preghiere, confessioni, bilanci e finzioni resta l’ideale contesto per tutti i conflitti necessari a puntellare un buon testo. E la sottile linea d’ombra delle luminarie più o meno artistiche di cui le città si riempiono con sempre più largo anticipo svolge un ruolo cruciale nel gioco di strennizzazione tanto delle nostre storie preferite, quanto delle nostre vite. Tra detti e non detti, le liste di buoni propositi e mani avanti che fin da bambini ci abituiamo a premettere nelle letterine a Babbo Natale sono solo una punta dell’iceberg di ipocrisia che rischia di raggelarci il cuore durante le feste. Il piccolo Kevin di Mamma ho perso (e riperso) l’aereo, che non stando abbastanza attento a quel che desidera finisce col farlo avverare, ne è un perfetto esempio. Non solo i fanatici della legge dell’attrazione, anche il cinema mainstream ha il suo modo per ricordarci che il karma non è solo una moda, bensì un ottimo espediente narrativo. Così è per Jack di Nightmare Before Christmas, per Louis Winthorpe III di Una poltrona per due, per il personaggio di Nicholas Cage in The family man. Conflitti esistenziali, conflitti sociali, conflitti familiari. Tra special di serie tv e cartoni animati, avventure di Babbi Bastardi con Billy Bob Thorthon, Kurt Russell o Aldi Giovanni e Giacomi, e infinite versioni dei ricordi di miracoli a ogni angolo di strada, le immancabili reprimenda anticonsumistiche che provano a ricordarci cose tipo “Santa Claus non si sarebbe mai vestito di rosso non fosse stato per la Coca Cola”, sono parte del pacchetto. Il frattale del successo – inteso sia come affermazione commerciale, sia come participio passato di succedere – delle storie di Natale, ben al di là del giochino mentale di “quale dono natalizio che non dovresti chiedere mai chiederai comunque?”.

La regina delle storie natalizie moderne, quel canto di Natale che ritrae il cambiamento di Scrooge da avido cupido (pavido stupido ladro rapace e incapace…) a esuberante incarnazione di un violento scoppio di gioia, nasce con lo stesso contraddittorio presupposto di critica e celebrazione del capitalismo. Tre le tante versioni – dal musical del ‘70 con Albert Finney alla versione Disney con Zio Paperone (che del caro vecchio Ebenezer era già caricatura fin dal nome originale, Scrooge McDuck, affibbiatogli da Carl Barks) – il film biografico Dickens: L’uomo che inventò il Natale, di per sé banalotto, è utilissimo a chiarire il concetto: male e rimedio sono due facce della stessa medaglia. Dopo l’exploit di Oliver Twist, i romanzi successivi di Dickens non avevano venduto altrettanto. E così, all’apice della frustrazione, per non dire dell’avidità, Dickens decide di lavorare a qualcosa di natalizio. Nella storia, nella confezione e, soprattutto, nell’uscita in libreria. Nasce così la madre di tutte le strenne, col suo caravanserraglio psicanalitico di spiriti dei Natali passati, presenti e futuri istigatori di conti, tra alibi e ragioni, che non tornano mai. Se per Scrooge la questione è essere meno attaccato ai soldi, per il suo autore è quella di farne a palate.

Ci piaccia o meno, possiamo considerare il Natale come un teatro per le nostre autofiction, un po’ tossiche, un po’ terapeutiche, con cui esorcizzare – perpetuandolo – il nostro narcisismo. E nel farlo raccontiamo a noi stessi e agli altri chi siamo mentre lo diventiamo, così che la dialettica ammonimenti morali/arricchimenti materiali ricrei magicamente prodotti culturali grazie ai quali più le cose cambiano, più restano le stesse. Visto che non possiamo batterlo, e scriviamo di lui, tanto vale che ce li regaliamo, questi Canti di Natale, di cui siamo autori, protagonisti e spettatori.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.