“Mood Indigo – La schiuma dei giorni”, la metafora del dolore nel racconto poetico e straniante di Michel Gondry

by Marianna Dell'Aquila

In un momento storico così strano, in cui siamo obbligati a restare a casa, in cui ci consigliano di non avere troppa vita sociale e di evitare i contatti fisici, si fa molta fatica a dare una definizione a tutto questo. Ci sono i termini ufficiali come pandemia, contagio, influenza e soprattutto Coronavirus. Chissà quanti di noi non ne hanno mai sentito parlare e sono corsi a cercare su internet per scoprire che si tratta di un virus con delle protuberanze simili alle punte di una corona. Ormai anche i giornali e la tv non fanno altro che propinarci quel tipo di figura usandola come sintesi per descrivere qualcosa che ancora ci sfugge.

Proprio quando mi sono fermata a pensare alla nostra difficoltà di usare le parole e le immagini più giuste per descrivere qualcosa di così sconosciuto e doloroso (ovviamente al di fuori di un contesto medico-scientifico), mi sono domandata: se dovessi usare un’immagine metaforica per raccontare la malattia, quale userei? In quel momento mi è venuta in mente la scena finale di un film che ho amato molto, Mood Indigo – La schiuma dei giorni del regista francese Michel Gondry. E’ la scena in cui Colin, dopo aver perso la sua amata Chloé, cerca di darle una degna sepoltura, ma alla fine getterà il suo corpo in un fiume pieno di ninfee. Ormai solo e chiuso in se stesso, Colin cerca di vendicare il proprio dolore mirando colpi di pistola contro le ninfee. Perché proprio quei fiori? Perché rappresentano la malattia di Chloé e sono l’immagine metaforica del male che si è insinuato nel corpo della giovane donna.

Uscito nel 2013, Mood Indigo – La schiuma dei giorni racconta una struggente storia d’amore tra due giovani di nome Colin (Romain Duris) e Chloé (Audrey Tautou). Durante la luna di miele Chloé scopre di essere affetta da una rara malattia: una ninfea sta crescendo nei suoi polmoni. Colin, disposto a tutto pur di salvarla, fa in modo che sia sempre circondata da fiori freschi perché questo sembra l’unico rimedio per guarirla. Tratto dall’omonimo romanzo di Boris Vian, Mood Indigo – La schiuma dei giorni è un film visionario, romantico, poetico. La messa in scena, ricca di trucchi ed effetti speciali, si plasma dilatandosi e restringendosi in base all’andamento emotivo dei personaggi. La casa di Colin e di Chloé è un microcosmo poetico e raffinato, in cui aleggiano – quasi come un presagio – le note di Mood Indigo, la canzone di Duke Ellington (a cui è ispirato il titolo del film) che recita: “Always get that mood indigo/ Since my baby said goodbye./ In the evenin’ when lights are low/ I’m so lonesome I could cry”.

Ma è anche la casa che non riesce più a contenere il dolore di Colin e che, per questo motivo, diventa uno spazio insopportabile e opprimente che si restringe sempre di più fino a schiacciare tutto ciò che contiene.

Oltre ad aver usato l’immagine nota della ninfea  come volto della malattia, con questo film Michel Gondry indaga l’animo dell’individuo usando metafore visive  – giocate sul contrasto di idee – che rendono ancora più stranianti i sentimenti dei due protagonisti rispetto al contesto collettivo e urbano che li circonda. E’ quello che emerge non solo nella scena finale (quando vediamo Colin da solo a dare il suo ultimo saluto a Chloé), ma anche nella parte iniziale quando ad esempio i due innamorati volano sui tetti di una Parigi grigia e straniante. Sono le contrapposizioni con il nostro immaginario a mettere in subbuglio le nostre emozioni: Parigi non è più la meravigliosa città che conosciamo, ma una città grigia e spenta; le ninfee non sono più i fiori da ammirare nella loro geometrica armonia, ma sono portatrici di malattia e di dolore.

In fondo è lo stesso straniamento che proviamo noi oggi quando guardiamo le nostre città vuote e silenziose, quando scopriamo che dietro la semplice parola “influenza” si può nascondere qualcosa di più grave e pericoloso, quando capiamo che la distanza geografia di un luogo (come la Cina) non ci fa essere realmente tanto lontani.

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