Max von Sydow, dall’universo tormentato di Ingmar Bergman a Hollywood

by Orio Caldiron

Se chiedevate a Max von Sydow perché in I tre giorni del Condor (1975) non ha fatto fuori Robert Redford nell’ascensore, vi rispondeva sornione: “Non avevo avuto istruzioni”. Nel suo sguardo malizioso si riconoscono subito il sottotesto ironico e la freddezza beffarda del killer che nel film di Sydney Pollack fa il lavoro sporco per un settore deviato della Cia.

Naturalmente i protagonisti della spy story, una delle più suggestive e inquietanti del dopo Nixon, sono il biondo Robert, l’analista di gialli e fumetti, nome in codice Condor, e Faye Dunaway, l’affascinante Kathy in cui si imbatte nella sua fuga, ma la suspense è affidata alle mosse imprevedibili del sicario dai modi signorili impersonato da Max, una presenza mefistofelica dall’intenso odore di zolfo.

Non è un caso che l’attore svedese, nato a Lund il 10 aprile 1929 e morto il 9 marzo 2020, venga dall’universo tormentato di Ingmar Bergman, di cui è stato prima a teatro e poi al cinema uno dei più ricorrenti attori feticcio. Gli assicura la notorietà internazionale Il settimo sigillo (1956), dove il corrucciato cavaliere Antonius Blok, di ritorno dalle crociate, incontra la Morte che gioca con lui l’ultima partita a scacchi, mentre infuriano la peste e la violenza. Nel lungo sodalizio con il grande cineasta impresta la sua magnetica fisicità a una galleria di personaggi maggiori e minori, tra cui spiccano l’illusionista Vogler di Il volto (1958) in bilico tra bluff e magia, lo spietato padre di La fontana della vergine (1959) che organizza minuziosamente il barbarico rituale della vendetta, l’angosciato pittore Johan di L’ora del lupo (1966) alle prese con i demoni della nevrosi.

Nelle sempre più frequenti trasferte hollywoodiane, il film più clamoroso è L’esorcista (1973) di William Friedkin. Il suo intenso Padre Lankester Merrin illumina di luce incandescente la paurosa fenomenologia del demoniaco di uno degli horror più controversi e disturbanti della storia del cinema, presto salito in cima alle classifiche degli incassi. Nel corso di una carriera straripante di titoli, frequenta i generi più diversi, dal fantastico al thriller, Imponendosi con la statura e il volto scavato che si accompagnano alla recitazione di essenziale sobrietà. Se non trascura il cinema d’autore, da Bertrand Tavernier (La morte in diretta)a David Lynch (Dune), da Woody Allen (Hannah e le sue sorelle) a Wim Wenders (Fino alla fine del mondo), in patria è uno dei protagonisti di Con le migliori intenzioni (1991) di Bille August e di Conversazioni private (1996) di Liv Ullmann, entrambi sceneggiati da Bergman. Negli anni settanta lavora anche in Italia, dove nel ’76 partecipa a Cadaveri eccellenti di Francesco Rosi da Sciascia, Cuore di cane di Alberto Lattuada da Bulgakov a Il deserto dei Tartari di Valerio Zurlini da Buzzati. Dopo il matrimonio con Christina Olin, da cui nascono Clas e Henrik, tutti e due attivi nel cinema, sposa la produttrice francese Catherine Brelet, da cui ha avuto Cedric e Yvan. Viveva a Parigi.

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