Il fascino immutato di Dracula nella miniserie di Mark Gatiss e Steven Moffat su Netflix

by Nicola Signorile

Eccessivo, barocco, ambizioso. Il Dracula di Mark Gatiss e Steven Moffat, miniserie britannica in tre episodi di 90 minuti disponibile su Netflix, ha un primo merito fondamentale: riportare l’attenzione sul bellissimo romanzo di Bram Stoker del 1897, in un certo senso l’origine di tutti i mali. La straordinaria  figura del conte della Transilvania, ispirato a Vlad III principe di Valacchia, aristocratico, fascinoso rivive sul piccolo schermo grazie all’interpretazione del danese Claes Bang, già interprete di The Square e dell’ultima stagione di The Affair, scelta indubbiamente azzeccata degli showrunner per physique du rôle e charme.

Ma i creatori di Doctor Who e Sherlock puntano come sempre in alto, costruendo un racconto visivamente accattivante che ha una sua coerenza complessiva, pur essendo composto di tre episodi molto diversi tra loro, tre film con un proprio distinto registro narrativo. L’horror è il terreno comune su cui si muovono le tre parti di Dracula: il sangue, tanto sangue –  e come potrebbe essere altrimenti – di cui si nutre il geniale protagonista e che gli permette di acquisire capacità, imparare lingue, sapere nuove cose tramite le malcapitate vittime; le croci, pipistrelli e lupi, il castello in Transilvania pieno di segreti e insidie, dove si svolge quasi interamente il primo capitolo, quello più vicino alla narrazione originaria di Stoker.

Riviviamo le peripezie dell’avvocato Jonathan Harker (John Heffernan) nel maniero abitato da Dracula, e non solo, attraverso un lungo interrogatorio in un convento ungherese. Qui viene introdotta la seconda figura chiave nel racconto: una suora, decisamente sui generis, con un cognome decisivo per la storia, Agatha Van Helsing,interpretata da Dolly Wells. Dracula e Van Helsing, il gatto e il topo, protagonisti di una lunga caccia a colpi di battute fulminanti e intuizioni geniali. Sorella Agatha – un incrocio tra Sherlock Holmes e il più celebre Van Helsing del grande schermo, interpretato da Anthony Hopkins nell’iconico film di Francis Ford Coppola – cerca di saperne il più possibile sulla sua “preda”, in principio apparso come un rinsecchito vecchino che col tempo ringiovanisce grazie all’energia vitale del suo ospite Jonathan.

Vengon fuori i temi della serie che saranno sviluppati nei capitoli successivi: l’immortalità del vampiro, la ragione della paura della croce, l’avversione per la luce del sole, l’impossibilità di entrare in un luogo senza un esplicito invito. Il vero interesse di sorella Agatha sembra essere dare una risposta ai suoi quesiti sulla creatura demoniaca, più che distruggerla per sempre. Il finale dell’episodio mostra Dracula davanti ai cancelli del convento fronteggiato da un gruppo di suore armate solo della fede e di un crocifisso. Il primo faccia a faccia tra i due protagonisti è uno dei migliori momenti della serie, godibile, divertente, con intuizioni sin troppo geniali di due personaggi bigger than life che oscurano tutto il resto. Il secondo episodio della serie vira verso il giallo alla Agatha Christie.

Il meccanismo dei dieci piccoli indiani viene ricreato a bordo del Demeter, la nave sulla quale il conte salpa alla volta dell’Inghilterra. Un breve passaggio nel romanzo di Stoker viene ampliato e messo al centro di un capitolo che spinge lo show in territori abbastanza lontani dalla materia letteraria. Dracula si fa sinuoso, sensuale. Seduce e ammalia, riuscendo a far fuori uno a uno passeggeri ed equipaggio.

La domanda però sorge spontanea anche agli occhi dello spettatore più sprovveduto: come è possibile che l’ambiguo e misterioso aristocratico non sia il primo sospettato per le sparizioni sulla Demeter? La terza parte di Dracula rappresenta il vero tentativo di Gatiss e Moffat di staccarsi completamente dal romanzo di Bram Stoker. La scena si sposta dal diciannovesimo secolo al presente. Dracula approda in Europa, ma viene immediatamente accerchiato da uomini armati e da un elicottero. Apparentemente Agatha Van Helsing ha resistito al passare del tempo, nel 2020 è ancora lei l’avversario. Senza svelare troppo della trama, il salto temporale è il vero slancio di creatività della serie, un tentativo di parlare della società contemporanea attraverso lo sguardo di un personaggio che sfida le leggi del tempo. Un Dracula libero nella Londra di oggi a caccia di una moglie che, messo a confronto con la sua nemesi, svela ogni intima fragilità. Le sue paure originate più da retaggi atavici che da leggi di natura, il suo nutrirsi del sangue di donne e uomini che lo ha reso più umano degli umani stessi, presi dalla superficialità, dall’ossessivo bisogno di mostrarsi e ostentare ricchezze (in questo, il confronto con Lucy, l’amata ragazza ossessionata dal proprio aspetto e affascinata dalla morte, interpretata da Lydia West, è illuminante).

