Pd-Cinquestelle-Leu, l’intergruppo dei reduci

by Enrico Ciccarelli

L’intergruppo parlamentare Pd-Cinquestelle-Liberi e Uguali ha ricevuto un rilievo mediatico e ha suscitato delle discussioni che sul piano istituzionale e della concretezza non meriterebbe. Gli intergruppi, con tutto il rispetto, sono una specie di bocciofila, un’aggregazione che riunisce parlamentari con interessi comuni, che possono andare dalla fede calcistica alla visione del mondo. Sul piano delle dinamiche parlamentari sono impalpabili.

Ovviamente sul piano politico il discorso è diverso. In questo ambito l’intergruppo viene presentato come una sorta di pietra fondativa dell’alleanza strategica fra dem e Cinquestelle e del rientro nel partito democratico degli scissionisti di Articolo Uno. I promotori dell’iniziativa non fanno mistero di considerarla la nascita di una nuova coalizione, che sarebbe competitiva rispetto al centrodestra.

Peccato che non sia vero, e che l’iniziativa suoni piuttosto come la costituzione dell’Associazione Combattenti e Reduci del Governo Conte.

Chiariamoci: è del tutto legittimo che gli azionisti di un patto di governo ne rivendichino la validità, così come non c’è niente di inaccettabile nell’idea che queste tre forze politiche vogliano costruire fra loro un’alleanza duratura. Solo che non sembra il momento più opportuno per almeno tre buoni motivi: il primo è che nel frattempo si è costituito un nuovo Governo, a cui tutti e tre i componenti dell’intergruppo hanno aderito, basato -piaccia o meno- sulla unità e solidarietà nazionale. Ritagliare una sub-maggioranza fa quanto meno dubitare della sincerità di questa adesione.

Il secondo è che almeno due delle tre componenti dell’aggregazione sono lacerate in modo piuttosto significativo, con Sinistra Italiana che sta dividendo i suoi destini da Articolo Uno, e soprattutto con il Movimento Cinquestelle che è alle prese con una lotta intestina che minaccia di diventare, fra espulsioni, ricorsi e contenziosi, una vera e propria faida senza quartiere.

Terzo e forse più importante motivo è che l’alleanza così disegnata, questa sorta di alleanza massimalista non è affatto competitiva con il centrodestra, ammesso che il centrodestra ci sia ancora. Non lo è in Parlamento, e lo ha dimostrato la vicenda della crisi aperta da Matteo Renzi, e non lo è nei sondaggi, per quel che valgono. Ed è singolare che un’alleanza minoritaria si preoccupi soprattutto di blindarsi anziché proporsi un allargamento.

Certo, si ritiene che il consenso personale di Giuseppe Conte potrebbe cambiare le cose. Ma questo ipotetico valore aggiunto potrebbe palesarsi se Conte, come si era ventilato, desse vita a un suo partito; difficilmente potrebbe aggiungere molti consensi alla coalizione massimalista se fosse solo il leader dei Cinquestelle o di quel che ne rimarrà. Né appare chiarissimo come un ruolo da capopartito si concilierebbe con il suo essere punto di sintesi della coalizione.

Insomma, l’impressione, del tutto soggettiva e personale è che l’intergruppo sia una sorta di fallo di frustrazione, il tentativo di prolungare artificiosamente la lettura di una pagina che è stata già voltata. Sarebbe forse più utile provare a scriverne una nuova.

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