Daniela, Albertina e il canto strozzato del Cile

by Enrico Ciccarelli

Nixon, Frey e Pinochet, fino a oggi, fino a questo amaro mese di settembre dell’anno 1973… sono i versi iniziali di “Satrapi”, quella che è probabilmente l’ultima poesia (morirà pochi giorni dopo) scritta da Pablo Neruda, nei giorni immediatamente successivi al sanguinoso assalto alla Moneda e alla morte di Salvador Allende, l’11 settembre (già!) del 1973.

È impossibile non ripensare a quei giorni, mentre in Cile divampa l’incendio di una rivolta sociale di impressionante estensione e violenza, innescata dall’aumento del prezzo dei biglietti della metropolitana di Santiago, ma rapidamente tramutatasi in protesta contro le diseguaglianze e richiesta di maggiore democrazia.

Le convulsioni dell’America Latina, con l’incredibile vicenda brasiliana dell’alleanza fra giudici manettari e estremismo di destra, con il golpe blanco contro Evo Morales in Bolivia e l’inconcepibile situazione di guerra civile in sospensione del Venezuela sono probabilmente frutto del combinato disposto fra la crisi planetaria del 2008 e le progressive chiusure protezionistiche dell’era Trump, che hanno vanificato lo sviluppo e la crescita del Mercosur, il Mercato Comune Latino-americano.

Per un Paese esportatore come il Cile, il ritorno o l’inasprimento dei dazi hanno rappresentato un colpo significativo, con un calo dell’export intorno al 20%. Le tradizionali ricette della destra cilena e latinoamericana (liberismo, bassi salari, scarsi investimenti in sanità e in istruzione) hanno quindi mostrato tutta la loro inadeguatezza, celata in fase espansiva dal relativo miglioramento della qualità della vita.

In questo contesto, malgrado siano trascorsi quarantasei anni dal golpe di Pinochet, la polizia e le forze armate cilene, e in particolare i famigerati carabineros, hanno tenuto una condotta di particolare violenza e brutalità, lasciando sul terreno (dati di tre giorni fa) 23 morti, con 2400 feriti e oltre 17mila arresti.

Secondo Amnesty International si sarebbe verificato più di un episodio di stupro e tortura nei confronti delle manifestanti arrestate: l’episodio peggiore è quello riguardante Daniela Carrasco, El Mimo, artista di strada 36enne, il cui cadavere è stato trovato appeso a una cancellata della periferia di Santiago. Più testimonianze da parte di attiviste del movimento dicono che Daniela la sera prima fosse stata portata in una caserma dei carabineros e lì torturata e ripetutamente violentata per poi essere impiccata. La versione ufficiale parla di suicidio.

Con identico macabro senso dell’umorismo viene definita presunto omicidio la morte di Albertina Martines Burgos, una fotoreporter di 38 anni che aveva seguito e documentato per ragioni professionali le proteste. Il corpo è stato trovato il 21 novembre con –secondo fonti ufficiali- segni di percosse e ferite da taglio.

La circostanza che rende assai meno presunto l’assassinio è che sono scomparse dall’appartamento sia la macchina fotografica utilizzata da Albertina, sia il computer dove venivano scaricate le immagini. Malgrado la morte violenta di questa collega e le altre atrocità, la reazione dei giornalisti occidentali volta ad ottenere pressioni dai nostri governi sul governo cileno è stata al momento pressoché inesistente.

D’altronde questo rosario terribile esprime con discreta chiarezza due cose: innanzitutto la perenne inimicizia fra il potere e la verità: il potere vuole vedere ma non essere visto; al più getta in pasto alle opinioni pubbliche le immagini intime degli esponenti politici, in qualità di fantocci inautentici. La seconda, ancora più solare, è che l’oppressione di genere ha sempre un suo ruolo specifico accanto a quella di classe.

Le vittime che oggi dovremmo ricordare con particolare attenzione erano donne libere, e in quanto tali già sospette. Inoltre erano una giornalista e un’artista. Due categorie di nemici naturali dell’ordine costituito. Due donne uccise come a suo tempo, nel 1973, venne torturato e ucciso Victor Jara, cantautore comunista. Scrisse, pochi giorni prima di essere ucciso allo Stadio Nacional trasformato in campo di concentramento: “Canto, come mi vieni male quando devo cantare la paura!”

Non foss’altro che per questo, si dovrebbe intervenire, protestare, manifestare. Perché il canto oggi strozzato del Cile torni a essere libero dalla paura, dalla paura che un volto infarinato e truccato possa scatenare crudeltà e violenza, che una fotografia possa fissare e dimostrare ciò che non deve essere fissato e dimostrato.

Neruda, nel Canto Generale, scrive Io non sono venuto qui a risolvere nulla. Sono venuto per cantare, e per farti cantare con me. Potremmo, forse dovremmo fare qualcosa perché questo sia reso possibile.

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