“Magari” e “Bar Giuseppe”, le nuove uscite di cinema italiano su Rai Play

by Nicola Signorile

Via dalla pazza folla c’è un cinema intimo, personale che, lontano dagli schiamazzi della commedia o dai toni forti della tragedia, cerca di raccontare con delicatezza e sensibilità le relazioni, le emozioni, la famiglia. Al cui centro non ci sono gesta mirabolanti, né individui eccezionali, ma la vita nella sua semplicità.

Ottimi esempi di questo tipo di racconto sono Magari di Ginevra Elkann e Bar Giuseppe di Giulio Base,  i primi due film tra le quattro nuove produzioni (le altre quattro sono pellicole che hanno già avuto una seppur breve distribuzione) che Rai Cinema ha scelto di proporre direttamente su RaiPlay; film che avevano un’uscita programmata in questi mesi di lockdown e che difficilmente sarebbero riusciti a trovarne un’altra nel medio periodo. Una scelta che mette a disposizione del pubblico due storie che probabilmente avrebbero faticato a trovarne in sala, a causa delle maglie strette della distribuzione che hanno sfibrato la cinematografia nazionale negli ultimi anni.

 Non certo per demeriti artistici, nel caso delle opere di Base ed Elkann. Entrambe meritevoli di esser viste e apprezzate, per motivi in parte diversi. L’esordio dietro la macchina da presa della nota produttrice (con Asmara Film e Good Films) è un ritratto di una famiglia imperfetta che cerca il suo equilibrio tra errori e slanci emotivi: l’italiano Carlo (Riccardo Scamarcio), sceneggiatore di scarso successo, è il padre assente e bisognoso di attenzioni mentre Charlotte (Céline Sallette) è la madre francese, alto-borghese, convertitasi alla fede ortodossa dopo aver conosciuto Pavel (Benjamin Baroche). Nel mezzo ci sono i loro tre figli, Seb, Jean e Alma (Milo Roussel, Ettore Giustiniani e Oro De Commarque), che vivono a Parigi con la mamma e il suo nuovo compagno.

È il loro sguardo a dare forma al film. Sguardo d’amore verso entrambi i genitori, sguardo voglioso di veder ricomporsi la coppia scoppiata. Prima che la madre si trasferisca in Canada, hanno la possibilità di passare un  po’ di tempo con il padre e la compagna Benedetta (Alba Rohrwacher) in una casa al mare di Sabaudia. Giorni che scorreranno malinconici, a tratti felici, per i tre ragazzi impegnati a fantasticare sulla famiglia perfetta, tra gite in solitaria con i ragazzi del posto, uscite con Carlo e Benedetta e partite di calcio in spiaggia. Le luci e i colori di un luogo di mare a dicembre, la sua malinconia immobile sono personaggi di Magari, un paesaggio dell’anima scosso solo dalla vitalità di Seb, Jean e Alma.

Personalità molto diverse che si supportano, vegliano l’uno sull’altro, costituendo il nucleo emotivo del racconto. Un padre quasi estraneo, anche a causa della lingua (i figli anche se conoscono l’italiano del papà, sono abituati a parlare il francese della mamma), che fa del suo meglio, barcamenandosi tra la difficoltosa scrittura di una sceneggiatura e il rapporto con Benedetta, presentata ai ragazzi come una collaboratrice. La piccola Alma immagina a occhi aperti coppie di sposi felici: a volte sono i suoi genitori, a volte no.

La stessa cosa che ci invita a fare Ginevra Elkann, candidata ai Nastri d’Argento come regista esordiente, con questa narrazione composta, fatta di piccoli gesti, dialoghi lucidi, sguardi carichi di significato e imprevisti quotidiani che sfugge alla retorica, guardando con tenerezza alle mancanze affettive mai sanate che ci portiamo dietro e ai tentativi di essere adulti responsabili, spesso senza riuscirci fino in fondo. Tra Moretti, Alice Rohrwacher e Noah Baumbach, di certo c’è dell’autobiografico in Magari, film d’apertura all’ultimo festival di Locarno, scritto dalla figlia di Margherita Agnelli e Alain Elkann con Chiara Barzini, scrittrice e sceneggiatrice di talento, discendente di una delle più illustri famiglie di giornalisti e intellettuali italiani.

Insomma, ricchi, alto-borghesi che raccontano se stessi e le proprie famiglie oppressive ed emotivamente assenti. Il grande rischio era essere ombelicali e autoreferenziali; il pregiudizio, prima della visione, c’è, ammettiamolo.

