Perle da quarantena: Porco Rosso su Netflix

by Gabriele Rana

Spesso, per rispondere in maniera assurda a una domanda assurda, si dice “quando i maiali voleranno”. Ma molti ignorano che in Italia, nel periodo della Grande Depressione, quando il ventennio fascista era appena iniziato e la storia del nostro Paese entrava nel suo momento più buio, un maiale volava per davvero sull’Adriatico e il suo nome era Porco Rosso.

Marco Pagot è un eroe della Prima Guerra Mondiale, fa parte della Regia Aereonautica e per una maledizione ha le sembianze di un maiale antropomorfo. Decide di vivere libero, senza una dimora fissa, dei soli guadagni ottenuti dal suo lavoro di cacciatore di taglie, combattendo i pirati dell’aria sul suo idrovolante rosso. Un giorno, però, viene attaccato da un pilota americano, Donald Curtis, che distrugge il suo aereo e questo costringe il Porco ad andare a Milano per riparare il suo velivolo e sconfiggere l’antagonista di questa storia, raccontata da Hayao Myazaki e dallo studio Ghibli nel 1992.

Marco è un uomo – o, meglio, un maiale – che rompe lo stereotipo di questo animale, solitamente associato alla malvagità, alla colpa e alla reclusione: lui è libero e indipendente, ricco di onore. La sua vita si basa tutta intorno alla libertà, data dal volo perché “un maiale che non vola è solo un maiale”.

Indipendenza che mantiene anche quando viene messo all’indice dal Regime Fascista per esservisi opposto, visto che per lui è meglio essere porco che fascista. E il suo soprannome, prima dato per il suo idrovolante, viene utilizzato dai fascisti in senso dispregiativo, assumendo significati facilmente deducibili.

Anche le donne di questo film sono un vero simbolo di indipendenza, esempio dato dalla coprotagonista Fio Piccolo, una ragazzina di 17 anni che, come una macchia colorata su un grande foglio nero, contrasta con la misoginia dell’epoca e la titubanza di Porco nel darle l’opportunità di progettare il suo nuovo aereo. Una ragazzina così forte nell’imporre le proprie idee da tener testa da sola a un intero gruppo di pirati dell’aria. Particolarmente rappresentativa la scena in cui un gruppo di donne di tutte le età aiuta Fio nella costruzione dell’idrovolante, sotto gli occhi stupiti di Marco Pagot. Anche in quest’opera, come in tutti i prodotti di questa casa di produzione nipponica, l’antagonista non è realmente cattivo: infatti Curtis è un semplice essere umano, vittima del suo senso di superiorità e del desiderio di gloria, più che infido è patetico. L’unico male in questa trama sembra essere proprio il fascismo, che priva della libertà e che rimane di sfondo, perché è pur sempre diretto a un pubblico giovane, anche se trasversale.

Ancora una volta lo Studio Ghibli e Myazaki riescono a creare un film capace di persuadere lo spettatore non soltanto attraverso la trama, i personaggi, l’azione e l’ironia, ma anche grazie a un comparto artistico tutt’altro che comune. La musica, che unisce Occidente e Oriente, i paesaggi minuziosamente dettagliati, dove anche la sola distesa marina prende una forma del tutto diversa e dove ogni filo d’erba ha una sua forma e un suo perché, forniscono l’immagine di un’Italia mai banale, priva di qualsiasi stereotipo: un’Italia in cui realtà e favola collidono, e che permette a ogni frame di sembrare un quadro. Un film che, sicuramente, non può essere rimandato a quando i maiali voleranno: la magia di Porco Rosso è a portata di Netflix.

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