The Handmaid’s Tale, il mondo distopico del racconto dell’ancella

by Luana Martino

Un mondo distopico dove la concezione di libertà viene completamente annientata; un mondo dove le regole della convivenza sociale e i diritti umani vengono cancellati. Non per tutti però. In questo luogo ‘alternativo’ è la figura femminile a dover sottostare ad assurde angherie. Le donne, o almeno quelle preposte al ruolo di sottomesse, vengono completamente annientate nel loro essere umane pensanti.

Stiamo parlando delle celebre serie The Handmaid’s Tale, in onda su Tim Vision, tratta dal romanzo di Margaret Atwood Il racconto dell’ancella (1985), che racconta, appunto, la storia di Offred, ancella resa schiava in quanto fertile e costretta ad avere rapporti sessuali al solo fine di procreare.  
Il romanzo dell’Atwood immaginava un quadro terrificante ma anche estremamente verosimile, purtroppo, quasi profetico, attingendo da fatti realmente accaduti e dove, in questo ipotetico futuro, la democrazia è caduta a favore di un governo totalitario che proibisce alle donne ogni forma di libertà.

Ideata da Bruce Miller la serie rispecchia, soprattutto nella prima stagione, il romanzo distopico e riesce a portare sul piccolo schermo una storia potente, forte ma allo stesso tempo delicata e umana, che affronta tematiche attuali come misoginia, sessismo e diritti delle donne.
Da subito lo spettatore si trova ad osservare le nefandezze di Gilead, una città dove le donne sono mutilate nello spirito e anche nel corpo, un luogo fatto di silenzi, di segreti e dove Offred (Elisabeth Moss) è solo una delle ancelle ancora fertili -in un mondo dove il tasso di fertilità è sceso incredibilmente- che hanno dovuto dire addio ai loro diritti, al loro lavoro, ai loro mariti e figli, e persino alla propria identità. Offred, infatti, significa “di Fred”, “di proprietà di”, in quanto ogni ancella viene assegnata a un comandante, dal quale ogni mese verrà stuprata sotto lo sguardo e l’assurda approvazione della propria moglie. Il tutto finalizzato alla procreazione, alla nascita di nuove vite pronte a rientrare nell’aberrante concezione di vita di Gilead.

Sottostare silenziosamente a questa tortura affinché si possa evitare il confinamento nelle, cosiddette, colonie dove si smaltiscono rifiuti tossici e dove l’esistenza è, perfino, peggiore di quella che si può riscontrare a Gilead.

Già dal suo esordio The Handmaid’s Tale si è fatta strada nelle tante proposte seriali, emergendo per la grande perizia tecnica, l’eccellente lavoro del cast e l’attenzione registica che si presenta densa di spunti creativi, di scelte stilistiche che funzionano sia dal punto di vista visivo sia da quello formale.

Una fotografia al servizio del racconto, una palette di colori minimale che riesce a raccontare il rigore ricercato in una questa città surreale. Solo il rosso, colore che caratterizza il vestito delle ancelle, spicca in maniera preponderante in un mondo dalle tinte grigiastre.
Il rosso come segno di passionale desiderio di emergere, desiderio di non soccombere alle atrocità inflitte, un simbolo che si dimostra fondamentale all’interno del racconto.

Un tema necessario, che andava raccontato e che prende spunto, ahimè, da fatti di cronaca e da atti di violenza che ogni giorno si esplicano sulle donne. Si procede con flashback che narrano allo spettatore le vite dei protagonisti.  Lentamente tutti i tasselli vanno al loro posto e regalano una visione d’insieme dove viene dato maggior spazio -almeno nella prima stagione –  oltre che Offred, al Comandante Waterford (Joseph Fiennes); a Serena Waterford (Yvonne Strahovski), moglie del comandante, severa e crudele, ma allo stesso tempo vittima di un sistema; a Nick (Max Minghella) l’autista del Comandante e al marito di Offred, Luke (O. T. Fagbenle).

La serie di Miller procede, così, sino alla terza stagione che si rivela ancora più sorprendente, più intima, con un finale che sembrava già scritto e che invece all’improvviso cambia bruscamente, distaccandosi, definitivamente, dal romanzo che l’ha ispirata. Nel corso del racconto emergono le storie di altri personaggi come, ad es., quello interpretato da Alexis Bledel ma più di tutti colpisce il comandante Joseph Lawrence (Bradley Whitford), padre putativo di Gilead, ideatore delle Colonie che, però, è consapevole delle ingiustizie che questo nuovo mondo ha creato.

Nelle tre stagioni si respira continuamente il doloroso ciclo di sottomissione a cui un’ancella è costretta ma pian piano qualcosa nello sguardo di June (questo è il nome di colei ormai chiamata Offred) sta cambiando. Non c’è più solo quel misto di paura e determinazione, ora dentro di lei sta iniziando ad ardere un fuoco violento e distruttivo. Nella terza stagione è questa la scintilla che manda avanti la narrazione affinché la serie non risulti ripetitiva; il desiderio di June di annientare Gilead si fa sempre più estremo e nell’attesa della quarta stagione – della quale sono state interrotte le riprese a causa della situazione pandemica – possiamo solo immaginare quale azione compirà la protagonista ormai, tanto amata, come la serie che interpreta.

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