Visita al campo di Auschwitz-Birkenau. Non si può consumare l’abisso in due ore

by redazione

Quando visitammo
il campo di concentramento e sterminio
di Auschwitz-Birkenau,
evitammo alle bambine
la vista di alcune sale.

Troppo crudo mostrare
la massa di capelli
a ciocche, a trecce
tramati come stoffe.
(Non ricordo se frammenti d’ossa
fossero bottoni).
Non tutto
diventava cenere tra betulle
e nel fiume. Spoglie spaventate
prima d’essere infornate andavano
ulteriormente spogliate.
I capelli di donne
potevano diventare parrucche,
morbido tessuto di pantofole,
spago per giunti a tenuta stagna
dei sottomarini e con le pelli
produrre paralumi, grasso per sapone.

Shlomo Venezia ha raccontato
d’aver tagliato sacchi di capelli
ed il fratello d’aver cavato
migliaia di denti d’oro alle bocche
gassate. Insieme agli anelli
venivano fusi in lingotti,
gioielli da rivendere.

Follia?…Basta avere sotto gli occhi
la pianta generale del campo
per capire quanto fosse accurato
il progetto: ingresso dei treni,
torre principale di controllo,
primo, secondo e terzo settore,
campo per le donne, per gli uomini,
rampa ferroviaria per la “selezione
iniziale”, zona delle fosse
di cremazione a cielo aperto,
crematorio II, III, IV, V
con annesse camere a gas.
Comando del campo. Magazzino.

Fu qui dentro che all’arrivo dei russi
furono trovati
293 sacchi di capelli
femminili.
L’Istituto di Medicina legale
di Cracovia
ne analizzò 25 chili e mezzo
e stabilì la presenza indubbia
di acido cianidrico.

Le bambine vedono con noi
la montagna di barattoli vuoti
di Zyklon B in cristalli. Sciolti
sprigionavano il gas che avrebbe
ucciso per asfissia
migliaia di prigionieri.
Soffocamento, dico, soffocamento.

                                C’è un fatto

che durante la visita m’inquieta.
È la temperatura emotiva,
le nostre reazioni.

Ci spostiamo silenziosi
da un punto all’altro,
entriamo-usciamo, ascoltiamo la guida,
guardiamo il cumulo di scarpe,
l’ammasso di protesi ortopediche,
la montagna di valigie, la bambola,
le spazzole, le foto dei giovani
liberati dai russi il 27
gennaio del ’45, i letti
a castello per i prigionieri,
le latrine, il muro per le
fucilazioni, il blocco 11,
gli occhiali, i lavatoi…

Tutto, tutto scorre.
Siamo persone consapevoli,
composte. Persino meste.
Partecipi di un lutto.

Cos’è che non va allora?
Forse è questo consumare
l’abisso in due ore,
l’incapacità dell’immaginazione
di star dietro momento per momento
all’orrore.

                    Zyklon B. Soffocamento.

Ma i nostri occhi, le nostre orecchie,
le narici sanno come muoiono
in dieci-dodici minuti
centinaia di persone
ammucchiate in una stanza?

Ascoltano i pianti dei bambini,
le urla strazianti, l’accalcarsi
dei corpi in cerca d’aria?

Avvertono la vergogna
di restare nudi, l’umiliazione,
il timore, lo spavento di varcare
la soglia dell’annientamento?

Sentono salire in gola il vomito
per l’odore nauseante
dei cadaveri bruciati
e in dissoluzione?…

Penso di no.

Per quanto s’indossino i poveri
panni dei prigionieri, le tute a strisce,
per quanto ci si finga affamato-assetato,
scheletrito-umiliato,
picchiato-violentato-torturato,
insozzato-infangato,
l’immaginazione è troppo debole
per rendere vivi i quadri del degrado.
Uomo-cosa, uomo-straccio, morto ambulante
da bruciare. Uomo che vale meno
di un cane delle SS. Maiale
da scannare. Vitello da sparare
in fronte o, peggio, alla nuca
da non guardare negli occhi.
Escremento. Concime per i campi,
cenere per il bosco di betulle.

Campo di betulle.
Questo significa Birkenau.
La lingua del Terzo Reich
è piena di eufemismi.
La camera a gas
è quella delle docce.
L’arrestato è un prelevato.
L’assassinato un morto per
insufficienza cardiaca
Lo sterminio di un popolo
è la soluzione finale.

Lingua della menzogna.
Lingua di chi mente
sapendo di mentire.
Oggi è la lingua di chi nega
che ci sia stato Auschwitz
con le camere a gas,
i sacchi di cenere
di milioni di persone
ridotte a non-persone,
schiacciate come insetti,
mineralizzate,
liquidate,
evaporate,
cancellate.

Dei cinque forni crematori attivi,
oltre alle fosse a cielo aperto,
durante la visita vediamo
le bocche di uno soltanto.
Gli altri, spiega la guida,
furono distrutti
prima dell’arrivo
dei soldati russi.
Cancellare le tracce
dei propri crimini.

Avesse dichiarato guerra
al popolo ebraico,
una guerra regolare
per mare, cielo e terra,
ovunque si trovasse
probabilmente il Reich
non avrebbe potuto
trucidare sei milioni
di persone disperse
in vari Stati d’Europa.
Persone che, spesso, erano
olandesi, francesi, polacchi,
ungheresi, prima d’essere ebrei..
O italiani, greci e lituani.

Guardiamo la montagna di valigie,
gli occhiali, le protesi.
Impossibile risalire ai nomi
dei singoli proprietari.
E questo foglio scritto da una bambina?
E questa bella bambola
da quali mani è stata pettinata?

Salmen Gradowski,
ebreo polacco,
nato a Suwalki,
vicino al confino lituano,
nel 1909,
ha temuto così tanto
che nessuno potesse immaginare
quanta barbarie accadesse nel campo
da scrivere e scrivere e seppellire
sotto il terreno del crematorio
i suoi quaderni.
«Caro lettore, troverai in queste righe
il racconto delle sofferenze e dei tormenti
che noi, le più infelici creature di questa terra
abbiamo subito…»
Si augurava
che l’eventuale scopritore
rintracciasse presso i parenti,
di cui forniva l’indirizzo,
la foto sua e quella della moglie
per unirla ai manoscritti
e che, contemplandole,
versasse «almeno una lacrima
per un pianto, un sospiro».
Gli sarebbe stato di grande conforto,
confessa, sapere che lui e la sua famiglia
non erano scomparsi da questo mondo
senza una lacrima.

A Francesca, che allora aveva sette anni,
domando cosa ricorda
della nostra visita ad Auschwitz.
I salici piangenti, risponde.
Tanti salici piangenti all’entrata.

Capodanno 2013

Donato Salzarulo

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