“Che cosa resta”: quando Franco Battiato cantò Gesualdo Bufalino

by Fabrizio Simone

Nel 1999 Franco Battiato pubblicò il suo ventesimo album, intitolato simbolicamente Fleurs (primo capitolo di una trilogia completata nel 2008). La copertina del disco non lascia dubbi sulle intenzioni del cantautore siciliano: Fleurs propone “esempi affini di scritture e simili”, offrendo al pubblico un buon numero di cover (da Era de maggio, evergreen della canzone classica napoletana, fino alla Canzone dell’amore perduto, che Fabrizio De André basò sull’Adagio del Concerto per tromba, archi e basso continuo in re maggiore TWV 51: D7 del compositore barocco Georg Philipp Telemann) oltre che alcuni inediti firmati in collaborazione col filosofo Manlio Sgalambro (1924-2004), autore di celebratissimi saggi – editi perlopiù dalla raffinatissima Adelphi – e di un numero spropositato di testi proprio per il cantante catanese, tra cui l’indimenticabile La cura, col quale finì per realizzare interi album (pensiamo soltanto a L’imboscataGommalaccaFerro battutoDieci stratagemmiIl vuotoInneres augeApriti sesamo).

Osservando attentamente la tracklist che compone Fleurs, subito dopo Era de maggio è possibile ascoltare la cover di una canzone francese. Che cosa resta, infatti, è la versione rivisitata di un classico francese, Que reste-t-il de nos amours? (1942), con musica di Charles Trenet e testo di Léo Chauliac. Que reste-t-il de nos amours? è ancora popolarissima ed è stata incisa da un’infinità di grandi nomi: da cantanti come Dalida e Paul Anka, fino a jazzisti come Paolo Fresu e Richard Galliano. La versione di Battiato si discosta notevolmente dall’originale transalpino non solo per il notevole arrangiamento di Michele Fedrigotti, che fonde dimensione elegiaca (esaltata anche dall’organico scelto: quartetto d’archi, pianoforte e tastiera) e gaiezza tipica dei music-hall parigini, ma anche per il testo, firmato da un grande nome della nostra letteratura: Gesualdo Bufalino, romanziere e poeta siciliano, scomparso a 76 anni (proprio come Battiato) nel 1996. 

Bufalino non si limitò a tradurre in rima baciata l’esile testo della canzone francese ma modificò totalmente la struttura dei versi, riscrivendoli interamente. Il poeta siciliano, quindi, realizzò un vero e proprio testo poetico, pensato espressamente per Battiato, aggiungendo anche delle strofe che consentono di riflettere sul valore del tempo, sul ricordo degli amori giovanili e sull’importanza di tutte le prove che gli innamorati sostengono per inseguire l’oggetto del desiderio. Essendo un finissimo conoscitore dell’opera di Baudelaire (la sua traduzione dei Fiori del male è ancora in commercio), Bufalino non mancò di inserire riferimenti all’opera del poeta maudit, cantore di tutti gli amori appassiti e distruttivi, come nella dolcissima e malinconica parte finale che recita:

Di voi che resta, antichi amori, grandi segreti, complici cuori

Solo nel petto, male guarita una ferita

Di voi che resta, parole audaci, carezze caste, timide braci

Solo una cenere che più non fuma ma si consuma

Chiari di luna, dolci sentieri e tu perduta anima di ieri

Perché sparisti? Chi ti rubò? Dimmelo un po’

L’adattamento di Bufalino non convinse subito Battiato. Trascorsi tre anni dalla morte del poeta di Comiso, Battiato decise di omaggiare l’amico producendo la canzone che gli stava tanto a cuore. 

Nel documentario realizzato per il 90° compleanno dello scrittore, Auguri don Gesualdo (edito dalla Bompiani insieme ad un libro), Battiato raccontò la genesi della canzone: «Ricordo che mi mandò l’adattamento di una canzone di Charles Trenet, “Que reste-t-il de nos amours?”, tutta con rime baciate, che a prima vista trovai insopportabile. Per farlo contento decisi di registrare una mia prova su cassetta, cambiai completamente idea e gliela mandai. Una mattina all’alba sentii Bufalino, ospite a Radio Tre, annunciare il mio pezzo con le sue parole. Provai per lui una grande tenerezza e dopo la sua morte inserii il brano in un disco».

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