Covid 19: Cronaca di una strage annunciata, un invito a ricordare una generazione sacrificata

by Claudio Botta

Ma i vecchi, i vecchi, se avessi un’auto da caricarne tanti
Mi piacerebbe un giorno portarli al mare
Arrotolargli i pantaloni e prendermeli in braccio
Tutti quanti
Sedia sediola, oggi si vola, e attenti a non sudare….
Claudio Baglioni

Quando si è affacciata l’epidemia – non ancora pandemia – da Covid-19 nel nostro paese, le prime voci rassicuranti (anche autorevolissime) spiegavano, tra inviti ad uscire per l’aperitivo o per la cena fuori, cautela ma senza farsi condizionare nelle proprie abitudini, che si trattava di un virus che “al massimo colpisce prevalentemente le persone anziane”. E all’inizio di una conta che si è rivelata presto drammatica, accanto al numero dei deceduti veniva appunto indicata l’età. Senza alcuna considerazione del legame tra quegli anni di colpo interrotti e le persone, il loro vissuto, le loro famiglie. Condannati a morire in partenza, per l’unica responsabilità/colpa di essere “vecchi”. 

Erano i più esposti, lo si sapeva: sono stati quelli meno protetti, anche in moltissime RSA e RSSA (Residenze sanitarie e sociosanitarie assistite, un tempo case di riposo, ai loro tempi ospizi) diventate contenitori di malattia e di morte, che andavano blindate all’esterno, con il personale all’interno che avrebbe dovuto avere  dispositivi di sicurezza adeguati, ma non è andata così. E così, dei 33.964 morti accertati in Italia (dato al momento della stesura di questo articolo, ndr), gran parte sono stati proprio loro, anche in Puglia. Una strage. 

La strage di una generazione sopravvissuta alla seconda guerra mondiale, quando erano bambini terrorizzati dalle sirene e dalle bombe che piovevano dal cielo.

La strage della generazione che si è sacrificata per far studiare i figli all’università, per regalare loro un futuro migliore inconsapevoli che l’ascensore sociale a un certo punto si sarebbe bloccato per parecchi, e quei sacrifici non solo non sarebbero serviti a molto, ma sarebbero stati preliminari ad altri, lunghi sacrifici.

 La strage della generazione di genitori di figli ormai adulti condannati dalla precarietà e dalla “flessibilità” ad essere mantenuti dalle pensioni dei loro “vecchi”, il vero ammortizzatore sociale del Paese, quello più efficace e a tempo indeterminato. 

La strage della generazione di genitori che hanno riaccolto in casa, e continuato ad aiutare e sostenere, i loro figli reduci da una separazione e da un divorzio, con assegni di mantenimento da garantire.

La strage della generazione di nonni che hanno cresciuto e vissuto i loro nipoti praticamente a tempo pieno, permettendo ai loro figli, alle loro nuore e ai loro generi di dedicarsi nel frattempo al lavoro, senza ricorrere a baby sitter, unendo affetto a praticità. 

Sono morti in silenzio, in solitudine, in modo terribile, il peggiore che si possa immaginare. Vittime della mancata prevenzione, dell’improvvisazione, della confusione, non solo del virus. Con la piena consapevolezza di quello che sarebbe successo, ma senza nessun affetto accanto per condividere terrore e dolcezza, senza nessuno sguardo rassicurante, senza nessun ultimo saluto (i più fortunati hanno avuto un tablet e uno smartphone per qualche secondo) da ricevere e mandare.

Sono morti senza nemmeno una camera ardente, senza un funerale, o con al massimo pochi ammessi, per pochi minuti. Spesso senza nemmeno un cimitero dove poter riposare in una pace negata loro anche dopo la fine.

L’estate sta arrivando e la potenza e pericolosità del Covid-19 sembra finalmente scemare: ma questa strage, annunciata e non adeguatamente affrontata, non dovrà mai essere dimenticata, se vogliamo conservare un briciolo di umanità e dignità. Per rispetto di quelle persone che hanno tenuto in piedi il Paese impedendone (e per decenni) il collasso, e poi diventati “da buttare via” (sempre dalla canzone di Baglioni). Per rispetto delle loro famiglie, dei loro ricordi, del vuoto dentro che nessun tempo riuscirà a riempire. Delle loro mani tremanti che nessun’altra mano ha potuto stringere e accarezzare, quando ne hanno avuto un ultimo, disperato bisogno. 

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