Un episodio risolutivo, in cui avremo tutte le risposte, grazie ai dialoghi brillanti, incalzanti, infarciti di ironia, tra Dracula e la Van Helsing; fino in fondo i faccia a faccia tra i due rappresentano il vero cuore dello show. L’incedere della serie è appassionante, ultrapop, tra colpi di scena, flashback, citazioni più o meno evidenti, con trovate visive interessanti funzionali al racconto.  Forse gli autori si spingono troppo in là con una terza parte che tralascia la dimensione orrorifica per concentrarsi su un discorso sul presente che risulta un po’ scollegato dai precedenti episodi.

Un esperimento narrativo ardito, a tratti straniante, frutto dell’enorme ambizione di Gatiss e Moffat che probabilmente avrebbe avuto bisogno di qualche episodio in più o di una diversa scansione temporale per convincere pienamente. Però l’originalità è un pregio soprattutto parlando del principe delle tenebre e dei suoi accoliti, al centro di una sterminata quantità di libri, serie, fumetti, film, spettacoli teatrali, dal 1897, anno di uscita del romanzo dell’agente teatrale irlandese Bram Stoker. Una delle prime e più conosciute trasposizioni sul grande schermo è il Nosferatu di Friedrich Murnau nel 1922, in cui Dracula diventa il conte Orlok e la scena si sposta nei Carpazi, per ragioni di diritti. Il film andrà quasi perduto e nel 1979 Werner Herzog ne girerà una sua versione Nosferatu, il principe della notte con l’inseparabile Klaus Kinski, Isabelle Adjani e Bruno Ganz.

Innumerevoli sono le versioni targate Universal e Hammer, dal primo interpretato da Bela Lugosi nel 1931 (diretto da Tod Browning) ai tanti Dracula di Christopher Lee che, a partire dal 1958, fecero dell’attore inglese una specie di alter-ego del succhiasangue. Lugosi ispirò Tim Burton per il vampiro di Ed Wood impersonato da Martin Landau, premiato nel 1995 con l’Oscar al miglior attore non protagonista. Dracula è figura carismatica che solletica l’ego dei grandi attori, così a Lee si aggiungeranno grandi interpreti come David Niven, Udo Kier, Lon Chaney, John Carradine fino allo straripante Gary Oldman del sensuale Bram Stoker’s Dracula di Coppola del 1992. Di certo la versione più nota al cinema, Oscar per trucco, costumi ed effetti speciali, con Van Helsing/Hopkins, Mina/Winona Rider, il giovane Keanu Reeves nei panni di Harker e Monica Bellucci in quelli di una delle “mogli” di Dracula (senza dimenticare il Renfield di Tom Waits).

Ben presto l’ironia diventa una chiave importante per raccontare l’universo dei non morti, stimolando la fantasia di grandi artigiani dell’immaginario come Roman Polanski, il primo nel 1967 con Per favore non mordermi sul collo, Andy Warhol che produce Dracula cerca sangue di vergine… e morì di sete, diretto da Paul Morrissey nel 1974 e Mel Brooks, autore di Dracula morto e contento con Leslie Nielsen nel 1995; in Italia avremo lo spassoso Fracchia contro Dracula con Paolo Villaggio. Frank Langella e Laurence Olivier rivaleggiano amabilmente nel Dracula di John Badham del 1979 mentre il maestro dell’horror italiano Dario Argento partorirà un dimenticabile Dracula 3d nel 2000 con la figlia Asia, Rutger Hauer e il tedesco Thomas Kretschmann come protagonista. Stesso anno in cui altri due film attingono all’universo del conte non morto: una versione contemporanea di Patrik Lussier, Dracula’s Legacy – Il fascino del male prodotta da Wes Craven e L’ombra del vampiro di Elias Merhige, ipotetico backstage del Nosferatu di Murnau con John Malkovich e Willem Dafoe. Da dimenticare il Van Helsing di Stephen Sommers nel 2004.

Storie di non morti di grande successo fuori dall’entourage del conte transilvano si ritrovano in tante pellicole: nel 1983 il supesexy esordio alla regia di Tony Scott, The Hunger (in Italia Miriam si sveglia a mezzanotte) con un terzetto di protagonisti d’eccezione come Catherine Deneuve, David Bowie e Susan Sarandon; il primo comic movie vampiresco Blade, trilogia dark targata Marvel a cavallo tra anni ’90 e primi Duemila; Intervista col vampiro, prima romanzo di Anne Rice, poi film di Neil Jordan con i vampiri sexy Tom Cruise, Brad Pitt e Antonio Banderas; la saga di Twilight, nata dalle pagine di Stephenie Meyer, sfociate nei cinque teen-movie che hanno lanciato le carriere di Robert Pattinson e Kristen Stewart, fino al decadente Solo gli amanti sopravvivono di Jim Jarmusch nel 2013. Ottimi gli horror 30 giorni di buio di David Slade del 2007 e Lasciami entrare del 2008 di Tomas Alfredson. Fioccano citazioni in cartoon, serie tv e film d’animazione da Hotel Transilvania a Carletto il principe dei mostri, da Vampirina a Buffy l’ammazzavampiri e Penny Dreadful.

Una lunga, lunghissima storia destinata a continuare, a testimonianza del fascino immutato dei vampiri e del loro principe indiscusso.

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