L’arte appassionata di Elena Sofia Ricci da anima in tv a Rita Levi Montalcini “principessa della scienza”

by Mariangela Pollonio

La sua vita ruota attorno a due parole chiave: passione e responsabilità. Quest’anno festeggia quarant’anni di carriera, rinnovati giorno dopo giorno dalla passione per il suo lavoro e dalla volontà nell’essere responsabile soprattutto verso gli altri, dando valore al bene comune.

È dalla passione che Elena Sofia Ricci cerca di partire ogni volta per approfondire il viaggio di ricerca nelle anime dei suoi personaggi, mentre il forte senso di responsabilità che le appartiene da sempre è in particolare oggi alla base del suo impegno verso gli operatori dello spettacolo, di cui si è fatta portavoce anche immediatamente dopo il lockdown. Dopo tre David di Donatello e tanti ruoli spalmati tra tv, teatro e cinema, il suo volto non è più relegato nell’immaginario collettivo alla suora sui generis amata dal grande pubblico della tv generalista. Risalta agli occhi la sua semplicità disarmante, vestita di fascino e intelligenza, e una bellezza luminosa, figlia di una creatura gentile, doti rare in un mondo che lei stessa descrive “edonista”. Ha attraversato nel tempo tanti ostacoli, esattamente come la donna che interpreterà per la Rai, “Rita Levi-Montalcini”, la scienziata internazionale per la prima volta ricordata in un film a lei dedicato.

La narrazione filmica sulla ricercatrice italiana premio Nobel per la medicina, senatrice a vita, professoressa Levi Montalcini, che andrà in onda il 26 novembre su Rai 1 in prima serata, ha visto la regia di Alberto Negrin, per un prodotto firmato da Rai Fiction con Cosmo Productions EU.

Tra gli altri ad affiancare la Ricci nel film, la cui trama partirà dal culmine della carriera della nota neurologa, ci sarà Luca Angeletti, nel ruolo del collaboratore storico della Montalcini, Franco Castellano, nei panni del Professor Levi, e la giovane Elisa Carletti, nelle vesti di una violinista di soli 12 anni – licenza registica – che rischia di perdere la vista e diventare la fiamma che riaccende nella scienziata, ormai alla fine della sua carriera, la voglia di tornare a cimentarsi con il lavoro in laboratorio.

Tutti noi da adulti ci portiamo dietro le esperienze vissute durante il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza. Molte di queste le conserviamo nel percorso di vita che facciamo. Elena nel suo mestiere quanto ha portato del suo vivere da bambina e da adolescente?

Ognuno di noi è il frutto del proprio passato, che è fatto di gioie, di dolori, di crescita, di ostacoli, e in genere le vite degli individui sono quasi tutte percorsi ad ostacoli. E la mia di ostacoli ne ha avuti parecchi. Il doverli superare, l’averci provato, qualcuno averlo superato di più, qualcuno di meno, è stata comunque una fatica, che è inevitabile portare in scena, sul palcoscenico e nella vita. Con gli anni che passano, più esperienza hai e più cose puoi raccontare. I tuoi personaggi avranno dei sottotesti che hanno lo spessore di chi ha fatto un percorso di vita abbastanza lungo, e magari ha indagato sulla propria vita, come e’ capitato a me. Chiaramente l’analisi fatta ha arricchito quel sacco di anime che poi cerco di portare in scena.

Ricollegandoci al film che ha interpretato, cosa ha riconosciuto analizzando Rita Levi Montalcini?

Nel caso della Montalcini io dovevo rendere omaggio a lei, e quindi dovevo cercare di mettermi nei suoi panni, non nei miei. Dovevo entrare in punta di piedi, ma con decisione, perchè era una donna determinata, che ha segnato un passo verso l’emancipazione femminile molto importante, riuscendo a cambiare il futuro delle donne nel lavoro. Dovevo raccontare il carattere volitivo, appassionato e stacanovista di una grande donna, che ha lasciato un segno forte nella nostra storia, ed è un esempio per molti di noi e per molti giovani. Per questo è necessario ricordarla. Ho riscontrato alcune caratteristiche che mi sono proprie, tra queste la passione per il proprio lavoro, il modo di approfondire sempre i personaggi che interpreto, come lei approfondiva la ricerca. In fondo, anche il lavoro dell’attore è una ricerca all’interno dell’anima dei vari personaggi. Il percorso di ricerca che ha fatto la Montalcini sul cervello umano, io lo faccio nelle anime dei personaggi che interpreto. Quindi questo percorso di ricerca mi è familiare, così come mi è molto familiare questo segnare il passo. Lei è stata la prima donna ad iscriversi alla facoltà di medicina poco prima della guerra, in tempi inimmaginabili per una donna, che per la società doveva stare a casa, fare figli e sposarsi. E io ho avuto una madre che è stata la prima donna scenografa del cinema italiano. Negli primi anni Sessanta entrare nel cinema con un ruolo che era stato sino a quel giorno sempre ed esclusivamente ad appannaggio degli uomini non è stato facile, e lei ha aperto la strada ad un esercito di scenografe. Vedere molte caratteristiche di mia madre nella Montalcini mi ha aiutato. Come mi hanno aiutato molto anche i ricordi che ho della professoressa, che sino all’ultimo momento è stata una donna piena di energia, così acuta, intelligente e con un senso fortissimo, che è ciò che più ho amato di lei, della morale, dell’etica, per non parlare della sua onestà intellettuale, virtù straordinarie che oggi si sono un po’ perse.

