Shaker di Paraguaj fonde beat, funk, hip hop e soundtrack western. “Parlare, ballare e suonare, sono esattamente la stessa cosa”

by Luana Martino

Quando una base elettronica accoglie in sé i suoni del mondo, in un abbraccio di contaminazioni, quando il profumi di alcuni luoghi si materializzano all’ascolto di un brano e la mente ti apre immaginari lontani. Il bacino ondeggia e le spalle cominciano a muoversi, inevitabilmente. Questo accade ascoltando il lavoro di esordio di Paraguaj come  ha scelto di chiamarsi il barese Alessandro Montano, classe ’80, per il suo nuovo progetto elettronico.

Dopo aver pubblicato 1 ep ed 1 disco sotto il nome di “Super Disco” fra il 2018 ed il 2019, oggi si presenta con un “nuovo vestito”, una sorta di metamorfosi artistica che lo porta verso sonorità più esotiche e di diverse latitudini come il blues arabo, l’afrobeat, la digital cumbia, la slow house, la tropical, con influenze artistiche come The Maghreban, Nicola Cruz, Zombie Zombie, Acid Arab,  Chancha via Ciruito ed El Buho.

“Shaker” è il titolo scelto per l’album d’esordio di Paraguaj, uscito su diverse piattaforme online Venerdì 13 Marzo. Si tratta di un insieme di beat e campioni elaborati, dove si fondono il funk, l’hip-hop, le colonne sonore dei film western, il Messico, l’Oriente, il burrito, il kebab, Tarantino, Wonder Woman, Bruce Lee, Batman (quello con Adam West) e pure Stranger Things. Eh si, perché il nuovo lavoro del producer non è solo un connubio di sonorità ma anche di esperienze culinarie, di momenti personali, di elementi che caratterizzano la sua vita quotidiana.

Elemento fondamentale per la realizzazione del disco è stato l’incontro con l’etichetta che lo ha prodotto, Last Floor Studio. Tutto, infatti, è nato dalla possibilità di poter suonare condividendo performance con altri musicisti. Uno degli intenti di Last Floor Studio è proprio quello di supportare la condivisione tra musicisti riuscendo a realizzare performance che nascono da momenti di improvvisazione. Così Alessandro, in arte Paraguaj, si è trovato a condividere serate con musicisti quali: Sabrina de Mitri al sax che ha improvvisato sui suoi beat sulla spiaggia in riva al mare; Sebastiano Lillo alla chitarra resofonica, che ha improvvisato sulla terrazza di un borgo del brindisino. E ancora con Giovanni Chirico (zufolo siciliano) ed Umberto Coviello (chitarra) con i quali, però, non ci è stato un incontro personale, ancora. Questo dimostra, dunque, che la cooperazione e la contaminazione può avvenire continuamente anche a distanza e con sconosciuti che, grazie alla musica, entrano a far parte del proprio immaginario e delle proprie produzioni.

In concomitanza dell’uscita del disco ‘Shaker’ abbiamo intervistato Paraguaj.

Parliamo di te…qual è il tuo background musicale?

La domanda è un po’ complicata perché in realtà sono abbastanza eclettico. Nasco, infatti, come cantante rock, ho proseguito, poi, con il fondare i MO’siSTa dove elettronica si fondeva al funk, al rock e al hip hop. All’interno del gruppo, oltre a cantare, producevo le basi; mi ha sempre affasciato, infatti, capire come si potessero campionare i suoni, come si potessero fondere le sonorità per dar vita alle basi.
Già con i Mo’siSTa iniziai, così, ad ampliare i miei ascolti musicali all’ambito dell’elettronica e ai sottogeneri che essa comprendere. Ad esempio, come gruppo italiano, i Subsonica, per citarne uno, mi aprirono un mondo incredibile fatto di campionatori e di un sound totalmente diverso da quello che ero solito ritrovare nel mio ambiente fatto perlopiù di ‘rockettari’. Decisi, così, di andare a studiare elettronica a Roma perché quando mi approccio ad un nuovo genere musicale sento l’esigenza di snocciolarlo in toto, di approfondirlo, di studiarlo per arrivare a riprodurre quel suono che ha creato fascinazione al primo ascolto.

