Susan Hayward, la ragazza che non si è mai sentita diva, vittima delle scorie radioattive dello Utah

by Orio Caldiron

Tra le centinaia di candidate che affollano gli studi della Metro-Goldwyn-Mayer nella speranza di impersonare Rossella O’Hara in Via col vento c’è anche l’avvenente Susan Hayward dai capelli rosso fuoco. A New York – dove nasce il 30 giugno 1917 – si è affermata fin da giovanissima come fotomodella e ora tenta il grande salto. Sconfitta con tutte le altre da Vivien Leigh, l’insuccesso le procura però un contratto con la Warner Bros. e poi con la Paramount. Sembra un trionfo, invece si rivelerà una prigione. Se all’inizio le sue apparizioni in Beau Geste (1939) di William A. Wellman e in Ho sposato una strega (1942) di René Clair sono promettenti, presto finisce con il far tappezzeria nei film delle star.

Soltanto nel dopoguerra abbandona la major, forte del sostegno di Walter Wanger, il produttore indipendente che vede in lei l’incarnazione della donna moderna, volitiva e irriducibile, dal temperamento impetuoso. Come la ballerina disillusa ma combattiva di In nome dell’amore (1946) di Harold Clurman che cerca il colpevole in lotta contro il tempo. O l’amante focosa di Nessuno mi crederà (1947) di Irving Picher che sulla strada per Reno ha un appuntamento con il destino. O la cantante sexy di Una donna distrusse (1947) di Stuart Heisler che si sacrifica per il marito in carriera prima di ritrovarsi sola con la bottiglia.

Nel decennio seguente, passata alla 20th Century Fox, vive la sua stagione più memorabile. Senza escludere qualche rara incursione nella commedia – la più divertente è La conquistatrice (1951) di Michael Gordon, dove dà la scalata al mondo della moda – nel film d’avventura (Le nevi del Kilimangiaro) e nel western (Il prigioniero della miniera), il genere d’elezione dell’imbronciata Signora del Pianto con Grinta è il mélo in cui i trasalimenti del cuore s’intrecciano coi colpi bassi della sfortuna. I suoi maggiori successi sono Piangerò domani (1955) di Daniel Mann, biopic strappalacrime di una cantante-attrice degli anni trenta che annega nell’alcol le delusioni sentimentali, e Non voglio morire (1958) di Robert Wise, vibrante requisitoria a ritmo di jazz contro la pena di morte dove, a partire da una storia vera, interpreta una prostituta condannata alla camera a gas per omicidio. La sua performance da manuale le fa guadagnare il suo unico Oscar. Quando finalmente è riuscita a imporsi sul piano professionale, il fallimento del suo primo matrimonio e la battaglia legale per la custodia dei figli la spingono a tentare il suicidio.

Negli anni sessanta è soprattutto il pubblico femminile a condividere i patemi dell’eroina di Il sentiero degli amanti (1961) di David Miller alle prese con l’amore impossibile. Spiccano tra gli ultimi ruoli la miliardaria ipocondriaca di Masquerade di Joseph L. Mankiewicz e la diva in declino di La valle delle bambole di Mark Robson, entrambi del ’67. Scompare il 14 marzo 1975 a Los Angeles per un tumore al cervello. Qualcuno riconduce la sua malattia a Il conquistatore di Dick Powell, il film maledetto girato vent’anni prima nel deserto dello Utah reso radioattivo dagli esperimenti nucleari. Era solita dire: “Non mi sono mai vista come una star. Sono solo una ragazza che lavora”.

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