“Un pensatore anarchico fedele solo a se stesso”, la lezione di Clint Eastwood al Festival Cinesophia

by Daniela Tonti

Quei western italiani, pensavo, avevano la stessa chance di portarmi da qualche parte di una palla di neve all’inferno. Però trovavo che fossero divertenti da fare. Poi il primo realizzò buoni incassi. Quindi arrivarono il secondo e il terzo. A quel punto la gente ha cominciato a pensare: “Questo tizio sta andando bene ma farà anche qualcos’altro? Funziona così nel cinema americano, fai bene un detective e invariabilmente si domandano se saresti capace di fare il contadino..
Clint Eastwood

Cinesophia rende omaggio a Clint Eastwood, nel giorno del suo novantesimo compleanno. Una lunga carriera partita dalla serialità televisiva americana grazie al western Rawhide (144 puntate dal 1959) che gli valse la notorietà e lo portò sul set di una coproduzione internazionale diretta da un regista italiano e girata in Spagna. Il successo strepitoso di Per un pugno di dollari  di Sergio Leone, destinato ad entrare nella storia del cinema, catapultò Clint Eastwood nello star system internazionale.

Dopo Leone arrivò Don Siegel, il regista del cinema d’azione, delle sequenze mozzafiato, della violenza e delle inquadrature geometriche fino all’approdo dietro la macchina da presa e alla costituzione di una sua casa di produzione, la Malpaso. Antieroe e antidivo per eccellenza, Eastwood si muove tra i generi mantenendo la sua cifra stilistica inconfondibile: i movimenti di macchina lenti quasi impercettibili, la cura estrema per le sfumature di luce (ha più volte sostenuto che è l’aspetto della lavorazione che lo affascina di più) e la passione sconfinata per la musica, elemento fondamentale in tutti i suoi film. Da Bronco Billy a Honkytonk Man fino a raggiungere il culmine in Bird, il suo tributo a Charlie Parker.Clint Eastwood racconta una parte di umanità lontana dal mainstream, offrendo la sua particolare visione di un’America fatta di emarginati, artisti, personaggi che arrivano da luoghi sconosciuti e si guardano intorno osservando il genere umano e cercando di determinare un cambiamento.

Della poetica dell’antieroe e dei suoi film si parlerà oggi ad Ascoli Piceno dove il cinema si incontra con la filosofia nel festival che ha cambiato registro per adattarsi ai tempi di distanziamento sociale.

Noi di bonculture abbiamo intervistato la filosofa Letizia Ercoli, direttrice di Cinesophia.


Lucrezia inizia oggi Cinesophia e sarà in streaming per il divieto di assembramenti. Come vi siete organizzati? Ci parla un po’ del programma?

Il novantesimo compleanno di Clint Eastwood è l’occasione per uscire dall’asfissiante storytelling della pandemia che ha riempito ogni spiraglio creativo di questi mesi. Oggi va in onda il nostro primo Philoshow Web: uno spettacolo filosofico registrato in diretta dal teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno. La cornice scenografica di uno dei teatri più affascinanti delle Marche per il nuovo set televisivo di Popsophia. Contributi inediti di dieci filosofi sparsi per l’Italia, spezzoni dei film più belli di Clint Eastwood, brani musicali delle colonne di Morricone eseguiti dal vivo dal pianista e cantante del gruppo di Popsophia. Insomma, un appuntamento sperimentale per segnare la ripartenza.


Come sono cambiate le vostre attività con il covid? Vi spaventa il futuro?

Bisogna prendere atto che nulla sarà più come prima. È tempo di abbandonare l’idea che sia possibile un ritorno al mondo pre-coronavirus. Noi abbiamo utilizzato il lockdown per prepararci a tornare in scena con una veste nuova. Consapevoli che il mondo della cultura non è come quello dell’industria: non basta dare una data di riapertura e una lista di condizioni di sicurezza. Bisogna operare una rigenerazione creativa, produrre eventi nuovi dove realtà e virtualità si incontrano e si ibridano. Il primo weekend di luglio apriremo l’estate 2020 con il festival a Pesaro: l’esperienza di fruizione dal vivo (contingentata dalle regole del distanziamento del pubblico) sarà affiancata dalle nostre nuove produzioni digital first. Popsophia si trasforma in un’agorà – reale e virtuale – per indagare l’immaginario culturale del nuovo mondo.