Credo che il producer debba avere una visione completa del tutto, perché deve riuscire a produrre un’intera traccia composta da tanti elementi, credo che per farlo occorra uno sforzo meditativo incredibile. In un’unica persona, il producer appunto, si materializza un intero gruppo, un’orchestra che realizza musica in un complesso di azioni differenti.

Mi piace definirmi sinestetico e, in quanto tale, ho sempre pensato che il produrre musica riuscisse ad aprirmi un immaginario stupefacente.

Anche per i tuoi lavori precedenti avevi usato un nome d’arte. Da Superdisco a Paraguaj, dunque. Perché questa scelta?

Il nome Superdisco nasceva dal fatto che volessi fare, in primis, Italo-disco, con questo disco, invece, spazio dall’ afrobeat alla digital cumbia passando dalla slow house alla tropical che prendono spunto dalla musica del mondo, ad esempio, dall’Africa, dal Sud America e dal Medio Oriente. La scelta del nome Paraguaj è avvenuta, quindi, in maniera naturale.

Shaker, il tuo nuovo lavoro, cosa lo differenzia dagli altri? Quanto sei cambiato dalla prima produzione?

E’ un lavoro più fisico, certamente.  Per fisico intendo che l’ho realizzato mentre svolgevo azioni quotidiane come cucinare. In esso, infatti, c’è il profumo della cucina, dei cibi esotici, c’è la voglia di rapportarsi all’altro, il desiderio di abbracci, di baci, e soprattutto c’è il desiderio di incontro e contaminazione con l’altro.
Dal punto di vista tecnico ci sono casse molte definite e bassi prepotenti, è un disco che deve essere ballato, oltre che ascoltato. Ritorna, così, l’aspetto fisico come concept di tutto l’album. Rispetto ai miei lavori precedenti, non credo di essere cambiato ma ritengo di essermi evoluto.
Nella realizzazione di DEMBELE avevo dato spazio al ballo; GUIRLANDE, invece, era più mentale, per SHAKER mi sono concentrato sulla fisicità.
Quando faccio un lavoro, infatti, cerco di convergere tutta l’attenzione su un elemento che vorrei che emergesse ascoltando la mia musica. E’ fondamentale la comunicabilità della musica ed è importante, dunque, essere coerenti nella propria produzione.

Come diceva Edgard Allan Poe: uno scritto non deve essere né troppo lungo né troppo breve ma deve essere fruibile nella sua complessità. Quindi, anche per la musica, oltre alla coerenza, devi riuscire a soddisfare il fruitore in un tempo ragionevole.

Parliamo del disco nello specifico: perché il titolo ‘Shaker’? E quali brani contiene?

Il titolo del disco è Shaker per un motivo semplicissimo: lo shaker, campionato, strecciato, suonato, è il flusso che collega tutte le tracce; in più è uno strumento quasi rudimentale che però si trova nella musica fatta a tutte le latitudini, semplice, sabbia e legno nella maggior parte dei casi. Sottolinea la sincope. Con questo disco Alessandro ha voluto parlare di multiculturalità, di semplicità e fisicità, di paesaggi e profumi. A volte vuole parlare, a volte far ballare. Che poi parlare, ballare e suonare, sono esattamente la stessa cosa.

1. Raoul:

La traccia più folle del disco. Chi è Raoul? Dopo il viaggio più bello della mia vita in Messico (quello di nozze) mi son rimasti i colori, i profumi e la simpatia per quel tizio: Raoul. Raoul era in piazza a Merida, le panchine erano verniciate di fresco. Aveva i baffoni e probabilmente l’ho immaginato. Mi ha chiesto una sigaretta. Poi su questa traccia ci suonano su Giovanni Chirico ed Umberto Coviello e mi ritrovo con uno strumento assurdo come lo zufolo siciliano suonato completamente fuori di testa che percepisce l’essenza completamente strampalata del brano ed una chitarra che conferisce una robustezza legnosa che in pratica diventa la piazza nella quale incontrai Raoul.

