Il triplice femminicidio di un sorvegliante di morte. Se l’arma di servizio è compagna anche a casa, nella notte oscura

by Antonella Soccio

Un sorvegliante di morte ad Orta Nova in Puglia. Teresa Santodilupo e le sue figlie, Miriana di 12 anni e Valentina di 18 anni sono state uccise nella notte dall’agente della Polizia Penitenziaria Ciro Curcelli, armato della sua pistola di ordinanza.

Dopo aver fatto strage delle “sue” tre donne- perché un uomo deve ancora sentire dentro di sé tutto il possesso della cultura patriarcale per agire un tale violento e disperato piano, coinvolgendo la sua famiglia come fosse un oggetto personale da travolgere nel suo senso di fallimento- si è rimesso al letto di fianco alla moglie e si è sparato un ultimo colpo alle tempie, suicidandosi. Non prima di avvisare le forze dell’ordine di aver lasciato l’uscio di casa aperto.

La modalità scelta per il triplice femminicidio fa rabbrividire per il suo portato di segni: un uomo che per 25 anni circa ha sorvegliato i detenuti, chiusi nella loro gabbia di vita riabilitativa, decide di sterminare il suo nucleo familiare mentre dorme, il momento più vicino alla morte e alla propria personale cella di solitudine e di interiorità. Ammazza tutte nel sonno, poi la fa finita e lascia la porta aperta, un simbolo quasi, che stride con le porte chiuse carcerarie che aveva dovuto controllare nel suo lavoro per un’intera vita.

Viene in mente un film francese bellissimo “Ci sarà la neve a Natale?”: in quel caso è la madre a tentare di dar la morte nella notte ai suoi figli.

Sarà l’incanto bianco della neve, dell’inedito a fermarla. Ad Orta Nova l’inedito non c’è stato, c’è solo la porta aperta a far volare il soffio vitale.

Sappi che il morire, come l’addormentarsi, non si fa in un solo istante, ma per gradi. Vero è che questi gradi sono più o meno, e maggiori o minori, secondo la varietà delle cause e dei generi della morte.  

Giacomo Leopardi

“Era un uomo tranquillo, riservato, non parlava mai della sua vita. Era pazzo della moglie e delle figlie”, questo il consueto scontato racconto dei vicini di casa, reso ai giornalisti nazionali e locali, accorsi nel paese agricolo dei Cinque Reali Siti.

Pochi conoscevano i suoi problemi col gioco d’azzardo, dipendenza di cui, sembra Curcelli fosse vittima. Non si conosce per ora la mole di debiti, se ne aveva. Indagano gli inquirenti.

I vari sindacati di polizia penitenziaria insieme ai vertici nazionali hanno lanciato un grido di allarme per lo stress da lavoro correlato. Da anni si battono sul grave rischio suicidario a cui vanno incontro gli agenti. Di recente un altro poliziotto si è sparato a Piacenza. C’è una escalation soprattutto per chi lavora nelle sezioni detentive, come spiega il vice segretario regionale del sindacato della Polizia Penitenziaria Daniele Capone.

“Lo conoscevo, faceva servizio a Foggia, era molto riservato, taciturno”, osserva a noi di Bonculture.

Perché un agente porta con sé a casa la pistola? Non può lasciarla in armeria? “Un agente ha l’obbligo di avere con sé l’arma individuale di servizio, nel momento in cui siamo fuori servizio, giuridicamente siamo agenti di polizia, pochi ci considerano una delle 4 forze di polizia, ma possiamo compiere arresti. L’arma finché c’è l’idoneità in servizio è personale”.

Come si conferma l’idoneità? Ci sono dei test psicologici a cui gli agenti sono periodicamente sottoposti?  “Non ci sono controlli, non c’è una metodica, non vengono sistematicamente fatti, avvengono solo su richiesta dell’agente”.

Ma quale agente, sapendo di poter perdere il lavoro o di essere stigmatizzato, richiederebbe un consulto psicologico e medico dinanzi ai suoi colleghi pur avendo gravi disagi depressivi causati dal gambling, come forse per Ciro Curcelli?  

Capone ammette l’anomalia del regolamento di servizio. “Una volta che entri in servizio, hai l’arma in dotazione per tutta la carriera. I controlli medici sono su richiesta. Lo stress va ricercato nel disagio di chi lo crea. Si tratta di un lavoro usurante. È ora che qualcuno che si faccia un esame di coscienza e si renda conto di quanti e quali siano i problemi delle carceri. È impensabile sovraccaricare di turni gli agenti, abbiamo accorpamenti continui di posti di servizio, ci troviamo in condizioni in cui a volte si fanno anche 10 ore dalle 8 alle 16 e dalle 16 alle 24, ma se non hai il cambio, la sicurezza va comunque garantita, non puoi lasciare il posto. I turni sono massacranti. Il personale del Sud supera abbondantemente i 50 anni, io ho 44 anni e sono il più giovane a Foggia. Ciro Curcellii aveva 53 anni e aveva già fatto 25 anni di servizio: aveva l’arma in dotazione. Sulle modalità della tragedia non mi sento di esprimere nessun tipo di commento, credo che di base ci sia stato un disagio mentale, che nessuno aveva saputo cogliere”.

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