Due amici, il film di Louis Garrel che sorprende sull’essenziale

by Giuseppe Procino

Un film semplice, ma delicato, fatto di tempi giusti, dialoghi giusti, attori giusti, girato con un piccolo budget, riprendendo la lezione tecnica della nouvelle vague  dei set scarni, delle macchine a spalla, della libertà di movimento: Due amici, prima prova di Louis Garrel dietro la macchina da presa con un lungometraggio, sorprende sull’essenziale.

Su un impianto narrativo scontato ma raccontato con purezza evocativa, Garrel intesse una commedia che profuma di cinema francese del passato, un omaggio non dichiarato ai momenti da antologia della commedia francese post nouvelle vague. Ci sono spunti, situazioni e personaggi dal miglior Rohmer: i dialoghi, lungo le strade di una Parigi vissuta e non turistica, una trama lineare e funzionale per la messa in scena dei personaggi, alla perenne ricerca di qualcosa. Da Rohmer, Garrel apprende la lezione della leggerezza, l’urgenza di una leggerezza involontariamente Calviniana su cui il grande maestro fonda negli anni ottanta il suo ciclo “Commedie e proverbi”.  Poi c’è anche il fantasma di Francois Truffaut che si muove in maniera dichiarata, che vive nei rimandi a quel “Jules e Jim” che ha suggestionato intere generazioni di cineasti. La storia è quella del classico Ménage à trois, così come nella pellicola del 1962, tra due amici e una donna.

Ci sono Clement e Mona, il primo un personaggio goffo, tenero e insicuro che vive facendo la comparsa al cinema, la seconda dal carattere forte ed indipendente, detenuta in semilibertà con un treno da prendere ogni sera per tornare in carcere. Clement ha conosciuto Mona a un chiosco della Gare du Nord, dove lei fa la cameriera e da quel momento ha completamente perso la testa per lei. Purtroppo la ragazza non ricambia i suoi sentimenti. Assieme a loro due, poi c’è Abel, il miglior amico di Clement, benzinaio col vizio della poesia, chiamato in soccorso nella strategia di conquista di Mona, bello e sicuro di sé sino a quando non s’innamorerà anche lui della bellissima cameriera. I due amici fanno perdere il treno del rientro a Mona che è costretta a passare la notte in giro per Parigi assieme loro.

Una pellicola che profuma deliziosamente di tributo, che osa sui toni del dialogo, una scrittura tragicomica, a tratti surreale e naturale come la vita lontana dai riflettori.  Garrel non ha nulla di nuovo o rivoluzionario da dire, ma sa esattamente come dirlo: è questa la discriminante fondamentale che fa funzionare il racconto, la capacità di raccontare una storia che non ha nulla di realmente importante, in maniera assolutamente interessante. Garrel decide di non strafare ma di muoversi su di un terreno a lui più che famigliare: il cinema che ha visto, quello che ha interpretato, quello che l’ha emozionato.

La narrazione scorre con assoluta naturalezza, merito di una regia istintiva e scarna, che evita l’estetica dell’immagine perfetta, della Parigi da cartolina e che privilegia gli esseri umani nella loro interezza di esseri imperfetti e labili.  Si tratta di un cinema basato sulle situazioni, sui dialoghi, una sorta di esistenzialismo urbano, un ritratto intimo e leggero di tre personaggi in cerca di risposte o forse in cerca l’uno nell’altro del proprio autore, della propria appartenenza e identità.

Due amici si pone quindi come un film parlato, recitato bene, con tre attori a loro perfetto agio.  Garrel si autodirige in maniera convincente, o forse semplicemente è diventato bravissimo, il grande passo dietro la macchina da presa era scritto nel suo DNA. L’attore- regista però nulla deve, nella cifra stilistica, al cinema di suo padre, più impegnato e più criptico seppur lo citi e si autociti a sua volta con il sessantotto francese, qui posticcio e confuso e forse unico punto d’incontro ideologico cinematografico tra padre e figlio. 

Un’opera prima assolutamente da recuperare, che risale a ben quattro anni fa e che approda in Italia il quattro luglio grazie a Movies Inspired.

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