2. The Black Jiin:

Mi sono chiesto cosa sarebbe stato se il genio della lampada avesse esaudito i miei desideri a ritmo di funk. Il risultato è questo, con Sabrina de Mitri al sax e Sebastiano Lillo alla chitarra resofonica, non poteva essere più chiaro di così.

3. Mexican standoff:

Lo stallo alla messicana applicato alla vita reale. Ho sempre adorato quei momenti nei film western da ragazzino capendo poi, crescendo, che di momenti come quelli la vita è piena, dal lavoro ai rapporti interpersonali. E c’è sempre un momento in cui ti chiedi: chi sparerà per primo? Non sai se sei più al sicuro in quell’equilibrio o se aspetti la rottura, tipo liberazione, anche se ci rimetti personalmente. Qui la chitarra resofonica di Sebastiano Lillo fa rivivere la polvere della nuova California.

4. Bruce Lee:

Ho sempre amato Bruce Lee. Un genio prima che il più grande artista marziale. Ho sempre guardato i film di genere che mi spinsero a diventare un pugile amatore e qui faccio un piccolo omaggio al mio mito filtrandolo con la lente di un altro mio mito: Tarantino.

5. Jewel:

A cavallo tra i ’70 e gli ’80 Wonder Woman era funk quasi come Shaft e Batman non era ancora un cavaliere oscuro ma era ancora tutto “sbreng” e “splash”. Un tentativo di reinterpretare in chiave attuale le musiche che meravigliosamente impreziosivano quelle perle di serie tv in stato profumatamente agreste.

6. Nooh!:

Questa traccia è uno scherzo. Mi sono divertito un sacco a produrla perché “no” è una parola che ho sentito spessissimo. E a volte non era manco vero.

7. Dwayne again:

Ho pensato al tizio enorme (che mi sta pure simpatico) degli action movie moderni. Tipo ho pensato che se ci litigo altro che stallo alla messicana, l’unica cosa che spero è che il tempo si congeli finché non mi viene un’idea utilissima per defilarmi. Un pezzo in sospensione. Volevo finire questo disco con una sospensione tipo “to be continued”.

Chi sono i tuoi ‘mentori’?

Come dicevo prima mi piace spaziare in vari generi e approfondirne le caratteristiche. Quindi i miei ascolti sono variegati, potrei citare Luke Abbott come producer di elettronica; The Maghreban nell’ambito della dance elettronica; gli Acid Arab, gli Zombie Zombie, Nicola Cruz e Chancha Via Circuito. Si passa, dunque, da atmosfere dark al folclore arabeggiante e io mi rispecchio in tutte queste produzioni.

Come è nata la collaborazione con Last Floor Studio?

E’ nata sul gruppo facebook ‘Synth Cafè’ e visto che ci accomunava il fatto di essere pugliesi ci siamo incontrati e i ragazzi di Floor Studio mi hanno invitato a suonare in location bellissime della Puglia con altri musicisti che non conoscevo. Nel disco, infatti, ci sono delle collaborazioni con diversi musicisti come Sabrina de Mitri al sax e Sebastiano Lillo alla chitarra resofonica.

La cosa splendida di questo disco è la collaborazione fatta da persone che non si conoscevano prima e che si sono incontrate per suonare. Ci vorrebbe più collaborazione nella vita, da ogni punto di vista. Nessuno cresce da solo, si cresce insieme ed è una cosa che vale in ogni ambito.

Come promuoverai il disco?

Visto il delicato momento che stiamo vivendo, per ora non sono previste date per live ma è possibile ascoltare ‘Shaker’ e scaricarlo, con un contributo, su diverse piattaforme. Come:

Spotify: https://spoti.fi/2IJc1qp

Bandcamp: https://bit.ly/2viSqu0❗
SoundCloud: https://bit.ly/33hb5D3
iTunes/Apple Music: https://apple.co/2QaNi2b
Amazon.com: https://amzn.to/33fw0GJ
Deezer: https://www.deezer.com/it/album/136018272
Google Play Store: https://bit.ly/39P52YJ

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