Parco San Felice, la cultura del sospetto e il falso mito del repulisti

by Enrico Ciccarelli

Divampa sulle colonne della stampa locale la polemica a proposito della struttura comunale di Parco San Felice che dopo anni di vandalizzazioni e inutilizzo è diventata dal 2016 un punto di riferimento, almeno nella stagione estiva, per lo spettacolo dal vivo e la vita culturale della città. Il soggetto gestore, l’Ats Parcocittà, è un aggregato di realtà diverse (Fondazioni, associazioni e cooperative) che ha come capofila l’Associazione di Promozione Sociale “Energiovane”.

Da utente ho partecipato a molte iniziative svoltesi lì, e ho un giudizio più che positivo sull’attività svolta, tanto che, quando una stolta intemerata dell’ex-sindaco Franco Landella (che sarebbe stata dovuta -orecchiai allora- a questioni personalissime di sconcertante banalità) sembrò preludere a uno sfratto, feci quel poco che potevo (parlarne in tv) per scongiurare questo rischio, Lo fecero anche altri più influenti di me, e fra loro ricordo ci fosse l’ex-assessore alla Cultura Anna Paola Giuliani. Il risultato fu che Parcocittà ottenne una proroga che le consenti di proseguire nel lavoro in attesa di un bando di gara. Fu un lavoro condizionato dalla pandemia, purtroppo; ma che mi pare sia riuscito a produrre risultati.

Quelli che ne capiscono spiegarono tuttavia che questo regime di prorogatio non avrebbe potuto durare all’infinito, e che non si sarebbe potuta prolungare la gestione con formule di affidamento diretto, Serviva una gara, per tassativa prescrizione di legge. Dal mio punto di vista, nel Parco tuttora deturpato da una recinzione che viene definita abusiva (ma si è in attesa dell’esito del ricorso al Tar) e nella città dell’affidamento diretto selvaggio, una gara mi pare una bella notizia, così come mi pare una buona cosa per tutti che l’utilizzo di un bene della collettività sia svolto nel rispetto di regole precise, e che eventuali inadempienze, da quelle economiche a quelle di altra natura, siano sanate.

Su questa normale fisiologia della vita associata si registra, almeno stando ai giornali, qualche fibrillazione. In particolare gli attuali gestori sarebbero allarmati dalla possibile presenza nella gara di un competitor, di un altro imprecisato cartello di associazioni che sarebbe vicino proprio ad Anna Paola Giuliani, circostanza che sarebbe corroborata dal fatto che i partecipanti a questo cartello sarebbero stati in passato destinatari di contributi da parte dell’Assessorato alla Cultura. Ora si assume che, essendo il dirigente responsabile della celebranda gara, lo stesso che, proprio in virtù del suo ufficio, ha collaborato per sei anni con l’assessore, si potrebbe sospettare una sua parzialità.

La tesi, come ha scritto un nostro collega, è insomma che le fosche intenzioni di Landella, nel frattempo finito sotto processo per gravi episodi di corruzione, sarebbero realizzate per vie traverse, cosa eticamente riprovevole e “poco opportuna”. Io, con tutto il rispetto, li trovo argomenti scivolosi e profondamente pericolosi. Immaginiamo che si vari un avviso pubblico per coprire il posto di addetto stampa del Comune di Foggia e che ci troviamo a partecipare io, che come giornalista a Landella non sono mai piaciuto, e un collega che invece aveva il suo apprezzamento. Avrei titolo a pretendere il posto? Credo di no.

Nella gara, che certamente dovrà tenere conto delle esperienze e dei meriti (o degli eventuali demeriti) di tutti i partecipanti, non può essere prevista né la medaglia al valore antilandelliano né il marchio d’infamia del filolandellismo. E la pretesa di fare squalificare l’arbitro perché per dovere d’ufficio ha collaborato con Tizio o con Caio appare piuttosto avventata. Chiedere il massimo rispetto della trasparenza e della correttezza nelle procedure pubbliche è sacrosanto; inserire ingiustificati allarmi preventivi, alimentare culture del sospetto assortite è a nostro avviso intollerabile.

Abbiamo un Comune sciolto per infiltrazioni della criminalità organizzata, con a lato e frammiste vicende terribili che sembrano disegnare il quadro di un’autentica cleptocrazia e sulle quali speriamo si celebrino al più presto i processi. Ma queste vergogne non possono diventare la notte hegeliana in cui tutte le vacche sono nere: perché la responsabilità penale resta personale, perché l’agire della pubblica amministrazione non può tenere conto di passioni e fazioni, perché la cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, ma la sua fine.

A far danno è a mio parere il falso mito della cultura del repulisti, dell’idea muscolare e imbecille che si possa o si debba fare tabula rasa del passato, avviare una palingenesi che ci porti in un mondo nuovo. È la cultura sulla base del quale il Fascismo pensava addirittura di avere avviato un’Era, la pretesa arrogante di tutte le vere o presunte rivoluzioni (ricordate la “scatoletta di tonno” del Parlamento?). È il riflesso della nostra cattiva coscienza e della nostra coda di paglia. L’illusione che qualcun altro (un commissario, un poliziotto, un meteorite) faccia al nostro posto quello che dovremmo fare noi.

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