L’edizione è dedicata a Clint Eastwood che compie novant’anni proprio oggi. Se lei dovesse scegliere quale personaggio sceglierebbe?

Non ho dubbi: il pistolero dagli occhi di ghiaccio, con tanto di poncho e sigaro in bocca. L’icona dello straniero senza nome che Sergio Leone ha consegnato per sempre al nostro immaginario. In fondo, l’andatura dinoccolata, l’espressione enigmatica, la recitazione verbale ridotta al minimo – fatta di pochi termini bofonchiati e di battute lapidarie, sibilate con voce roca – rimangono anche delle sue interpretazioni mature. Così come l’eroe solitario e individualista, disilluso e scontroso, che si fa beffe perfino della morte. Clint Eastwood rimarrà sempre un pistolero senza padrone che si scontra con il sistema.

Qual è il suo film preferito?

Forse per una questione generazionale, sono legata alla poetica minimalista ed esistenziale dell’ultimo Clint Eastwood. Credo che Gran Torino sia il suo vero capolavoro, sia a livello registico che attoriale. Il sacrificio cristologico di un eroe sui generi: Il protagonista è un Callaghan nell’era del disincanto, un misantropo burbero che impara a relazionarsi con gli altri, che trova in una tardiva paternità putativa il senso alla sua intera esistenza. Una riflessione sul senso della vita e della morte che utilizza i grandi temi della tragedia antica – la colpa, il destino, il sacrificio, la redenzione – per parlare dell’America contemporanea.

Deleuze diceva che i registi sono più pensatori che artisti, qual è il pensiero di Eastwood che sente più attuale in un mondo imperfetto come il nostro nel tempo che stiamo vivendo?

Clint Eastwood è un pensatore anarchico fedele solo a se stesso, non ha una morale da insegnarci. E proprio questo è il suo insegnamento più prezioso: la semplicità senza orpelli della sua poetica riesce a sfuggire alla retorica del politicamente corretto e a dar conto della complessità del reale. Nei suoi film non c’è mai una soluzione univoca al riparo dal dubbio e dall’inquietudine. La dicotomia tra giusto e sbagliato è costantemente messa in discussione. La sua passione per la libertà come possibilità di fare e di essere ciò che si vuole, è una costante sfida con se stessi che ci chiama alla responsabilità di scegliere e di agire senza certezze granitiche. E oggi abbiamo bisogno più che mai di pensatori che ci aiutino a problematizzare il mondo senza fornirci facili ricette pronte.


Molti filosofi si sono approcciati al cinema, come è stato pensato o discusso sin dalla sua nascita grazie all’approccio della semiotica, della filosofia del linguaggio o dell’estetica. Cosa consiglierebbe ai nostri lettori? Da dove partire per ampliare i meccanismi di comprensione dell’immagine filmica?

La filosofia troppo spesso si è limitata a fare filosofia “sul” cinema senza entrare in contatto con la potenza delle sue narrazioni e del suo immaginario mitopoietico. La pop filosofia cambia il punto di vista: non partiamo da un pensiero filosofico già preconfezionato da applicare al cinema, ma consideriamo i film opere filosofiche a tutti gli effetti. Le grandi narrazioni cinematografiche “danno da pensare” alla filosofia, stimolano riflessioni inedite perché si mettono in contatto con le emozioni collettive che attraversano la contemporaneità.  


Si diceva che quello che manca in questa pandemia, in questa grande emergenza è la filosofia. Quanto bisogno c’è in un momento storico come questo di un metodo di analisi e di approccio filosofico?

Dobbiamo elaborare il trauma della scomparsa del mondo così come lo conoscevamo. La prima reazione, proprio come per il lutto personale, è stata la negazione. Ma, come direbbe Freud, dobbiamo attivare il “lavoro” del lutto, separarci dal mondo di prima e ri-orientare le nostre energie verso la costruzione di un nuovo paradigma. Abbiamo fame di scenari futuri e abbiamo bisogno di una palestra per allenare la mente alle novità. È qui che entra in gioco la filosofia: gli insegnamenti dei filosofi del passato sono un bagaglio indispensabile per pensare il domani, una cassetta degli attrezzi per immaginare l’avvenire. È chiaro che le emergenze sanitarie ed economiche sono le priorità, ma non possiamo rimandare la nostra esigenza progettuale.

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