L’attualità de Gli Uccelli di Hitchcock: la natura che si ribella all’uomo diventa un topos narrativo

by Giuseppe Procino

Che cosa accadrebbe se gli uccelli, creature per noi innocue, decidessero di attaccarci? È questo il punto di partenza di “The Birds”, capolavoro assoluto dell’iconico Maestro del brivido Alfred Hitchcock, un film che a distanza di cinquantasette anni mantiene intatta la sua atmosfera, risultando attualissimo e aprendosi a molteplici riflessioni, in tempi di clausura di Covid-19. Tutti rintanati in casa per un virus, che dal pipistrello ha fatto il salto di specie.

Eppure Hitchcock, maestro del brivido rigetta la spiegazione logica, ma costruisce una storia che nel suo nichilismo risulta credibile e possibile. La natura che si ribella all’uomo diventa un topos narrativo che sarà seminale per una nuova concezione del cinema del terrore. Si aprono così le infinite possibilità per un “cinema dei mostri” privo di distanze dal reale.

La minaccia proviene dalla vita di ogni giorno, dalla quotidianità. I volatili, a volte portatori di oscuri presagi altre volte teneri animali da compagnia, spettatori usuali delle vite comuni di ognuno di noi, diventano così il male, la minaccia. È la paura che s’impadronisce così della normalità, portando l’uomo alla paranoia e al sospetto. Da questo momento in poi il genere horror non sarà più lo stesso, il maestro del terrore dimostra come quello che può far più paura è il terrore che le nostre vite possano essere rivoluzionate sino a privarci della nostra libertà. La rivolta degli uccelli è percepita come un dato di fatto, una totale presa di posizione nei confronti dell’essere umano che non conosce così obiettivi e cause di tale rivoluzione, ma sa che il pericolo è concreto.

L’idea per “Gli Uccelli” era venuta a Hitchcock dopo aver letto, in un articolo su un quotidiano, di uno strano attacco di gabbiani in una cittadina degli Stati Uniti. La coincidenza volle che esistesse un racconto di Daphne du Maurier con una storia simile. Il regista inglese aveva già preso spunto dalle opere della scrittrice per il suo primo film americano, Rebecca – La prima moglie. Nella sceneggiatura di Evan Hunter però, del racconto della du Maurier sopravvive solo una fioca ombra, la nuova storia ha un impianto narrativo più complesso e prende in prestito materiale da altri generi letterari, in primis dalla fanta paranoia. Quello che colpisce della sceneggiatura de “Gli Uccelli” è la scrittura, in grado di giocare con toni e situazioni diametralmente opposte tra di loro.

La prima parte della pellicola è a tutti gli effetti, una commedia romantica sofisticata. La seconda parte che s’insinua lentamente nella narrazione è un horror paranoico e asfissiante. Il maestro del terrore ci accompagna così verso il climax giocando emotivamente con lo spettatore, lasciandolo affezionare ai protagonisti per poi creare apprensione. Quello che in realtà permane per l’intera pellicola è una caratterizzazione dei personaggi eccellente. La sceneggiatura di Hunter è in grado di disegnare personaggi memorabili e mai solo di contorno.

È un film dalla forte componente femminile e involontariamente femminista: chi governa il mondo nella monade Hitchcockiana di “The Birds”, sono le donne, forti, indipendenti, in grado di essere abilissime seduttrici ma mai “apparati” delle figure maschili. Bodega Bay sembra quasi una “città delle donne” in cui si muovono personaggi con una marcata dote caratteriale: dall’ornitologa Mrs. Bundy, alla maestra Annie Hayworth in grado di decidere in totale libertà della propria vita, sino a Lydia Brenner, madre coraggiosa e protettiva, interpretata da una straordinaria Jessica Tandy e di cui  Mitch Brenner, unico vero protagonista maschile, è il figlio. Accanto a loro poi c’è Melanie Daniels, una convincente Tippi Hedren, alla sua prima importante esperienza cinematografica (e che tornerà a lavorare per il maestro inglese in Marnie), unica forestiera ma ugualmente forte e determinata. Gli Uccelli è quindi anche un omaggio alle donne, un coraggioso racconto quasi tutto al femminile in grado di presentarci personaggi sicuramente controcorrente rispetto al periodo storico in cui è realizzato.

Nell’idea di Alfred Hitchcock c’è poi la volontà di rappresentare una realtà quanto più simile al quotidiano, che mantenga lo spettatore nella vita di tutti i giorni seppur seduto in una sala cinematografica, assottigliando il vetro tra realtà e finzione. Lo spettatore deve percepire come incombente la minaccia raccontata dalla pellicola, come terrore del possibile. Può accadere, qui e ora. La paura, come normalità della natura in grado di ribaltarsi, una sorta di bomba che potrebbe esplodere da un momento all’altro o spada di Damocle sulle nostre teste, è fatta di rumori, suoni che in maniera confusionaria ci abbracciano quotidianamente.

Ne “Gli Uccelli” non vi è alcun accompagnamento musicale, la musica fa parte di quei suoni, attraverso un pianoforte, una radio. Eppure il regista inglese cura in maniera a dir poco maniacale la colonna sonora, fatta appunto di rumori e soprattutto dei versi dei pennuti. Esiste nella sceneggiatura una descrizione minuziosa del noise che il duo Gassman- sala, esperti di musica elettronica, rendono concreto attraverso il Trautorium. Nulla è lasciato al caso, ogni singolo verso o scricchiolio è finalizzato alla creazione di un’atmosfera precisa. L’apice del tocco Hitchcockiano si raggiunge nella sequenza finale, in cui il rumore di fondo crea una sorta di finto silenzio, una tranquillità fragilissima, la sequenza più inquietante del capolavoro del maestro inglese. Da antologia. L’auto che si muove lentamente con i protagonisti del film attraverso campi ricoperti da corvi, gabbiani… ma ancor di più la sequenza precedente, con Rod Taylor che esce sul patio e cerca con lo sguardo la sua automobile.

Che cosa accadrà dopo? Hitchcock sceglie di non dircelo o meglio forse lo sta dicendo, lanciando un metaforico presagio o forse non vuole assolutamente dirci nulla, volendo solo terrorizzarci. Gli Uccelli però è oggi premonitore di macro temi delicatissimi, una sorta di lezione su un ipotetico futuro in cui non saremo più noi a comandare. Non è importante che ci fosse volontariamente o meno un messaggio ambientalista, il finale aperto proietta ugualmente il seguito della storia sul libero arbitrio dello spettatore.

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