Cosa pensa che questo suo nuovo lavoro possa trasmettere in particolare alle nuove generazioni?

È un modello che può essere di ispirazione per molti giovani, donne o uomini che siano, sia che vogliano seguire la sua strada, diventando medici, scienziati, ricercatori, fondamentali in tempi di covid, perché sono figure professionali che devono tirarci fuori da questo guaio in cui ci troviamo, ma anche per chi voglia seguire la propria passione, a cui lei teneva moltissimo. Un aspetto che anche io sento vicino, tanto da dedicare alle mie figlie l’ultimo David di Donatello che ho vinto. Auguro a tutti i giovani di scoprire qual è la loro passione, di individuarla quanto prima e farla coincidere con il proprio lavoro. Un altro principio importante che la Montalcini ripeteva spesso ai suoi giovani ricercatori era che “se la vita non si dedica agli altri non ha senso”. Trasmetteva con questo pensiero il senso della comunità, il senso dell’appartenenza ad una specie. Il concetto è quello di non essere degli ego ipertrofici che vagano come mine vaganti in giro per il mondo, come accade in questo periodo storico dopo vent’anni di edonismo sfrenato. Dobbiamo tirar fuori il senso di responsabilità e avere non solo il coraggio di evolvere sempre di più, ma dobbiamo sentire il dovere di farlo, perché non siamo responsabili solo di noi stessi, ma di tutta la nostra specie, e se possibile anche del nostro pianeta.

Abbiamo visto nell’ultimo periodo diverse fiction di successo legate a personaggi del mondo della medicina, della scienza. Crede che gli spettatori si accosteranno con una sensibilità più acuta dal periodo che stiamo vivendo, quindi magari con una voglia più incisiva di approfondire la vita di questa grande scienziata?

Abbiamo il sistema nervoso abbastanza scoperto, siamo tutti molto fragili, quindi probabilmente l’esempio di una donna che ha dovuto sopportare tante difficoltà nella vita, dalla guerra alla deportazione degli ebrei, può dare forza. Non dimentichiamo che lei e la sua famiglia erano ebrei: dopo aver avuto i passaporti falsificati per non essere deportata, ha continuato a fare ricerca sotto i bombardamenti. Ha dunque vissuto in un’epoca complessa, ha attraversato due guerre, una da bambina e una da adulta. Negli anni dell’Università fu cacciata insieme a Levi, suo professore, in quanto entrambe ebrei. Nonostante tutto è sopravvissuta per 103 anni grazie alla passione per il suo lavoro, per lo studio, tenendo attivo il suo cervello, dormendo poco, mangiando meno. E noi, invece, che siamo abituati a stare forse troppo comodi, con la pandemia avremmo dovuto metterci tutti sull’attenti. Mentre se nella prima ondata siamo stati quasi da esempio per il mondo intero, oggi facciamo acqua da tutte le parti. Perché gli italiani resistono con tutte le loro forze alla capacità di diventare un Paese che impara a rispettare le regole e a rispettare il prossimo. E questo addolora. Spero dunque che questo film emozionante porti la gente a vivere un’ora di passione travolgente.

Cosa ha scoperto di questa donna che non avrebbe mai immaginato?

Ho scoperto dove viveva, perché abbiamo girato nella vera casa di Roma della professoressa Montalcini, grazie alla nipote Piera che ci ha aperto le porte di questo appartamento semplice, essenziale. Ma ciò che più mi ha stupito è stato vedere la camera della Montalcini: più francescana di qualsiasi stanza di convento che abbia mai visitato, persino di quelli di clausura. Lei non aveva un letto, ma una rete con un materasso, senza testata. C’era un armadio, una scrivania, un apparecchio che ingrandiva le lettere, perché negli ultimi anni vedeva meno, e una libreria con tanti bigliettini scritti a pennarello da lei, tra cui spiccava: “Sapere aude” – motto dell’illuminista Emmanuel Kant, esortazione latina traducibile in “abbi il coraggio di conoscere”, frase che ha fatto anche da titolo ad un libro firmato dalla stessa Montalcini.

