“Il Presidente” era un gigante rispetto ai politici di oggi?

by Tommaso Campagna

Che Gianni Amelio si fosse ispirato ad una pièce di Vitaliano Trevisan che raffigura Craxi come un personaggio alla Thomas Bernhard, uno di quei vecchiacci logorroici, ossessivi, livorosi che popolano il suo teatro? Se non ricordo male fu Haber ad impersonarlo sui palcoscenici italiani. E visto che abbiamo accennato all’interpretazione, diciamolo subito: Favino anche qui è gigantesco. La sua cifra attoriale è la straordinaria capacità di evidenziare tutti gli angoli e le asperità delle contraddizioni di personaggi controversi, si chiamino essi Tommaso Buscetta o Bettino Craxi, per l’appunto. 

Ma nel film di Amelio il personaggio non ha nome, è “il Presidente”. 

Così come tutti i personaggi che gli orbitano intorno, con nomi fittizi o addirittura innominati. Come la figlia Anita, colma di attenzioni non ricambiate e capace di accettare tutti i suoi scatti umorali, un figlio senza nome al quale volta le spalle persino quando strimpella alla chitarra, un nipote trattato come un idiota, un Balzamo che diventa solo ‘Vincenzo’ e muore suicida (o ucciso dal figlio pazzo?) invece che per colpa di un crepacuore causato dallo stress dei giorni della nemesi (a causa di un magistrato, anch’egli mai nominato, che dichiara che “non stiamo incarcerando gli indagati per farli parlare, ma che, se parlano, li scarceriamo”).

Accentratore, narciso, protervo come pochi altri. E maschilista. Tristi le donne che lo circondano, incapaci di opporsi al suo egoismo, consentendogli anche di oscurare la visione, da parte della moglie, di grandi capolavori del cinema come “Out of the past” di Tourneur, di “All the heaven allows” di Douglas Sirk o di “Bend of the river” di Anthony Mann, per preferire un triste spettacolo berlusconiano di nani e ballerine. 

Un uomo sicuro di essere il solo a conoscere sia la meta, sia la strada per raggiungerla. La politica ancella del potere. Non viceversa.

E le regole non contano, conta solo la meta, il potere. Egli sa che l’abito servile, la scarsa moralità e il conflitto d’interessi sono racchiusi nel Dna del Paese ed è amaro constatare che, dopo vent’anni dalla sua morte, siamo ancora cosi. Siamo un Paese di seconda fila, «con le mani in Europa e con i piedi in Africa» come disse Piero Ottone, senza un’autentica classe dirigente e la colpa, forse, è anche del nostro sistema universitario, tra i migliori al mondo per il trasferimento dei saperi disciplinari, ma poco attento ad investire tempo e spazio per la trasmissione di valori  (quanto sta facendo l’Università di Foggia in questi giorni è mirabile proprio perché insolito almeno in queste dimensioni: che ci vogliano pedagogisti alla guida delle Università e del Paese?). 

Montanelli scrisse che «dolcemente, in stato di anestesia, torneremo a essere quella “terra di morti, abitata da un pulviscolo umano”, che Lamartine aveva descritto quasi due secoli orsono». 

Allora, alla domanda che il film del bravissimo Amelio (leggete, se non lo avete ancora fatto i suoi due volumi sul ‘vizio del cinema’, patrimonio indefettibile per ogni cinefilo) ha sollevato: “Il Presidente” un gigante rispetto ai politici di oggi?”

Anche se la classe politica odierna è abbastanza imbarazzante, io rispondo di no, e senza esitazioni. Fu solo un bieco approfittatore del “pulviscolo umano”. Un personaggio che meritava allora, e merita ancor oggi, di restare lontano da un Paese che ha contribuito a rendere peggiore. 

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