Renzi, Bin Salman e la montagna del sapone

by Enrico Ciccarelli

Salve. Avviso ai naviganti: quello che state per vedere è un lungo commento con il quale la grande maggioranza di voi non sarà d’accordo, e che forse a qualcuno procurerà addirittura rabbia o indignazione. Suggerirei di evitarlo, perché ci sono già troppe cose su cui farsi il sangue cattivo.

E per dare l’esempio non commenterò la fondamentale proposta di legge contra personam che Carlo Calenda vorrebbe fosse approvata su Renzi e le sue ben pagate conferenze all’estero, né l’esilarante affermazione di Nicola Fratoianni secondo la quale Renzi risponde di sabato sera perché non avrebbe “capito le domande”.
Mi pare chiaro che queste cose obbediscono a ragioni di concorrenza o a un belluino desiderio di vendetta nei confronti di uno che in due mesi scarsi ha messo completamente a soqquadro la politica italiana e con una piccola flottiglia corsara ha devastato le invincibili armate della cosiddetta sinistra e del cosiddetto centrodestra. Ma è solo la mia opinione, e voi siete invece liberi di credere alle vestali della morale a geometria variabile.
Io intendo semplicemente dire, senza presunzione ma anche senza ipocrisie, che non sono appena disceso dalla montagna del sapone e quindi continuo a considerare la geopolitica e la politica estera cose un po’ diverse da un pranzo di gala, e ancor più dal bar dello sport in cui alcuni avventurati opinionisti vorrebbero trasformarla.
A quanto sospettiamo da qualche tempo il principe ereditario saudita Mohamed Bin Salman, avrebbe ordinato il rapimento e il successivo omicidio del giornalista Jamal Kashoggi (scusate la mia pronuncia). Un rapporto della Cia reso pubblico dall’amministrazione Biden lo conferma e quindi, senza essere il Vangelo, lo fa ritenere attendibile.
Quindi il senatore Matteo Renzi avrebbe, fuori dai doveri del protocollo istituzionale, stretto la mano e tessuto gli elogi di un assassino. Assai sgradevole, certo. Grave. Inaudito? No, inaudito no. Se è vero che Winston Churchill nel 1927 e addirittura il Mahatma Gandhi qualche anno dopo avrebbero elogiato Benito Mussolini, già ritenuto mandante, fra gli altri crimini, del rapimento e dell’assassinio di Matteotti. Se è vero –e questo è incontrovertibile, che Pablo Neruda intorno al 1950, ha scritto In tre stanze del vecchio Cremlino/ vive un uomo che si chiama Stalin./ Tardi si spegne la luce della sua finestra./Il mondo e il suo paese non gli lasciano riposo.
Certo, non c’era stato ancora il XX Congresso e la denuncia da parte di Nikita Kruscev degli atroci crimini di Stalin. Ma che fosse il mandante del vile omicidio di Lev Trotsky lo sapeva anche Neruda. Purtroppo assassini sanguinari affollano i libri di storia e i palazzi del potere del mondo, le loro statue adornano le piazze e a volte persino la galleria dei premi Nobel per la pace. Il principe Bin Salman non è l’unico, e –fidatevi- nemmeno l’ultimo.
Il problema non è quindi come la si pensa sul Bin Salman. È come la pensa l’Occidente sull’Arabia Saudita: che è certamente una monarchia feudale e oscurantista, segregazionista e nemica dei diritti umani e di quelli civili, in un’area in cui le democrazie sono più rare di un’azione convincente della Juventus di questo periodo.
È anche, però, un baluardo contro il fondamentalismo islamico e un prezioso ostacolo alle mire espansionistiche dell’Iran sciita, nonché lo Stato che, con le sue immani riserve di petrolio, fa il bello e il cattivo tempo sul mercato dell’oro nero (lo ha fatto con il dumping che ha messo alle corde Putin e la Russia, può farlo contro di noi).
Il problema è quindi: quali rapporti l’Amministrazione Biden, cioè il capo economico, militare e politico dell’Occidente intende avere con la Casa Reale Saudita? Il siluro a Bin Salman è un avvertimento? Sta dentro logiche di potere interne alla famiglia reale, intende favorire altre personalità, che per qualche motivo sono ritenute più malleabili o disponibili?
Non lo so, nessuno lo sa. So che la politica estera statunitense ha un assioma, che si ritrova nella frase attribuita a Franklin Delano Roosevelt a proposito del dittatore nicaraguense Anastasio Somoza: “è un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”. Bin Salman, assassino che sia, è ancora il nostro figlio di puttana a Riad? O ne stiamo cercando un altro? O, come spesso è accaduto, non ne abbiamo idea e navighiamo a vista con il serio rischio di pasticci?
Per questo a me sembra davvero futile e ridicolo discutere di quello che farà Matteo Renzi con il suo ruolo nel board di Future Investment Initiative, la Fondazione che promuove la Davos del deserto. Perché, per quanto gli voglia bene, non credo che sia lì perché ha incontrato Bin Salman in una serata a base di Chianti e di chianina e gli ha fatto simpatia. È lì, per le sue esperienze e competenze, ma anche per le sue relazioni e appartenenze. Fra esse c’è un rapporto antico e solido con il mondo dei dem statunitensi, con Barack Obama, con Joe Biden. Sono pronto a scommettere che non prenderà nessuna decisione senza averla concordata con loro. Spiace che le opinioni di maestri del pensiero come Selvaggia Lucarelli e Andrea Scanzi resteranno come sempre ignorate e ininfluenti fuori dalle bacheche degli haters. È un mondo crudele. Alla prossima.

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