“Arrivo, con i miei capelli”. La luna del Persiano. Per Masha Amini e le altre

by Enrico Ciccarelli

Amiche e amici carissimi, la passeggiata domenicale nelle intricate selve e nelle ampie radure della poesia, che mi fate l’onore di dividere con me, ci porta piuttosto lontano, in un Paese remoto che vive un’ora di tragedia e di lutto quarantatré anni dopo che la furia dell’integralismo e del populismo lo hanno chiuso dentro un’orribile camicia di forza. Parlo dell’Iran, la repubblica teocratica dominata dagli Ayatollah, che ha precipitato nell’ignoranza e nella barbarie una delle civiltà più antiche e raffinate della storia umana. All’ombra del trono del Pavone e dei suoi due millenni e mezzo di storia hanno cantato poeti impareggiabili, i cui versi sono oggi sporcati dal sangue innocente di Masha Amini, di Hadis Najafi e delle altre martiri di Teheran.

Non sono morte a causa del velo, non sono morte a causa dell’Islam: sono state uccise dal patriarcato e dal maschilismo, dall’orrore sessista della discriminazione, che usa qualsiasi pretesto, compresa la perversione di credi d’amore e di fraternità come il Cristianesimo e l’Islam. Ieri a Foggia, su invito di 45 associazioni (con in testa Lucia Aprile e Società Civile), si è svolta una splendida manifestazione di solidarietà, con gli interventi di tante donne, la bella performance di Rosanna Giampaolo del Teatro del Pollaio, l’esibizione delle danzatrici di OrEx Dance Tribe. Unite per chiedere la condanna del regime di Teheran, la liberazione della travelblogger italiana Alessia Piperno e per la dignità e la libertà di tutte le donne.

Per questo è giusto aprire questa carrellata poetica con una donna, la novecentesca

Forugh Farrokhzad

SALUTERO’ DI NUOVO IL SOLE

Saluterò di nuovo il sole,
e il torrente che mi scorreva in petto,
e saluterò le nuvole dei miei lunghi pensieri
e la crescita dolorosa dei pioppi in giardino
che con me hanno percorso le secche stagioni.

Saluterò gli stormi di corvi
che a sera mi portavano in offerta
l’odore dei campi notturni.

Saluterò mia madre, che viveva in uno specchio
e aveva il volto della mia vecchiaia.
E saluterò la terra, il suo desiderio ardente
di ripetermi e riempire di semi verdi
il suo ventre infiammato,
sì, la saluterò
la saluterò di nuovo.

Arrivo, arrivo, arrivo,
con i miei capelli, l’odore che è sotto la terra,
e i miei occhi, l’esperienza densa del buio.
Con gli arbusti che ho strappato ai boschi dietro il muro.

Arrivo, arrivo, arrivo,
e la soglia trabocca d’amore
ed io ad attendere quelli che amano
e la ragazza che è ancora lì,
nella soglia traboccante d’amore, io
la saluterò di nuovo.

Bella, vero? Di lei in Italiano conosco solo «La strage dei fiori» (profezia?), a cura di Domenico Ingenito, Edizioni OrientExpress, Napoli. Chi ne conosca altre è pregato di segnalarmele.

Non ci sono invece in Italiano libri della grandissima Simin Behbahani, scomparsa nel 2014 a quasi novant’anni, a lungo considerata la voce più importante dell’Iran moderno. È sua questa

IN BRACCIO AI DOLORI

Più guardo al passato,

più non vedo altro che la miseria e il dolore.

Più fisso i miei occhi verso il futuro,

più non vedo altro che il nero.

Figli miei, cari al mio cuore,

la vita per me è un carico pesante;

anche se con fatica, lo porto avanti sulle mie spalle

per non lasciarlo sulle spalle degli altri

La maggior parte delle poesie di Behbahani sono in quartine, metro tradizionale della poesia persiana. È la forma in cui si esprime Omar Kayyam, con Firdusi ed Hafez uno dei pilastri della poesia persiana. In realtà Kayyam (che vuol dire «tessitore di tende» ed è probabilmente il mestiere che esercitava il padre), vissuto dal 1048 e il 1131 fu tutt’altro che un poeta: astronomo e matematico di prodigiosa capacità, ha scritto testi fondamentali per l’algebra e per l’astronomia. Anche lui, vissuto nel tempo in cui la Persia cadde sotto il dominio dei Selgiuchidi, ebbe i suoi problemi, da scienziato, con i fanatici religiosi del suo tempo: le sue Rub’ayyat ne recano puntuale traccia. Il corpus poetico che ci ha lasciato la sua attività di poeta per hobby è assai incerto: delle circa mille quartine pervenuteci, solo una trentina sono sicuramente sue. Fra esse questa spettacolare versione del Carpe Diem di Orazio (che forse Kayyam conosceva)

NON RICORDARE IL GIORNO TRASCORSO

Non ricordare il giorno trascorso
e non perderti in lacrime sul domani che viene:
su passato e futuro non far fondamento
vivi dell’oggi e non sperdere al vento la vita.

Ammirate la bellezza di questa

O CUORE, FA’ CONTO….

O cuore, fa’ conto di avere tutte le cose del mondo,

fa’ conto che tutto ti sia giardino delizioso di verde,

e tu su quell’erba verde fa’ conto di essere rugiada,

gocciata colà nella notte e al sorgere dell’alba svanita.

E questa, di stilnovistica eleganza, ma anche di catulliana ironia.

L’AMATA, CHE IL CUORE M’HA FATTO MALATO D’AMORE

L’amata, che il cuore m’ha fatto malato d’amore,

Ella stessa altrove è caduta in preda agli affanni.

Come posso sforzarmi a cercar la mia cura

Quando colui ch’è il mio Medico è caduto malato?

E infine, da leggere e insegnare a tutti i bigotti, dal presidente della Camera in giù:

Mi dice la gente: «Gli ubriachi andranno all’inferno!»

Sono parole prive di senso per il cuore:

Se dunque andranno all’Inferno i bevitori e gli amanti,

Vedrai il Paradiso domani nudo come il palmo di mano!

I titoli sono arbitrari, le quartine sono identificate dal numero. Kayyam è molto tradotto e pubblicato, per fortuna. Ma sotto certi aspetti non ce n’era bisogno. Ne trovate traccia in Francesco Guccini («trascriver quartine a Kayyam» in via Paolo Fabbri 43), in Fabrizio De André («dire al mercante di liquore: “tu che lo vendi cosa ti compri di migliore?“» ne La collina è la traduzione semiletterale di un distico di Kayyam), in Jorge Luis Borges («La salda spada del Danese e la luna del Persiano» in Elogio dell’ombra). Perché la luna, il piacere di amare, il vino che ci fa dimenticare la fuggevole precarietà del vivere, appartengono all’umanità di ieri, di oggi e di sempre. Come vi appartiene la splendida civiltà dell’Iran, scempiata da ferocia e fanatismo. Buona domenica.

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