Ogni strada era Suburra: l’atto finale della serie evento Netflix con Alessandro Borghi

by redazione

La Suburra, romanzo di Giancarlo De Catarlo e Carlo Bonini, trasposto magistralmente in un film diretto da Stefano Sollima, dal quale, poco meno di tre anni fa, viene tratta una serie televisiva originale Netflix, prodotta da Cattleya in associazione con Bartlebyfilm, giunta al suo attesissimo epilogo, disponibile a partire dal 30 ottobre – sulla piattaforma Netflix – in più di 190 paesi nel mondo.

C’è un film bellissimo di Claudio Caligari, il suo ultimo: Non essere cattivo. Ad abitarlo erano i ragazzi di vita di un’Ostia mai così selvaggia in cui tutto muore e tutto è più vivo che mai, e la loro fame di rivalsa, l’energia vitale di cui erano imbevuti, e ancora la voracità con cui divoravano tutto; già lì, a far da protagonista era il corpo vessato di Alessandro Borghi, antieroe tragico contemporaneo.

Da quello stesso tessuto sociale sgualcito provengono le fila del racconto di Suburra e delle vite che lo abitano.

Al centro, la profana trinità: Chiesa, Stato, Crimine. Mentre un campo lunghissimo sul Vaticano apriva la prima stagione, i corridoi dei palazzi del potere erano facevano da sfondo alle vicende legate al secondo atto, le strade del crimine diventano palcoscenico unico per l’epico finale.

Colpi, contraccolpi, sangue, ossa, cocaina, il valore unico della famiglia, il potere inarrestabile della religione. Questi i cardini attorno ai quali ruotano gli uomini e le donne di Suburra: la bestia ferita Aureliano (Alessandro Borghi), lo zingaro Spadino (Giacomo Ferrara), il politico corrotto Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro), il criminale Samurai (Francesco Acquaroli), lo spaventoso Manfredi Anacleti (Adamo Dionisi), la determinata Sara Monaschi (Claudia Gerini) e le giovani Angelica e Nadia (Carlotta Antonelli e Federica Sabatini) compagne indispensabili dei due protagonisti.

Chi regnerà su Roma? Sulla città sempiterna, sporca, sbagliata, corrotta. Dicono arrivi l’Apocalisse, si sbagliano. Questa è la Genesi d’una città vitalissima: la fine del mondo qui c’è già stata.

E così riprendono ancora, e di nuovo, i giochi di potere tra Chiesa, Stato e Crimine in sei episodi ben diretti in cui nulla è lasciato al caso, nemmeno la colonna sonora, precisissima, creata per l’occasione dall’artista Piotta, capace di legare magistralmente musica e immagini: un brano per ogni puntata, ciascuno dedicato a uno dei personaggi (tra i più significativi: Cuore Nero – Samurai).

Una regia sicura, capace di fondere il realismo di provincia all’alto melodramma senza tralasciare il senso dell’azione, del crime puro, e, soprattutto, senza perdere mai l’emozione sfregiata dei personaggi, ormai stremati, in debito d’ossigeno, spinti verso la fine di tutto, l’inizio di ogni cosa.

E dietro tutto e ogni cosa, Roma. Una città che produce ormai solo potere, potere che ricade su altro potere, che schiaccia altro potere, che concima altro potere, scrive Nicola Lagioia.

Imprescindibile Roma, perché solo quelle strade, quelle chiese, i corridoi di quei palazzi potevano accogliere un racconto così umano e corrotto come quello di Suburra.

In occasione della conferenza stampa tenutasi per l’uscita della stagione finale bonculture.it ha incontrato il cast tecnico e artistico:

Racconta il regista Arnaldo Catinari: “Il tempo è uno dei personaggi chiave della stagione. È un tempo compresso, veloce pieno di eventi che riporta tutto all’indifferenza di una lancetta di orologio: vivere o morire, è solo un secondo.”

Dice Alessandro Borghi: “È stata una fortuna essere guidati da Arnaldo (Catinari) che sapeva benissimo dove andare a spingere per tirare fuori il meglio dei personaggi in un arco temporale ridotto. Questa stagione ha avuto un sapore particolare, sapevo che avremmo avuto la possibilità di raccontare i personaggi nel profondo. Aureliano, così come Spadino e Lele, cercava all’inizio della serie il suo posto nel mondo. Mano a mano sia lui che gli altri trovano il potere e devono imparare a gestirlo.”

Riguardo al rapporto tra il suo personaggio e il co-protagonista Spadino afferma: “Penso che gran merito vado agli autori. Quando ci hanno detto che Spadino poteva essere omosessuale non sapevamo se avesse potuto funzionare: era la prima volta che una cosa del genere veniva fatta. È stato un atto di coraggio. Quando mi chiedono “Ma quindi Aureliano e Spadino sono fidanzati?” rispondo che la loro è una storia d’amore, specie per come intendo io l’amicizia. In questa stagione, soprattutto, diventano dipendenti l’uno dall’altro.”

Lo segue Giacomo Ferrara: “Mi ricordo la prima volta che ho conosciuto Alessandro. C’è stata un’alchimia particolare, ci capivamo al volo. Rivedendo questa stagione, in particolare le scene tra me e lui, ho pensato che siamo riusciti a portare sullo schermo due grandi amici che si amano follemente.”

Si aggiungono le riflessioni di Adamo Dionisi: “Per me Suburra è stata un’esperienza educativa. Sono sei anni che combatto con questa cosa: l’ho iniziata ch’ero un cialtrone, ora sembra che sia diventato un attore quasi serio. Mi mancherà la famiglia venutasi a creare, mi mancheranno tutti, una squadra di professionisti incredibili. Oggi, solo oggi, sono super felice. Da domani mi chiuderò in hotel. È una rottura troppo forte.”

E infine Federica Sabatini riflette sul rapporto tra Nadia e Angelica, le due giovani compagne di Aureliano e Spadino, protagoniste indiscusse – al di là delle loro controparti maschili – di quest’atto finale: “Sono due personaggi partiti agi antipodi che trovano, nel tempo, un bisogno comune. Ciò le porterà a cambiare il ruolo a cui erano state predestinate da un sistema che, di per sé, non le prevedeva inserite.”

La Suburra. ‘Sto posto non cambia da duemila anni: patrizi e plebei, politici e criminali, mignotte e preti”

Diceva il Samurai.

Nicolò Bellon

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