Con l’emergenza Coronavirus dilaga la ‘quarantena’, precauzione nata a Venezia 700 anni fa

by Maria Teresa Valente

“Da conservarsi e da tenersi pronto per le occasioni, che Dio tenga sempre lontane”. Scriveva così nel 1721, sul frontespizio del suo manuale, intitolato ‘Del governo della peste’, lo scrittore Ludovico Antonio Muratori per spiegare dettagliatamente come fronteggiare la temuta piaga.

Il Muratori dedicò un intero capitolo alla quarantena, indicando dettagliatamente le regole di questa disposizione sanitaria “secondo la pratica de’ prudenti Maestrati di Venezia”. E sono appunto i veneziani gli inventori dell’isolamento precauzionale di ‘40 giorni’, che in veneto si dice appunto ‘quarantena’, termine largamente usato in questi giorni per via della preoccupante epidemia del coronavirus.

Per la precisione, la quarantena, un tempo detta anche ‘contumacia’, è una cautela in auge da settecento anni, ovvero da quando nel vecchio continente si affacciò per la prima volta (portata dall’Oriente tramite le navi dei commercianti infestate da topi infetti) la più terribile pandemia di tutti i tempi: la peste nera, che causò la morte di quasi un terzo della popolazione europea.

Il più antico documento sulla quarantena è conservato negli archivi di Ragusa ed è datato 1377. Situata nell’Adriatico meridionale, sulla costa oggi croata, da pochi anni Ragusa (l’attuale Dubrovnik) non era più sotto il dominio di Venezia ed era divenuta capitale della “quinta repubblica marinara”, ma con Venezia aveva continui scambi commerciali. In quel documento si stabiliva che le navi sospettate di avere a bordo l’infezione della peste dovevano sostare per 30 giorni in un luogo isolato prima di entrare nel porto. Era questo un tempo utile per verificare se si manifestassero o meno i sintomi della malattia. Questa disposizione era stata importata da Venezia, che la utilizzava già da tre anni, ma Ragusa fu la prima città a stabilire un approdo specifico per tali navi in isolamento.

Da Venezia e Ragusa, il provvedimento si diffuse presto in tutti i porti del Mediterraneo e fu portato a quaranta giorni, in omaggio al celebre medico greco Ippocrate (460-377 a.C.) secondo il quale “una malattia acuta deve manifestarsi entro 40 giorni, altrimenti è una malattia cronica”.

Perché proprio 40 giorni? Dal punto di vista scientifico il periodo di 40 giorni non ha alcun valore, ma trae origine dall’importanza data nell’antichità, specialmente in ambito religioso, al numero 40: il diluvio universale dura 40 giorni e 40 notti; Mosè ascolta la parola di Dio sul Sinai per 40 giorni; Gesù trascorre 40 giorni nel deserto; la Quaresima cristiana, periodo di preparazione alla Pasqua, è di 40 giorni.

Nel 1423 la Repubblica di Venezia stabilì che la quarantena delle navi sospette di essere infette si svolgesse su un’isola della laguna, di fronte al bacino di San Marco, dove sorgeva il monastero di Santa Maria di Nazareth. Così il ricovero degli appestati fu chiamato nazareto e poi lazzaretto, da una sovrapposizione con il nome dell’ospedale veneziano di San Lazzaro dove si curarono dapprima i lebbrosi e poi anche gli appestati. L’esempio di Venezia fu seguito sessant’anni dopo da Genova e a ruota da altre città marinare.

Assumendo nei secoli il valore generico di isolamento precauzionale per evitare contagi, e con una durata variabile a seconda del tipo di emergenza (passando da pochi giorni ad alcune settimane), l’usanza della quarantena si diffuse dunque dalla Repubblica di Venezia all’Europa e poi al mondo intero, ed anche oltre. Gli astronauti del programma Apollo, ad esempio, furono messi in una “quarantena” di 21 giorni di rientro dalla missione sulla Luna, per evitare qualsiasi rischio di contaminazione da eventuali microbi alieni.

E se non c’è quarantena senza epidemia, non c’è epidemia senza mascherina per prevenire i contagi. Ebbene, anch’essa fu un’invenzione veneziana, sempre legata alla terribile peste bubbonica. Il medico della peste, dal XIV secolo in poi, indossava un lungo mantello nero in tela cerata ed una maschera con una sorta di becco, fermata alla nuca da due lacci. Il lungo naso era riempito di erbe aromatiche che si pensava avessero virtù terapeutica, in quanto i medici che le indossavano non venivano contagiati. In realtà, l’odore sgradevole delle erbe teneva lontani i ratti, portatori delle pulci infette dal batterio della peste, e di conseguenza i medici non venivano morsi e non si ammalavano. Curiosità: oggi la maschera col becco ed il lungo mantello nero dei medici della peste, sono una maschera tipica del carnevale veneziano.

La diffusione del Coronavirus, che ha il suo epicentro nella città cinese di Wuhan, tiene banco ormai da settimane ed ha causato uno stato di emergenza sanitaria globale. La città di Wuhan, che conta 11 milioni di abitanti, è completamente isolata. Mai nella storia erano state messe in ‘quarantena’ tante persone nello stesso luogo.

È notizia delle ultime ore che un primo vaccino per il Coronavirus potrebbe essere pronto entro 18 mesi. Nel frattempo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dato alcuni consigli sulle misure protettive di base: lavarsi le mani frequentemente; coprire la bocca e il naso con un fazzoletto quando si tossisce e si starnutisce; mantenere una distanza di almeno un metro tra voi e le altre persone, in particolare quelle che tossiscono, starnutiscono e hanno la febbre.

Consigli “da conservarsi e da tenersi pronto per le occasioni, che Dio tenga sempre lontane”…  

L’abito del medico, disegno del 1656

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