Il tempo di Tersite

by Enrico Ciccarelli

Religione o non religione –/ purché ci si inginocchi per il via. /Patria o non patria – /purché si scatti alla partenza. /Anche la giustizia va bene all’inizio. /Poi corre tutto solo. /L’odio. L’odio.

Questi sette versi appartengono ad una poesia di Wislawa Szymborska, intitolata L’odio, che riproduco integralmente in calce, a mo’ di bonus per chi si sia sorbito l’intera sbobba. Spiega bene come l’odio preesista alle ragioni a cui pretendiamo di collegarlo a mo’ di appendino. Non è l’amor di patria o di stirpe a farci esclamare “prima gli italiani!” per negare solidarietà a chi giunga straniero da altra etnia o parola dell’atlante: è l’odio per questi infelici sconosciuti a destare in noi un amor di patria mai posseduto, e che infatti infiamma spesso incalliti neoborbonici o persone che proclamavano l’indipendenza della Padania.

È questo che rende derelitti e sostanzialmente improduttivi gli sforzi di contrastare nel merito i fiumi di odio che sono diventati il tratto distintivo del nostro contesto sociale. Non è ovviamente una caratteristica italiana; si può dire anzi che la nostra recente fanfaronaggine parolaia rende più plateali e tonanti le dichiarazioni e piuttosto innocue le condotte rispetto al resto del mondo (in Italia nessuno ha ancora pensato di accoltellare a morte un membro del Parlamento per le sue posizioni politiche, come è avvenuto alla povera Jo Cox; e la violenza politica di oggi è incomparabile a quella grondante sangue che ci fu in Italia dal 1969 al 1982 –quando le Br “osarono” colpire un generale Usa e ne rimasero schiantate-).

Ma la diffusione capillare dell’odio, dei suoi linguaggi, dei suoi peculiari modi di ragionare fa ugualmente impressione. Specie considerando che l’oppressione morale e civile degli odiatori, la loro oscena iattanza e spudoratezza, provoca inevitabilmente sussulti di rivolta. Gli odiatori vengono a loro volta odiati, e così la Causa fa proseliti, stabilendo il primo fondamentale pilastro del suo dominio: il suo imporsi come naturale e necessario, attraverso la cancellazione di tutte le alternative legate alla razionalità e allo spirito critico.

Esemplare il modo in cui, a proposito dell’epidemia di Coronavirus, il paternalismo un po’ bolso e dolciastro dei primi momenti (fate i bravi, state a casa, siamo una grande famiglia, andrà tutto bene) stia lasciando il posto a una crescente rancura: nei confronti degli altri che non ci hanno imitato nel lockdown (almeno nella misura particolarmente occhiuta e severa che ha assunto da noi). Ed ecco la punizione divina che si abbatte sul capo di Boris Johnson e della perfida Albione, le immaginarie cataste di morti della Svezia (da sempre peccaminosa, peraltro), il malcelato piacere con cui si registra ogni lieve incremento dell’indice R0 in Germania.

Ma c’è anche rancore verso noi stessi: l’anatema sugli untori dei Navigli (che hanno simmetrica corrispondenza in tutte le città -o spiagge, o paesi o cime- d’Italia) è solo la parte folkloristica del fenomeno. Molto più insidiosi e preoccupanti i fiumi lividi di chi se la prende con la parassitaria genìa dei dipendenti pubblici, o di chi scarica umori sugli incalliti evasori fiscali che sarebbero i lavoratori autonomi.

Un’orgia dei luoghi comuni che trova alimento anche nelle inevitabili “statistiche”: sapevate che in Italia uno “studio” calcola ci siano più di 180 miliardi annui di evasione fiscale? Sapevate che il Miur è la struttura pubblica con il maggior numero di dipendenti al mondo dopo l’Esercito degli Stati Uniti? Non c’è numero, reale o immaginario, che non si presti a un insulto, a un’invettiva, a una maledizione.

È la seconda stagione del serial sui costi della politica; un evergreen, come il primo nudo di Daenerys nel Trono di Spade, che però ha ampliato e spostato i suoi bersagli: da rivolta del presunto popolo, in realtà plebe, contro le presunte élites cioè chiunque sappia leggere e scrivere, è divenuta tempesta atomizzata, ampliata al compagno di classe, al vicino di casa, all’ex-fidanzata/o, in una costante emissione di droplets tossici più contagiosi del coronavirus.

Anche i motori efficienti vanno mutando: non servono più “bestie” casaleggiane e morisiane. Meglio l’inafferrabile galassia di whatsapp, nei cui meandri è più facile schivare la sorveglianza dei social manager e l’eventuale responsabilità penale. L’odio è oltre perfino la sua utlizzabilità politico-elettorale. Non è Salvini o Meloni o Grillo che devono preoccuparsi di innescare –per esempio- l’odio contro Silvia Romano: fiorisce (se è un verbo adeguato) e fluisce in modo spontaneo. Sull’antica prevenzione (“ma non poteva fare la volontaria a casa sua?”) si innesca il danno erariale di quanto ci è costata, la riprovazione più o meno sommessa per la sua apostasia, il sospetto di amplessi consenzienti (tema non nuovo).

“Secondo me fate schifo”, ha chiosato senza infingimenti Enrico Mentana. Vero, ma difficile che basti lo schifo. L’odio e le sue piaghe sono ormai pandemiche, e minacciano di farci compiere rapidamente un balzo all’indietro di settant’anni e oltre, non solo dal punto di vista dei regimi e delle ideologie, ma da quello antropologico e micro-sociale. Sono morte le mitologie dell’Uber-mensch e del proletariato come eroe collettivo. Il nostro tempo, la nostra epica sono ormai quelle di Tersite, “il peggiore fra quanti vennero a Troia”. Speriamo che intervenga prima o poi lo scettro di Ulisse.


Guardate com’è sempre efficiente,
come si mantiene in forma
nel nostro secolo l’odio.

Da solo genera le cause
che lo fanno nascere.

Religione o non religione –
purché ci si inginocchi per il via.
Patria o non patria –
purché si scatti alla partenza.
Anche la giustizia va bene all’inizio.
Poi corre tutto solo.
L’odio. L’odio
Una smorfia di estasi amorosa
gli deforma il viso.
Oh, quegli altri sentimenti –
malaticci e fiacchi.
Da quando la fratellanza
può contare sulle folle?
La compassione è mai
Giunta prima al traguardo?
Il dubbio quanti volonterosi trascina?
Lui solo trascina, che sa il fatto suo.
Capace, sveglio, molto laborioso.
Occorre dire quante canzoni ha composto?
Quante pagine ha scritto nei libri di storia?
Quanti tappeti umani ha disteso
su quante piazze, stadi?
Diciamoci la verità:
sa creare bellezza.
Splendidi i suoi bagliori nella notte nera
Magnifiche le nubi degli scoppi nell’alba rosata.
Innegabile il pathos delle rovine
e l’umorismo grasso
della colonna che vigorosa le sovrasta.
È un maestro del contrasto
Tra fracasso e silenzio,
tra sangue rosso e neve bianca.
Soprattutto non lo annoia mai
il motivo del lindo carnefice
sopra la vittima insozzata.
In ogni istante è pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare, aspetterà.
Lo dicono cieco. Cieco?
Ha la vista acuta del cecchino
e guarda risoluto al futuro
– lui solo.

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