Ricci, donna e madre, non attrice, cosa domanderebbe oggi a Levi Montalcini, donna e ricercatrice, se fosse viva?

Le chiederei di vivere altri 100 anni, per continuare ad essere un esempio. Perché è l’esempio che da più risultati. Ce ne saranno altre Montalcini in giro, ma siamo in un era molto consumistica, in cui ci dimentichiamo presto anche le notizie più scandalose.

Come viene vista la donna oggi?

Trovo scandaloso che a parità di lavoro, di ruolo, le donne guadagnino meno degli uomini. Non so i ministri quanto prendano, ma sono certa che le donne anche in politica abbiano salari inferiori. Come capita nel nostro campo: mi sono ritrovata a prendere un quarto della paga dei miei colleghi attori a parità di tutto, anzi forse magari io avevo qualche punto in più.

In questi anni ha ricoperto nelle fiction diverse figure femminili importanti da un punto di vista sociale, come in “Vivi e lascia vivere”, ed è anche stata scelta per interpretare donne pubbliche come Veronica Lario, ex moglie di Berlusconi, nel film “Loro” di Paolo Sorrentino. Finalmente registi e spettatori non la accosteranno più solo all’immagine dell’adorata Suor Angela della serie tv ”Che Dio ci aiuti”, nonostante le debba molto.

Ho lottato per tutta la mia carriera per essere un’attrice libera. Così come alla Montalcini suo padre aveva insegnato ad essere una libera pensatrice, così io senza che nessuno me lo insegnasse, sin da piccola ho sentito l’esigenza di essere libera di cambiare, sono allergica alla ripetitività. Non riesco a liberarmi della suora tanto amata dal pubblico, come fanno fatica a farlo anche le sue ragazze, ma non posso morire interpretando solo quel ruolo, e appena ho percepito il rischio che potesse incastrarmi, sono tornata a teatro con “Vetri rotti” di Arthur Miller, diretta da Armando Pugliese. Poi è arrivato Sorrentino con quel meraviglioso ruolo, interpretato da me in punta di piedi, seguendo il regista alla lettera, ma sentendo anche la mia anima. Insomma, dopo 38 anni di carriera qualcuno ha capito che sono una pazza che può fare tutto, un’attrice che si butta dentro ad altre donne. Mi piace raccontare altre personalità, altre anime. Prima facevano un po’ fatica a codificarmi e non gli venivo mai in mente per un ruolo soprattutto al cinema. In tv hanno continuato a chiamarmi perchè ho sempre fatto ascolti alti: alla fine la verità è che sono raccomandata dal pubblico.

Ci parla del suo impegno per gli operatori dello spettacolo.

Sono stata una dei soci fondatori di Unita, nuova realtà di interpreti del teatro e dell’audiovisivo che sta finalmente dialogando con il Ministero della Cultura e si fa anche portavoce per altre realtà come la danza. Poi con mia sorella – la danzatrice Elisa Barucchieri – e mio marito – il compositore Stefano Mainetti – abbiamo dato vita ad un manifesto culturale dal titolo “Grido per un nuovo Rinascimento”, che ha coinciso con la prima giornata nazionale dei lavoratori dello spettacolo. È stata una iniziativa, una manifestazione spettacolo, che diventerà poi un documentario e che mira a quando la pandemia sarà superata. Adesso abbiamo l’emergenza sanitaria come priorità da risolvere, ma quando tutto questo sarà finito, bisogna ritornare a valutare quanto si investe in cultura nel nostro Paese. Troppo poco: l’Italia di Goldoni, di Verdi, di Leonardo, di Dante, di Pirandello, di Rossini è al quart’ultimo posto in Europa per investimenti in cultura, con lo 0,8%, quando invece è un’industria che frutta al Paese il 6% del prodotto interno lordo. Vuol dire che per ogni euro che si investe nello spettacolo, lo stesso ne riposta almeno tre. Significa che l’arte, la cultura, lo spettacolo sono il nostro petrolio, e se investissimo di più faremmo guadagnare di più al Paese in termini meramente economici – senza parlare del valore aggiunto immateriale e incalcolabile.

Progetti futuri.

Sto girando “Che Dio ci aiuti 6”, anche se sembra di essere in trincea sotto i colpi del covid. Se riusciamo a terminarlo sarà un miracolo, visto che ogni tanto qualcuno viene colpito e si ferma tutto. Comunque stiamo resistendo. Progetti futuri c’erano, avevo tre spettacoli teatrali, ma sono stati tutti cancellati perché i teatri saranno chiusi. Il settore era in crisi prima della pandemia. Ci sono alcune realtà già morte e non solo quelle piccole, anche teatri nazionali soffrono questa condizione e il loro direttori sono disperati.

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