Il Club 27: meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente

by Claudio Botta

Un destino crudele che ha unito rockstar talentuose, adorate, idolatrate, tormentate, morte all’apice del successo ad appena 27 anni. Icone entrate loro malgrado nel ‘Club 27’ (o ‘Club of 27’), appunto, che hanno confermato e confermano la triste verità contenuta nel frammento «muor giovane colui che gli dei amano» di Menandro, citato poi da Leopardi nell’epigrafe del suo Amore e morte, «muor giovane colui ch’al cielo è caro».

Il primo è stato Brian Jones, fondatore, chitarrista e polistrumentista, anima glam (e frequentatore molto ammirato della Factory di Andy Warhol) dei Rolling Stones, band dalla quale venne definitivamente allontanato nel giugno 1969 per l’abuso di droghe – prevalentemente marijuana, metanfetamine e cocaina – ed alcol che avevano sempre più limitato il suo apporto creativo nella band e stravolto la sua vita privata, i due arresti con relativi processi (il primo nel maggio 1967, il secondo nel maggio 1968) che avevano, tra l’altro, contribuito ad alimentare l’immagine maledetta del gruppo e creato problemi con le autorità americane per la concessione dei permessi necessari per andare in tour, la relazione con la celebre modella Anita Pallenberg che lo tradì e lasciò per Keith Richards, aumentando le fratture e le tensioni interne. Il suo corpo venne trovato sul fondo della piscina nella sua villa – Cotchford Farm – ad Hartfield, nel Sussex, intorno alla mezzanotte del 3 luglio 1969: “morte per incidente” il rapporto delle autorità britanniche, ma nei decenni successivi si è paventata l’ipotesi dell’omicidio. Peter Townshead (Who) e Jim Morrison scrissero una poesia per lui, gli Stones gli dedicarono il concerto gratuito che tennero ad Hyde Park due giorni dopo la sua morte. Venne sepolto in una bara acquistata per lui da Bob Dylan, suo grande ammiratore (due le celebri canzoni a lui dedicate: Like a Rolling Stones e Ballad of a Thin Man), amico e per un periodo rivale in amore (Nico l’affascinante star contesa).

Quattordici mesi dopo, è toccato a Jimi Hendrix, il più grande chitarrista di tutti i tempi, l’eroe di Woodstock, il festival del ’69 passato alla storia per la sua trasfigurazione dell’inno americano, simbolo della generazione dei figli dei fiori (il movimento flower power, lo slogan peace and love) in rivolta contro la guerra in Vietnam e contro tutte le guerre. Ammirato da mostri sacri come Eric Clapton e Jeff Beck, diventato una leggenda in tutto il mondo per la straordinaria performance in un altro festival, quello di Monterey (svoltosi nel giugno 1967), in cui è riuscito a suonare la sua Fender Stratocaster con i denti, dietro la schiena, contro l’asta del microfono e l’impianto di amplificazione, producendo suoni distorti incredibili e mimando atti sessuali, per poi distruggerla al termine dell’esibizione. Venne trovato morto la mattina del 18 settembre 1970 (inutile la corsa disperata al St Mary Abbot’s Hospital), in una delle camere che aveva affittato al Samarkand Hotel di Londra, soffocato dal proprio vomito durante il sonno indotto da una dose eccessiva di barbiturici (nove pasticche di Vesparax, l’ammissione di Monika Danneman che aveva dormito con lui), come stabilito dal coroner Gavin Thurston dopo l’autopsia. Era nato a Seattle, città diventata celebre per il movimento grunge nei primi anni Novanta e per la sua stella più luminosa, Kurt Cobain.

Poi, due settimane dopo, Janis Joplin, straordinaria cantautrice e performer, vittima di un’overdose di eroina (dipendenza dalla quale stava cercando di liberarsi, per amore di David Niehaus che l’aveva lasciata per questo) nella sua camera del Landmark Motor Hotel a Los Angeles, il 4 ottobre del 1970. La prima vera rockstar donna, cresciuta a San Francisco capitale del movimento hippy, concentrato di pacifismo, contaminazioni musicali e culturali e sperimentazioni con le sostanze stupefacenti. La voce roca dalle venature blues e soul che esprimeva e trasmetteva emozioni intense, il dolore che aveva conosciuto sin dall’infanzia e dall’adolescenza perseguite da un bullismo odioso e il desiderio di amare ed essere amata, tante relazioni sbagliate e il rifugio nella droga e nel Southern Comfort. Uno dei suoi ultimi brani incisi è Buried alive with the blues (Sepolta viva con il blues).

