Le gesta di Lupin su Netflix e il mito di una Francia accogliente. Omar Sy è Assane Diop, una fusione riuscita tra Arsenio Lupin e Edmond Dantes

by Giuseppe Procino

Lupin, ovvero il ladro gentiluomo, nonno dell’ormai più famoso Lupin III, ispira la nuova serie Netflix divenuta in pochi giorni successo planetario. Critica e pubblico stanno premiando la nuova produzione francese distribuita dal colosso americano dello streaming legale ed è ormai chiaro che sia destinata a rimanere in cima alle classifiche di gradimento per ancora parecchio tempo.  

Per il pubblico italiano, molto probabilmente, quando si parla del ladro gentiluomo il riferimento va direttamente all’opera di Monkey Punch, ovvero il già citato Lupin III da cui sono state tratte sei serie televisive oltre che diverse riduzioni cinematografiche di animazione e non.

Il Lupin con Omar Sy torna invece all’origine del personaggio, l’Arsenio Lupin nato dalla penna di Maurice Leblanc all’inizio dello scorso secolo, fonte di ispirazione per Assane Diop, il protagonista di questa nuova serie. Come già anticipato dalla stessa piattaforma per spegnere le polemiche attorno alla scelta di un protagonista di origine africana il Lupin di questa serie infatti non è il protagonista della saga letteraria francese con cilindro e mantello ma bensì un emulatore delle sue gesta, un appassionato dei romanzi di Leblanc.

Arsenio Lupin in questa serie non compare mai eppure è perennemente presente. L’idea di partenza è assolutamente vincente e funzionale: in questo modo si evita il confronto con il personaggio originale o peggio ancora con il nipote nipponico. Il titolo originale della serie è infatti “Lupin: Dans l’ombre d’Arsene” proprio per rimarcare che questa è una storia derivativa. In cinque puntate il nuovo prodotto Netflix racconta così le gesta di un personaggio nuovo, in grado di unire la situazione contemporanea con il racconto classico, attualizzando i temi della produzione di Leblanc e fornendogli una nuova chiave di lettura in grado di porre l’accento su urgenze e questioni capillari del mito di una Francia accogliente. 

La serie scorre con dinamico divertimento, concedendosi esagerazioni che spesso sfiorano il paradossale e trovate simpatiche e riuscitissime come la presenza di un cane che si chiama J’Accuse. Purtroppo però il prodotto non riesce a emergere al di là di una finalità puramente di intrattenimento seppur si sforzi di imbastire situazioni che vogliono essere più impegnate e dalla sotto trama sociale. Al centro delle vicende c’è una storia di mancata integrazione o per essere più precisi di dis-integrazione, che porta il protagonista della vicenda a cercare la propria vendetta e facendo sembrare Assane Diop una fusione riuscita tra Arsenio Lupin e Edmond Dantes. Il Lupin contemporaneo si muove tra le strade di Parigi in cerca della sua vendetta pianificata con sapiente astuzia e determinazione. Nel suo passato l’ombra di una condanna ingiusta ai danni di suo padre.

Lo affiancano personaggi dalla filigrana intrigante in grado di supportare Assane nelle peripezie più complesse. Tutto molto interessante nelle premesse ma purtroppo risolutivo nella sua realizzazione pratica. La regia, purtroppo restituisce un racconto patinato privo della capacità di approfondire e sciogliere i nodi del passato del protagonista in maniera efficace.

Alcuni personaggi sono indubbiamente riusciti meno di altri, primo fra tutti Soufiane Guerrab, il poliziotto che prima di tutti intuisce il collegamento tra le gesta del nostro ladro gentiluomo e i romanzi di Leblanc, che seppur si regge su un’ottima interpretazione di Youssef Guedira parla e si muove seguendo clichè stereotipati appiattendo di fatto qualsiasi grana o possibilità di psicologica. Il risultato è di fatto una fotografia fastidiosamente scialba del poliziotto furbo ma buono. Stiamo parlando di un personaggio destinato ad avere maggior spazio nella seconda parte della serie ma che non gode di un esordio convincente.

Urlare al capolavoro come da giorni fanno i critici di oltreoceano ci sembra quanto mai eccessivo, “Lupin: Dans l’ombre d’Arsene” è sicuramente una serie riuscita che vive però di rimandi continui, una sorta di “Ocean’s eleven” in grado di fondersi con le narrazioni classiche del romanzo d’avventura per ragazzi. Da questo punto di vista il tutto è riuscito ma attenzione a non confondere questa serie utile allo svago con qualcosa di più complesso. Nulla di grave in questo, non c’è nulla di sbagliato nella realizzazione di un prodotto di Entertainment, d’altronde tra i registi troviamo Louis Leterrier maestro dell’action movie.

Quello che manca davvero è una scrittura efficace, in grado di incollare lo spettatore allo schermo. Da un prodotto del genere ci si aspetta molto di più, ci si aspetta situazioni e dialoghi potenzialmente da antologia e invece il tutto si risolve continuamente in epilogo scontato delle vicende. Per chi nella sua vita ha visto e apprezzato almeno una manciata di Heist movie, sarà facile intuire lo svolgimento di ogni episodio. Peccato, perchè dal punto di vista esclusivamente oggettivo i presupposti per tirare fuori una serie competitiva destinata a rimanere nella memoria collettiva ci sono tutti: un grosso budget, una città in grado di raccontare grandi storie, l’idea abusata ma sempre funzionale di unire letteratura e realtà ma anche passato e presente. Invece, “Lupin: Dans l’ombre d’Arsene” finisce per reggersi tutta su un unico punto di forza ovvero il cast assolutamente strabiliante. Su tutti Omar Sy, eccellente come sempre in grado di rompere lo schermo, in grado di restituire un personaggio che convince pur vivendo situazioni prive di un vero e proprio appeal narrativo.

Accanto a lui Ludivine Saigner, attrice simbolo del cinema di Francois Ozon, assolutamente convincente e Anne Benoit che interpreta un’eccezionale Fabienne Beriot, una giornalista spigolosa e determinata,  forse unici personaggi scritti in maniera davvero credibile. Nei panni dell’antagonista, Hubert Pellegrini, troviamo un ottimo Hervè Pierre costipato in una sceneggiatura purtroppo limitante.

La serie sicuramente funziona come prodotto legato all’intrattenimento nudo e puro ma non riesce a centrare la promessa, disseminata di continuo, di voler anche essere veicolo di temi importanti.

Da guardare ma mantenendo le aspettative molto basse.

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