Pose persuade più della legge Zan. Sottocultura, Aids, moda e morte: il dolore della comunità Lgbt che si fece urlo contro la chiesa cattolica

by Modesta Raimondi

Giovani corpi maschili neri ed effemminati provano i passi del Voguing. Un Mirror Ball pende dal soffitto. Grandi vetrate con muri a mattoncini ci portano dritti a New York.

Sul fondo di un tipico loft americano, una macchina per cucire a mano abiti da festa e un visone sciupato. Una corona, un sofà fucsia, abiti sgargianti e un impianto elettrico che lascia a desiderare.

Ecco a voi una delle Case di Pose, disponibile su Netflix.

Siamo nel 1987. Siamo nel Bronx, nel cuore della comunità Lgbt fatta da anime solitarie e disperate che si ricongiungono tra loro creando una famiglia. Uomini e donne cacciati di casa, ripudiati dai parenti, che dormono sulle panchine e vivono di stenti. Tirano su un po’ di denaro ballando nei parchi, prostituendosi al molo, spacciando, senza rinunciare mai ad esprimere sé stessi, l’arte, il cuore, la passione.

I tempi sono quelli dell’ascesa di Donald Trump. Anni 80 ricchi e consumisti in cui il valore della famiglia di tanto in tanto vacilla, mostrando docili mogli chiuse in cucina che smettono di sognare una lavastoviglie e si rimboccano le maniche in cerca di indipendenza economica.

L’ascesa del Trumpismo è però solo lo sfondo di questa splendida serie. È lo scenario luminoso a cui contrapporre l’oscurità di una comunità ai margini che reinventa sé stessa e si fa luce, colore, arte, danza, scintillio, moda. Una comunità che lotta sperimentando forme di coraggio e consapevolezza via via più preziose, importanti, politiche.

Su di loro, su questi personaggi complessi e perfettamente riusciti (davvero tutti perfettamente riusciti!) si abbatte come un flagello il virus dell’Aids. E si abbatte come prezzo da pagare per una presunta colpa, come dolore collettivo che dopo una serie infinita di funerali si evolve in protesta sociale, urlo contro una chiesa cattolica che per salvare vite predica giudizio e astinenza invece che prevenzione.

Pose è a suo modo una serie storica che dietro le atmosfere coloratissime e spettacolari della sottocultura (sapientemente studiata già nel 1979 da Dick Hebdige nel suo “Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale”) racconta una porzione di mondo, un periodo ancora da illuminare nella sua interezza.

È una serie storica che non porta in scena armature da guerrieri e abiti da damigelle, bensì costumi variopinti cuciti dalle comunità nere e latine di Harlem per sfilare nelle loro adorate Ballroom. Porta in scena la creatività spontanea su cui in seguito mette gli occhi la moda mainstream: i cappelli, le categorie, i passi di danza, le passerelle, i concorsi delle drag queen.

Pose racconta biografie di emarginati che non si arrendono, che inventano una famiglia e ci credono, difendendola e incoraggiandola fino alla massima espressione del potenziale personale.

Famiglie chiamate Case (in realtà House family), che talvolta si appropriano del nome di famose maison francesi per farne il cognome dei componenti il gruppo.

Nuovo nome, nuovo cognome, nuova famiglia. La comunità Lgbt costruisce da sé quello che la società di massa gli ha negato, e lo difende con forza, credendo fino in fondo alle parentele elettive su cui troneggia quella madre-figlio.

La serie racconta anche di madri cattive, o meglio incattivite dall’esistenza, che sferzano senza affetto i loro ragazzi, i quali ricambiano con disaffezione ed opportunismo, cambiando Casa così come cambia il vento. Ma la protagonista è Blanca, personaggio magistrale e madre perfetta, come e meglio di una madre naturale, che ha il genio e la praticità necessari per togliere i suoi figli dalla strada: prostitute e senza tetto a cui trova un posto nel mondo, un luogo per guadagnare onestamente continuando ad inseguire fama, sogni, autorealizzazione.

Spazio vitale e pulsante in cui ogni famiglia trova la massima espressione di sé, sono dunque le Ball: discoteche in cui sfilare con la Casa di appartenenza per vincere in una delle categorie che cambiano di sera in sera.