La mattina del 3 luglio 1971 (a due anni esatti dal decesso di Brian Jones) è Jim Morrison ad essere trovato morto dalla sua compagna Pamela Courson, il corpo immerso nella vasca da bagno dell’appartamento in rue de Beautreillis nel Marais, a Parigi, dove si erano trasferiti da marzo. Arresto cardiaco la causa certificata, ma era ben nota la frequentazione con droghe e alcol del leader dei  Doors (il nome della band citazione di una poesia di William Blake ripresa dallo scrittore Aldous Huxley nel saggio The Doors of the Perception), band psichedelica impossibile da catalogare in un genere determinato ascesa in pochissimo tempo all’olimpo del rock grazie al suo carisma, al suo talento nella scrittura (di poesie oltre che canzoni impossibili da dimenticare) e alla presenza scenica sensuale e selvaggia, Lizard King (Re lucertola) istrionico e dal gusto marcato per la provocazione, in particolare in concerto. La sua tomba al cimitero di Père-Lachaise (uno dei più celebri e visitati al mondo per la presenza di numerosi scrittori e artisti di ogni epoca) dalla sua sepoltura è diventata un luogo di culto e tappa obbligata per i fans di passaggio nella capitale francese.

A distanza di due decenni, il 5 aprile 1994 anche Kurt Cobain ha scelto di chiudere la sua tormentata e luminosissima parentesi terrena. Il corpo del frontman e leader dei Nirvana, band simbolo della scena grunge tra la fine degli anni 80 e gli anni 90, e di una generazione votata ribelle, pessimista, nichilista e autodistruttiva, sonorità che vanno dal rock al metal, viene trovato da un elettricista nella sua villa sul lago Washington, a Seattle. Suicidio con un colpo di fucile alla testa, e una struggente lettera per sua moglie Courtney Love, la loro bambina Frances, e milioni di fans che sarebbero rimasti sconvolti. “I haven’t felt the excitement of listening to as well as creating music along with reading and writing for too many years now. I feel guilty beyond words about these things. For example when we’re backstage and the lights go out and the manic roar of the crowd begins, it doesn’t affect me the way in which it did for Freddie Mercury, who seem to love, relish in the love and adoration from the crowd, which is something I totally admire and envy. The fact is, I can’t fool you, any one of you. It simply isn’t fair to you or me. The worst crime I can think of would be to rip people off by faking it and pretending as if I’m having 100% fun” (“Io non provo più emozioni nell’ascoltare musica e nemmeno nel crearla e nel leggere e nello scrivere da troppi anni ormai. Questo mi fa sentire terribilmente colpevole. Per esempio, quando siamo nel backstage e le luci si spengono e sento il maniacale urlo della folla cominciare, non ha nessun effetto su di me, non è come era per Freddie Mercury, che adorava la folla e ne traeva energia e io l’ho sempre invidiato per questo. Il fatto è che io non posso imbrogliarvi, nessuno di voi. Semplicemente non sarebbe giusto nei vostri confronti né nei miei. Il peggior crimine che mi possa venire in mente è quello di fingere e far credere che io mi stia divertendo al 100%”), il passaggio più toccante di un’anima sensibile, spaventata e disorientata dall’incredibile successo, la dipendenza dall’eroina e la scelta finale drammaticamente lucida: “it’s better to burn out than to fade away” (E’ meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”).

Infine, Amy Winehouse. Talento cristallino, due soli album incisi che hanno avuto un impatto deflagrante sul panorama musicale mondiale (il secondo, Back to Black, premiato con cinque Grammy Award per la galleria di successi contenuti, da Rehab alla title track a Love is a losing game, per citarne solo alcuni), regina del soul bianco con un nuovo disco in lavorazione: ma drammi privati mai superati, problemi di anoressia e bulimia, relazioni tossiche e dipendenza da alcol e droga hanno prevalso e determinato una morte purtroppo annunciata, alla luce dello stato in cui ha affrontato le ultime esibizioni pubbliche, un disperato Sos non raccolto. E’ stata trovata morta nel letto della sua abitazione al numero 30 di Camden Square, a Londra, nel pomeriggio del 23 luglio 2011. Rinnovando un dolore che periodicamente raffiora, alimentato dal rimpianto e dal vuoto che lasciano personalità così potenti e persone così fragili.

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