Invece Magari (produzione Wildside con Rai Cinema) è un bel film in cui tutti possiamo specchiarci, che convince e, a tratti, emoziona. Anche grazie a prove attoriali di spessore. Dei tre bambini bilingue scelti attraverso un lungo casting, della francese Céline Sallette e dell’americano Brett Gelman (visto anche in Stranger Things) nel ruolo dello spassoso amico Bruce, ma soprattutto degli ottimi Alba Rohrwacher, candidata ai Nastri D’Argento per questo ruolo, e Riccardo Scamarcio, erroneamente ignorato dalle candidature.

 Un riuscito racconto di emozioni e relazioni famigliari al pari di Bar Giuseppe di Giulio Base, una produzione One More Pictures con Rai Cinema. Una storia di provincia, girata quasi interamente a Bitonto, che affronta temi universali come l’accoglienza, la solitudine, il valore della carità umana. Giuseppe (Ivano Marescotti) gestisce il bar e la stazione di servizio in una zona rurale tra la città e le campagne circostanti, un’oasi di convivenza in cui si incontrano, non senza problematicità, individui di ogni razza, lingua, età, religione.

Il protagonista  ha perso l’amata moglie, gli restano due figli già adulti, il fornaio Nicola (Nicola Nocella) e il tossico Luigi (Michele Morrone). Il lavoro scandisce le giornate di Giuseppe, uomo di poche parole e molti pensieri, “in lui contano più le mani che la bocca, più il lavoro che le parole” come dice il regista, sofferente per il recente lutto, ma capace di restare aperto verso il mondo che transita e sosta nel suo bar, spazio di confronto, anche acceso quando si parla di migranti.

Capace di gesti gentili, di accettare l’altro bisognoso, chiunque egli sia. Il riferimento è chiaro al Giuseppe falegname, taciturno padre di Gesù di Nazareth. E il parallelismo diviene ancor più evidente quando l’uomo decide di assumere qualcuno che gli dia una mano a gestire l’attività e la scelta ricade su Bikira (Virginia Diop), una giovane migrante, da poco sbarcata in Italia dall’Africa. Una profuga come sono stati Giuseppe e Maria. Tra i due nasce un sentimento puro, gentile, che sfocia in un matrimonio osteggiato dai figli di Giuseppe e dalla comunità, ma che suscita qualche imbarazzo, per la grande differenza di età, anche nei genitori adottivi di Bikira che vorrebbero che sposasse un uomo giovane per poter avere bambini. Con estremo pudore, la strana coppia non cede alle interferenze esterne. È molto bello il lento avvicinamento tra il vedovo e la ragazza, una intimità costruita su sfioramenti, tenerezze e sulle condivisioni del cibo, durante le pause, tra un piatto di “gnocchi di gomma” e un polpettone. Nei silenzi e negli imbarazzi di Giuseppe, il padre universale, Bikira legge da subito i tratti dell’umanità, portatrice di valori condivisibili da credenti e non.

 Il laconico protagonista perfettamente incarnato da un signor attore, molto sottovalutato, come Ivano Marescotti lavora di sottrazione, recitando con i gesti, con gli occhi, con il lavoro manuale; gli fa da contrappunto la freschezza di Bikira, la solare controparte femminile, una forza vitale con il sorriso coinvolgente di Virginia Diop, romana di madre italiana  e padre senegalese, all’esordio sullo schermo. Giulio Base, attore e regista di lunga esperienza, mostra delicatezza e pudore nell’affrontare una storia che guarda alla Natività per parlare dell’attualità. Privilegiando movimenti di macchina e campi lunghi, non disdegna di porre interrogativi complessi su questioni universali. Almeno fino a un certo punto, bypassa l’ottica religiosa, perché l’etica e la pietas umana sono componenti laiche. E questa è una parabola su una nuova famiglia che travalica barriere – di età, religione, nazionalità – e pregiudizi.

Ci sono cose che non funzionano in Bar Giuseppe, a partire dal tono sopra le righe di alcune interpretazioni (vedi il figlio Luigi). Mentre non si può non sottolineare l’ennesima prova convincente in un manciata di scene di Nicola Nocella, in attesa di una grande chance da protagonista: quanti attori italiani sono in grado di passare dal sanguinario villain da fumetto del recente Cobra non è di Mauro Russo a un anonimo fornaio di provincia? Non convince il giretto nel paese dei novelli sposi che presenta una comunità rigonfia di pregiudizi, dove le malelingue la fanno da padrone e la donna è ancora guardata con sospetto dalle stesse donne. Non si discute il contenuto, in parte verosimile, però in una pellicola dai toni sfumati e intelligenti come questa, ci si poteva aspettare altrettanta grazia nel metterlo in scena. La parte finale è la meno riuscita del film, in cui l’autore (candidato ai Nastri per il soggetto) sembra voler a tutti i costi far emergere il sottotesto religioso, a scapito di una narrazione autonoma che avrebbe condotto in porto Bar Giuseppe senza scossoni.  Magari e Bar Giuseppe sono disponibili su RaiPlay.

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