Sul Vouging, nato nelle ballroom di New York e ballato per prima dalle Queer community black e latine di Harlem, e ispirato alle pose delle modelle della rivista Vogue, mise poi gli occhi Madonna, che creò la celebre canzone Vogue. Il resto è storia comune di chi c’era e di chi di quei dischi ha fatto la colonna sonora delle sue nottate.

Quello che Pose ci mostra è anche l’effetto che l’attenzione del gigante Madonna, e quindi tutta la macchina del mainstream, ha su un mondo di emarginati, sulle vite delle persone. Racconta l’intuito di chi ha saputo vedere per primo, e la sfida tra le stelle underground che annusavano aria di cambiamento.

Ispirato a Paris is burning, Pose genera conoscenza, sensibilizza, avvicina, rende comprensibili le problematiche che riguardano le comunità Lgbt, fa sì che gli abitanti di questo favoloso e disgraziato mondo diventino il prossimo per chi guarda. Un prossimo con cui empatizzare al di là di ogni discriminazione e pregiudizio. Stiamo con loro a Natale, comprendiamo la loro difficoltà a trovare un lavoro, invidiamo quei legami strettissimi accessibili solo ai figli di una solitudine immensa. L’amicizia è uno dei valori più forti della serie, soprattutto quella tra Blanca e Pray Tell, con la cui interpretazione Billy Porter ha vinto un Emmy. Un’amicizia che tiene in piedi laddove l’amore rende incerto ogni passo.

E che dire della mastodontica Elektra? Regina crudele, arrogante, sofisticata, sola. Cede alla tentazione dell’intervento, perché inseguire sé stessi, in fondo è sempre la scelta migliore. Eppure con la perdita della sua condizione di transessuale perde anche l’amore. Perché quello che alcuni uomini vogliono dai trans, sembra dire la serie, è la “stranezza” di cui sono portatrici. Persone che la società mette ai margini e che pure ricerca in quanto perfette per quello che chiamerebbero vizio. Strette in un corpo indesiderato, colpevolizzate eppure bramate. Elektra racconta il dolore di chi affronta la perdita pur di essere sé stessa fino in fondo.

Farmaci, terapie, trattamenti, ospedalizzazioni, sono alcuni dei costi dell’autodeterminazione su cui si posano gli occhi di chi giudica e di chi desidera.

Tra le scene più belle, Blanca e Pray Tell che cantano di fronte ai malati di Aids, per alleviare i loro ultimi giorni. Negli occhi la paura del futuro riflesso sui volti degli infermi. E loro che rispondono con l’arte alla paura della morte. Perché con le mani nelle mani nulla conta. Conta solo il legame che rende invincibili. Conta il nuovo nome, la nuova famiglia, ciò che si è l’uno per l’altra. La vita è dolore e loro la cantano, la colorano, protette da un affetto immenso.

Se guardata senza pregiudizi, Pose si affianca alle battaglie per i diritti della comunità Lgbt come e più della Legge Zan. In Italia ovviamente. Avvicina e persuade più di mille dibattiti pubblici. Apre la porta d’ingresso all’intimità di un mondo che pochi conoscono per davvero. Un mondo colorato e complesso, disperato e felicissimo, attaccatissimo alla vita e soffocato dalla morte per Aids.

Oltre alle Case e alle Ball, sono le chiese in cui si celebrano i funerali un delle location set più costanti nella serie.

Così come Jon Kent, il nuovo Superman figlio di Clark Kent e Lois Lane, che nel numero di novembre fa coming out, rivelando la sua bisessualità, e nel farlo agevola il diritto alla comunità Lgbt ad essere rappresentata, così anche Pose, che nella seconda e terza stagione si alleggerisce porgendo con intelligenza, dose e allegria temi cari a quel mondo.

Un diritto ad essere rappresentati che se da un lato confonde le menti dei più giovani, come sostiene qualche psicoterapeuta, dall’altro fa si che i cosiddetti diversi si sentano meno soli al mondo, soprattutto in fase adolescenziale. Perché riconoscersi in qualche modello che legittimamente esiste aiuta l’evoluzione di tutti, non soltanto dei ragazzini etero.

Un tema che aprirebbe un interessante e lungo dibattito sui confini della identità personale. A conferma che serie tv e fumetti hanno occupato quel posto che un tempo era dominio incontrastato dei classici. Sono loro oggi che dettano i valori, inutile negarlo…

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