“Amare vuol dire lottare per gli altri” l’eredità resistente di Santa Chiara. L’intervista a Chiara Mercuri

by Francesca Limongelli

Rivoluzionaria nelle scelte, antesignana nel professare la partecipazione come via di civiltà e civilizzazione, caparbia nel perseguire i suoi obiettivi, Santa Chiara è stata una figura cruciale non solo nella storia della Chiesa, ma più in generale in quella della civiltà occidentale nella quale ha portato un modello di fede e di comunità oggi come oggi ancora necessari.

Dopo Matilde di Canossa è lei stamattina la protagonista del secondo appuntamento con le “Le lezioni di Storia. L’Italia delle donne”, in programma al Teatro Petruzzelli di Bari, fino al 22 dicembre, la domenica alle 11.

A raccontarla ci sarà la medievalista di fama internazionale Chiara Mercuri, autrice di numerosi saggi sulla storia e cultura medievali e studiosa della vita e delle opere di San Francesco D’Assisi e appunto di Santa Chiara. Partendo dai pregiudizi sulla vita religiosa delle donne nel Medioevo , passando per quelle incrostazioni che hanno fatto di Chiara un santino, la lezione di oggi punta a rivedere la storia di una donna “resistente e determinata” come la definisce la Mercuri, raggiunta telefonicamente mentre era proprio in viaggio verso Bari.


Santa Chiara ha perseguito tenacemente il suo obiettivo, quello di povertà assoluto, riconosciutole dopo molto faticare. Che significato aveva in quell’epoca e in quella Chiesa estremamente legata al materiale ricercare questa povertà e che a farlo fosse una donna?

Primo forte obiettivo di Chiara è stato quello di restare francescana, fedele a Francesco e al suo ideale e quindi all’intero gruppo che Francesco aveva creato attorno a se. Noi oggi abbiamo, erroneamente, l’immagine di Francesco isolato, ma in realtà dobbiamo pensare che si trattò di un gruppo di giovani uomini, cresciuto insieme e di giovani donne amiche, in molti casi imparentate, insieme fin dall’infanzia. Fu una generazione intera che volle cambiare vita partendo oggettivamente da situazioni di privilegio, considerato che tutti erano figli e figlie di magnati.Rivoluzionario fu, da parte di Chiara, concepire il progetto di unirsi al gruppo dei maschi che era già nato e che dimorava alla Porziuncola, nella città bassa.

La professoressa Chiara Mercuri

Pensando a Chiara non possiamo ovviamente prescindere da Francesco, due giovanissimi che – come dicevamo – rinnegano la loro ricchezza e il loro status per sposare ideali di autenticità. Siamo soliti però pensare a Chiara come “proiezione” femminile di Francesco quando in verità le biografie ci parlano di una donna forte, non mera esecutrice. Chi era Chiara?

Chiara fin da giovanissima non vuole sposarsi, non ama le chiacchiere tipiche dell’ambiente femminile, è generosa, molto attenta ai poveri, vuol fare la carità e quando scopre la conversione di Francesco vede in maniera nitida la sua strada.

Possiamo definirla una femminista antesignana?

No. Il suo è proprio l’esempio di una donna che lotta insieme ad un uomo per chi ha molti meno diritti: i poveri, i reietti. Chiara e Francesco sanno di essere dei privilegiati e il loro interesse comune sono gli esclusi. Ovviamente quando lotti per i diritti di qualcuno finisci per fare qualcosa anche per la tua causa e in questo senso fa tantissimo per quelle donne che scelgono di abbandonare le loro case contro il volere dei parenti e contro matrimoni programmati. Chiara d’Assisi è come la Stowe, l’autrice de “La capanna dello zio Tom”, che comincia mettendosi a lottare per gli schiavi neri e poi finisce per affermare il diritto delle donne a scrivere. La storia cercherà di screditare entrambe proprio in quanto donne ribelli, che vogliono e fanno quello che fanno gli uomini. Certo Chiara fa questo decisamente prima e trova davanti a lei un Francesco grandioso che accetta la sua enorme richiesta di unirsi al suo ordine.

Quale eredità ha lasciato Chiara? C’è qualche figura del Novecento che possiamo considerare sua erede diretta?

Chiara ha lasciato come eredità che amare vuol dire lottare per gli altri. Accetta di amare Francesco, caricandosi sulle spalle la sua battaglia. Da lei dovremmo imparare che bisogna amare chi ama il mondo e che amare vuol dire condividere battaglie e non soddisfare narcisismi infantili. Tante donne hanno fatto questo: si pensi a Rosa Parker con Martin Luther King o alla stessa moglie di King che lo ha sostenuto in una vita infame fatta solo di lotta e nessun San Valentino. Parliamo di complementarietà, di uomini e donne che si uniscono per lottare, sfruttando anche il loro reciproco amore.

In un discorso più generale invece, quanto Medioevo c’è ancora nella nostra società?

Poco, pochissimo. I medievali erano capaci di grandi ideali, grandi sfide, grandi gesti. Noi siamo incastrati in un grigio indistinto, non crediamo più a nulla e non mi riferisco a Dio. Penso alla possibilità di migliorarci.

Non vede spiragli o eccezioni?

Si certo vedo eccezioni, ma il punto è che bisogna smettere di vergognarci di essere buoni e vergognarci di essere cattivi. Dobbiamo ritrovare un po’ di comunità, la capacità di fare gruppo, di tenere botta insieme, come faceva il gruppo di Chiara e Francesco.

È un grande tema anche della politica questo. C’è un problema di partecipazione.

Certo, ma prima della partecipazione dobbiamo ritornare a tracciare il confine tra ciò che è buono e ciò che è cattivo. I medievali facevano cose cattive, ma non si sognavano di mascherarle come buone. I fondamentali erano chiari per tutti, come in realtà lo sarebbero anche oggi, con la differenza che poi oggi ci facciamo conquistare dal “tanto siamo tutti uguali, è tutto uno schifo”. Dobbiamo tornare a sgridare i nostri figli quando si comportano male.

Genitori e scuola cruciali in questo discorso.

Assolutamente. E una politica che smetta di parlare di cuneo fiscale, di cui non frega niente a nessuno, ma che sia a servizio, come diceva Giovanni Falcone. La classe media deve smettere di vantarsi di essere ignorante, deve studiare. E dall’altra parte la politica deve permettere di studiare alle classi più disagiate. Io credo ancora che la cultura possa cambiare la società, ma credo in una cultura popolare, non elitaria, di massa come la intendeva Gramsci. In questo devo dire che la scuola è ancora un settore sano del nostro paese, tiene botta e la nostra formazione è ancora buona.

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