Depressione, demenza o declino cognitivo? Il cervello anziano protagonista delle Giornate Geriatriche

by Antonella Soccio

La ricerca sanitaria sulla malattia di Alzheimer e sulla demenza senile si concentra, oggi, sullo studio di terapie farmacologiche e di neuroriabilitazione volte a contrastare il lungo decorso dei processi patologici in persone che iniziano ad avere i primi segnali di riduzione delle capacità cognitive pur rimanendo nell’ambito della cosiddetta normalità funzionale.

La perdita di capacità psichiche è sempre un disturbo soggettivo, che contempla pattern chimico biologici e una serie di varianti cliniche. Di questo e molto altro si è parlato nelle Giornate Geriatriche volute dal Primario di Geriatria e direttore dell’Ospedale Lastaria di Lucera Massimo Zanasi e dal direttore di Neuroscienze del Policlinico Riuniti di Foggia Ciro Mundi.

Attraverso una molteplicità di interventi, tra cui quello del professor Giancarlo Logroscino, si è evidenziato come l’Alzheimer venga definito anche dalla deposizione di due proteine, l’aminoide e il tau, che fanno riconoscere lo stadio della neurodegenerazione in atto delle cellule.
La malattia Alzheimer viene definita solo dalla presenza di queste due proteine, solo dopo arrivano la sindrome amnestica e la parte biologica che fa capire la complessità della patologia. La diagnosi biologica è molto più frequente di quella clinica, laddove invece la genetica ha una influenza molto limitata. Si tratta, ha detto il luminare, di una delle malattie più prevenibili.
«Se uno fa le cose giuste si diminuisce il rischio del 40 per cento. E sono le stesse di una vita sana. I fattori di rischio sono la dieta, l’attività fisica regolare, il sonno, l’ipertensione, le malattie metaboliche. Ognuno deve cercare una maniera per trovare attività che stimolino le capacità cognitive e la connettività sociale, per assicurarsi che sia inserito in una rete di famiglia e sociale. La perdita della connessione sociale è il fattore di rischio più importante per la demenza e per la progressione più veloce verso la demenza. In Scandinavia si sperimenta da tempo un network di connessione sociale».

Depressione, demenza o declino cognitivo?
È spesso difficile capire se ci si trova di fronte ad una crescente tristezza o ad un deficit di memoria e di capacità cerebrali. Assai di frequente i sintomi sono identici. Il depresso è in uno stato confusionale tale da sembrare demente. Ecco perché è necessaria una rete che coinvolga geriatri, psichiatri e neurologi.
Gli anziani soffrono, come ha illustrato l’accademico Antonello Bellomo, di disturbi depressivi unipolari con depressioni minori e sintomi sottosoglia. Nel 2030 si passerà dal 12 al 22 per cento di popolazione anziana e il 15 per cento presenterà un disturbo psichico.
L’isolamento e il disaffiliamento sociale sono dei fattori di rischio insieme ad una rete sociale ridotta e ad indicatori socio economici bassi e al dolore cronico che non va mai sottovalutato essendo il primo motivo di suicidio tra gli anziani.

Non mancano anche le storie pregresse di depressione, soprattutto tra le donne.
La prima cosa da fare è ridurre l’isolamento sociale, con terapie di reminiscenza e di attività fisica. Chi bella vita adulta ha praticato uno sport ha livelli più bassi di disturbi dell’umore. Esiste poi l’isolamento percepito, correlato con sintomi depressivi e di ansia oltre alla disfunzione sociale, che parte dal concetto di fragilità.

Ci sono 4 tipi di fragilità: fisica, nutrizionale, cognitiva e sociale. È proprio quest’ultima, la Social frailty, ad essere correlata a disturbi depressivi. La perdita di risorse sociali e di attività, il concetto di solitudine sono fattori di rischio indipendente come gli eventi di vita.
Molto raro nell’anziano il disturbo bipolare. Nella depressione si incontrano nel cervello delle disconnessioni unite a iporessia, apatia, sindrome dolorose e deficit cognitivi. Alcuni sintomi coprono la depressione, vera causa di elementi neurodegenerativi.

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